Il Braccio di Ferro italiano di Sandro Dossi

Articolo di Gordiano Lupi

Siamo al terzo numero del Braccio di Ferro italiano di Sandro Dossi, un artista che in passato ho avuto meno occasione di apprezzare rispetto ad altri, perché la maggior parte dei suoi fumetti sono usciti negli anni Ottanta, pubblicati su quei periodici Bianconi che avevo abbandonato ma che leggevo molto nei primi anni Sessanta. Il mio Braccio di Ferro era quello di Segar – che mi sono ricomprato -, per la grande passione trasmessa da mio padre, al massimo leggevo le versioni italiche di Sangalli, Motta, Liorni, Colantuoni e molti altri rimasti anonimi. Tra l’altro Bianconi (e l’Editoriale Metro) non erano soliti citare gli autori prima del fumetto, abitudine che abbiamo importato dagli Stati Uniti alcuni anno dopo, se non vado errato grazie a Stan Lee e alla Marvel che cominciarono a considerare i fumettisti come veri e propri artisti. L’Editoriale Cosmo, dopo aver prodotto un Braccio di Ferro italiano con le storie più vecchie (anni Sessanta – Settanta), in edicola per alcuni mesi, ha pensato di sfruttare l’effetto nostalgia con una miniserie di 4 numeri dedicata ai più recenti albi scritti e disegnati da Sandro Dossi. L’esperimento è andato così bene che è stato annunciato un allungo della serie, ancora imprecisato, senza ricorrere ad alcun referendum, perché le vendite e le prenotazioni sono state superiori alle attese. I personaggi sono i soliti di sempre: Braccio di Ferro, Olivia, Poldo, Nonno Trinchetto, Timoteo, Pisellino, il Gigante Grissino, i Ming, la Strega Bacheca … con l’aggiunta di Barbaspina e del Gip, entrambi rivisitati da Dossi, pur rispettando l’origine nordamericana. Il Braccio di Ferro italiano non è un clone di quello americano, molti personaggi hanno una storia ben diversa, pur partendo da una matrice comune. Timoteo, per esempio, non è né Bluto né Bruto, due cattivi nati dai cartoni animati di Max Fleischer e dai fumetti di Sagendorf, ma un personaggio nuovo ispirato a Junior, figlio della Strega di Mare. Timoteo resta innamorato di Olivia, si batte con Braccio di Ferro per avere la sua mano e per dimostrare di essere il più forte, proprio come Bluto, il personaggio degli anni Trenta. La Strega Bacheca deriva dalla Strega di Mare, ma dai tempi di Segar cambia fisionomia; non è più alta e magra, bensì bassa e rotondetta, madre di Timoteo, cerca di sconfiggere Braccio di Ferro grazie ai suoi poteri magici. Bellissimo Nonno Trinchetto, nome italico di Braccio di Legno, padre di Braccio di Ferro, amante del Barbera, vino ligure – piemontese, come la località di mare (forse Savona, che nella finzione si chiama Spinacity) dove vengono ambientate le storie. Il bellicoso quanto microscopico popolo dei Ming è un’invenzione di Alberico Motta che si lascia suggestionare da un racconto di Bud Sagendorf, il migliore tra i continuatori nordamericani di Segar, ma di quella storia resta poco, solo il fatto che sono un popolo ostile e odiano Braccio di Ferro. Infine il gigante Grissino, pure lui nordamericano, viene modificato come abitante di un’isola nei pressi di Spinacity che vede come leitmotiv la sua stazza gigantesca e il rapporto complesso con persone di altezza normale. Le storie del Braccio di Ferro italiano si possono ancora gustare per la comicità delle situazioni, se ci tuffiamo nel passato e assaporiamo l’ingenuità dei prodotti a fumetti degli anni Ottanta. Il disegno di Sandro Dossi è originale, dotato di un tratto caricaturale molto dinamico, mentre le sceneggiature spesso sono esili e senza una struttura complessa, ma dobbiamo considerare che il fumetto era scritto soprattutto per un pubblico di preadolescenti. Il profumo della nostalgia, come una vecchia madeleine da inzuppare nel tè caldo che porta alle narici gli odori del passato, fa il resto e ne favorisce la lettura.

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