Satana, metafora del progresso e della libertà, da Giosuè Carducci a Raffaella Carrà

Articolo di Armando Giardinetto

Da Giosuè Carducci a Raffaella Carrà con il poetare e il cantare a favore della modernità e della libertà, nell’arco di 130 anni, si sono registrate fortissime critiche dei benpensati che spesso e volentieri non guardano avanti, non essendo proiettati nel futuro. Con la poesia intitolata A Satana di Carducci e con la canzone intitolata Satana della Carrà, i due esponenti della storia culturale della nostra bella Italia hanno fatto muovere nervosamente la lingua dei bigotti.

Va innanzitutto detto che Giosuè Carducci nacque e crebbe in una famiglia dai valori fortemente democratici e repubblicani. Egli stesso, infatti, una volta cresciuto, venne soprannominato poeta nazionale per le sue profonde scritture in appoggio alla causa dei moti del ’48. Amò sin da piccolo i classici della letteratura latina e le opere dei poeti italiani dal calibro di Leopardi che egli vedeva come reale via d’uscita da un mondo classista fatto di pregiudizi e dogmi.

A Satana è un inno scritto in toni blasfemi, ribelli e provocatori che l’autore, ancora molto giovane, compose di getto in una sola nottata perché doveva essere recitato l’indomani per il brindisi a un banchetto offerto da un suo amico, comunque esso venne pubblicato alla fine degli anni sessanta dell’Ottocento. Dal testo, se da un canto emerge una fortissima polemica contro la borghesia retrograda del tempo, il pregiudizio, la superstizione, le disuguaglianze, l’ipocrisia, la Chiesa, d’altro canto il laico Carducci esalta il ragionamento, la gioia di vivere anche attraverso attività materiali e carnali, il piacere, l’intelligenza, il progresso della scienza, la modernità, la libertà di pensare e agire, tutte cose che, per l’appunto, proprio per essere condannate dal clero dominante e dai benpensanti, prendono il nome di Satana che, da principe del male, diventa nient’altro che metafora di imminente e inarrestabile progresso.

“A te, de l’essere Principio immenso, Materia e spirito, Ragione e senso; […]. A te disfrenasi Il verso ardito, Te invoco, o Satana, re del convito” vv. 1-20

In effetti, leggendo le prime delle cinquanta quartine di quinari a schema rimico ABCB, si possono vedere chiaramente le espressioni con le quali il poeta, invocando Satana, descrive questo spirito della modernità. In seguito, nelle successive quartine, Carducci si fa avvocato di Satana contro le limitazioni della Chiesa circa i piaceri della vita: il sensualismo; la sensualità; la seduzione; l’ebbrezza che diventa utile per dimenticare i dolori e i dispiaceri che la vita gratuitamente e quotidianamente offre all’uomo.

“Brilla de’ grappoli Nel lieto sangue, Per cui la rapida Gioia non langue Che la fuggevole Vita ristora, Che il dolor proroga Che amor ne incora” vv. 49-56

Ma Satana è anche divertimento e spensieratezza come descritto nei vv. 78,79,80: balli, canti e i primi rapporti sessuali dei giovani amanti. Carducci, in Satana, rivolgendosi al monaco che diventa il simbolo dell’obbedienza subdola, mischia le voci libere di poeti e storici antichi con quelle dei protestanti anglicani e di teologi di un’epoca a noi più vicina che si prodigarono a tradurre la Bibbia o a criticare con coraggio la scelleratezza del clero tutto: Virgilio, Orazio, Livio, Wycliffe, Hus, Savonarola, Lutero.

Satana, quale spirito della modernità progressista, non è altro che, alla fine dell’inno, la metafora di una locomotiva che sfida il tempo e le distanze che, attraversando montagne, oceani, pianure, voragini e gallerie, porta solamente benefici:

“Un bello e orribile Mostro si sferra, Corre gli oceani, Corre la terra […] Sorvola i baratri; Poi si nasconde Per antri incogniti, Per vie profonde; Ed esce; e indomito Di lido in lido […] Passa benefico Di loco in loco” vv. 169-190.

All’alba del Concilio ecumenico Vaticano I, indetto da papa Pio IX nel 1869, l’Inno a Satana venne a squarciare il velo con il suo forte sapore anticlericale. Questo fece attirare sullo scrittore aspre polemiche alle quali egli risponderà convinto: “Satana è il pensiero che vola, è la scienza che esperimenta, è il cuore che avvampa, la fronte su cui è scritto: Non mi abbasso”.

