Per moltissimo tempo dal punto di vista storico, politico ed istituzionale l’importanza delle donne, durante la Resistenza, non è stata mai adeguatamente riconosciuta ma bensì considerata secondaria, che pagava “di fatto” una visione in cui anche la Lotta di Liberazione veniva attribuita solo al merito degli uomini. In realtà, le ricerche storiche hanno mostrato i numeri della partecipazione femminile alla Resistenza, dimostrando come le donne ottennero riconoscimenti e premiazioni di tipo militari. Quando il fenomeno è stato analizzato, si è parlato di “Resistenza taciuta.” Stiamo parlando di pagine di storia che raccontano come la donna non aveva alcun valore figuriamoci, poi, come combattente.
La storia delle donne nella Resistenza italiana rappresenta un elemento fondamentale per il movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo. Esse, senza paura, lottarono per riconquistare la libertà e la giustizia del proprio paese ricoprendo compiti, e molti ruoli, di primaria importanza.
Nei centri urbani le donne partigiane lottavano, ogni giorno, per recuperare i beni di prima necessità per il sostentamento dei loro uomini ed erano in grado di trasportare risorse, poiché considerate meno pericolose. Si formarono gruppi organizzati di donne che svolgevano propaganda antifascista, raccoglievano fondi ed organizzavano assistenza ai detenuti politici ed erano impegnate anche nel mantenimento delle comunicazioni oltre che nelle operazioni militari.
Ci furono organizzazioni, alle quali presero parte le donne della Resistenza, come i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) e le Squadre di Azione Patriottica (SAP), e inoltre, fondarono dei Gruppi di difesa della donna, “aperti a tutte le donne di ogni ceto sociale e di ogni fede politica o religiosa, che volessero partecipare all’opera di liberazione della patria e lottare per la propria emancipazione”, per garantire i diritti delle donne, spesso diventate capifamiglia, al posto dei mariti che si arruolavano nell’esercito.
Presero il posto degli uomini impegnati in guerra, e mentre lavoravano, organizzarono manifestazioni e scioperi contro il fascismo.
Quali furono i compiti ricoperti dalle donne della Resistenza? Ebbene, furono molteplici: fondarono squadre di primo soccorso per aiutare i feriti e gli ammalati, contribuirono nella raccolta di indumenti, cibo e medicinali, identificavano i cadaveri e davano assistenza ai familiari dei caduti.
Furono utilissime alla collettività partigiana: oltre che cucinare, lavare, cucire e assistere i feriti, prendevano parte alle riunioni offrendo il loro contributo politico ed organizzativo e in alcune occasioni sapevano anche impugnare le armi. Furbe e astute riuscivano a comunicare e a superare i posti di blocco nemici raggiungendo, così, il posto prefissato. Non solo contattavano i militari e li mettevano al corrente dei nuovi movimenti.
Tutto quello che facevano comportava un enorme rischio quanto quello degli uomini e quando venivano catturate dai nemici subivano le più atroci torture e violenze. Con bravura e scaltrezza nascondevano le armi e le munizioni: ai posti di blocco, quando venivano fermate dai tedeschi, riuscivano spesso ad evitare la perquisizione, dichiarando di dover svolgere compiti importanti come assistere i familiari ammalati o di avere bambini affamati da accudire. Dal punto di vista della sfera familiare, le donne parlavano una lingua universale che era quella dell’amore capace di suscitare sentimenti e sensibilità nascoste.
Durante la seconda guerra mondiale le donne ottennero un ruolo importante anche a livello economico-produttivo. Infatti, mentre gli uomini si arruolavano, esse dovettero prendere il loro posto nell’industria e nell’agricoltura. Le donne lavoravano soprattutto nel settore tessile, alimentare e industriale, ma erano presenti anche in larga misura nella catena di montaggio, nei pubblici impieghi e nei campi, dove affrontavano le attività più massacranti, tradizionalmente riservate agli uomini.
In questi settori spesso, organizzavano manifestazioni, al grido di slogan come “Vogliamo vivere in pace” oppure “Vogliamo pane, basta con gli speculatori”. Soprattutto nelle campagne, mettevano a disposizione le loro case, rischiando anche la vita, per aiutare i feriti, i convalescenti e dare rifugio alle persone in fuga. Molto importante era anche l’attività che le donne svolgevano nella raccolta di fondi, finalizzata a dare aiuto ai parenti degli arrestati, delle vittime dei nazifascisti e anche alle famiglie dei partigiani particolarmente bisognosi. Intensa fu anche la loro attività di propaganda politica, nonché gli atti di sabotaggio e di occupazione dei depositi alimentari tedeschi.
Mi piace ricordare “le staffette partigiane”, ruolo spesso ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, per il semplice fatto che si pensava destassero meno sospetti e che non venissero quindi sottoposte ai controlli dei tedeschi. Le Staffette avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie.
Importantissime “le combattenti” ovvero le donne che combatterono al fianco dei partigiani contro il nazifascismo.
Inoltre, non mancarono “le rappresentanti delle istituzioni” In molte realtà le donne coprirono anche ruoli di responsabilità istituzionale. È il caso di Gisella Floreanini, la prima donna in Italia a ricoprire un incarico governativo nella Repubblica partigiana dell’Ossola, tra il settembre e l’ottobre del 1944.
Il numero di donne che contribuì alla Resistenza Italiana, secondo alcune fonti, fu molto elevato. Fin dagli inizi della lotta partigiana diedero il loro contributo, fino all’aprile del 1945, quando vi fu la liberazione dell’Italia dai nazisti.
Alcune stime della partecipazione femminile alla Resistenza:
70000 donne organizzate nei Gruppi di Difesa della Donna;
35000 donne partigiane, che operavano come combattenti;
20000 donne con funzioni di supporto;
4563 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti;
2900 giustiziate o uccise in combattimento;
2750 deportate in Germania nei lager nazisti;
1700 donne ferite
623 fucilate e cadute;
512 commissarie di guerra;
Le ragioni sociali di questa lotta possono essere rintracciate in diverse motivazioni.
Nel mondo rurale le ragioni della lotta maturarono più lentamente, ma le donne che vivevano in città o quelle che vivevano nei paesi di collina o di montagna, maturarono le ragioni della lotta in maniera differente, poiché avevano una diversa qualifica professionale, erano insegnanti, impiegate o artigiane. In questi settori era infatti più diffusa l’insofferenza verso il regime e c’era un’avversione più netta al fascismo e a Mussolini, maturata in famiglia e sui banchi di scuola.
Le donne da sempre hanno combattuto per la pace e per la vita, anzi loro generano la vita, ma quando la vita va difesa non si tirano mai indietro e combattono con tutte le loro forze.