Ora, passando alla storia dello spettacolo italiano con la canzone di Raffaella Carrà intitolata Satana, scopriamo che dopo più di un secolo le critiche che vengono dai benpensanti non stanno mai in silenzio quando si toccano temi come la modernità, la libertà e il progresso in determinati ambiti sociali che danno ancora molto fastidio a certi ambienti secolari.

Intanto vanno ricordate alcune cose che hanno caratterizzato buona parte dell’esistenza del genio Carrà. Già nel 1971, con il Tuca Tuca, Raffaella attirò le polemiche dell’Osservatore Romano che vedeva nel ballo – segno di libertà che procedeva – qualcosa di scandaloso, disgustoso e fuori da ogni dettame del buon costume. Si sa bene che Raffaella è stata pioniera in molte cose: sempre in prima linea per la difesa dei diritti per la parità di genere, soprattutto in ambiente professionale; ha cantato la forza delle donne e il loro diritto di scelta sulle questioni dell’amore; è stata paladina dei diritti della comunità LGBTQ con le sue canzoni all’avanguardia che toccano sempre tematiche importantissime di quella che sarebbe stata in futuro la moderna società.

Satana è una canzone incisa nel 1999 e la si trova come inedito nella raccolta Fiesta – I grandi successi. Il testo è un prodotto della mente geniale di Gianni Boncompagni e di quella della stessa Raffaella, mentre la musica porta la firma di Franco Bracardi. Così, come nella poesia di sopra, anche il testo della canzone vuole essere un inno al principe del male che è in realtà metafora della leggerezza della vita quando quest’ultima diventa difficile da sopportare. Satana, dunque, è un momento di vanità, di passione per il ballo, per i piaceri della vita, di libertà di scelta soprattutto in amore. L’inferno non è altro che la possibilità di scegliere liberamente e coraggiosamente di vivere la propria vita come si vuole, senza pregiudizi, senza limitazioni sessiste e classiste dettate da certi ambienti ancora troppo retrogradi; è il lasciarsi alle spalle l’infelicità, i problemi, le preoccupazioni, affrontare tutto con uno spirito più leggero. Inoltre significa lasciarsi andare in maniera spensierata, cercando di alleggerire le circostanze affannose dell’esistenza. Satana è semplicemente una metafora dell’amore libero:

“Portami all’inferno, pago per amore, lascio tutto e vengo via con te”.

È metafora di qualcuno di cui ci invaghiamo e che, nonostante sappiamo che non è la persona giusta per noi, la vogliamo col rischio di pentirci:

“Satana di vanità, Anima di falsità, Satana, ti sognerò, Satana, mi pentirò. Satana dagli occhi blu truccami come vuoi tu. Magica divinità, brivido di libertà, anima senza pietà, lasciami per carità”.

Niente a che vedere con l’inneggiamento al male che è stato volutamente visto dai benpensanti e da quelli con le lingue biforcute come alcuni giornalisti ed esponenti fanatici di ambienti pseudoreligiosi che non hanno perso tempo a criticare Raffaella, la quale era fin troppo abituata dal momento che, sin dall’inizio della sua carriera, proprio per essere stata sempre uno spirito libero da ogni preconcetto e fuori dai confini di un certo modo di vedere le cose, ha attirato su di sé numerose critiche alle quali risponderà con la sua estrema intelligenza: “Ma io bigotta non lo sono, che dica quello che gli pare che secondo me è fortissimo e ho riso e mi sono divertita” (intervista a Il Senso della Vita nell’edizione del 2006/20007). Basta cercare in rete notizie sulla questione appena discussa e subito saltano agli occhi i rimproveri, le disapprovazioni e la riprensione verso la showgirl anche nelle ore immediatamente successive alla sua dipartita (5 luglio 2021).

In ultima analisi, da quanto letto, emerge spudoratamente una cosa: tutto ciò che va contro certe vecchie idee viene criticato, giudicato male, polemizzato. I vecchi sistemi, quando si ostinano a non svecchiarsi, odiano il progresso sociale e chi per esso si fa portavoce perché in un certo senso questo mina alla loro stessa stabilità e basta una semplicissima metafora a farli saltare dalla loro obsoleta sedia.

Related Articles