“Preoccupiamoci di tener lontano dalle cattedre gli ignoranti piuttosto che le donne”, è una frase di una messicana, di una femminista, di una monaca del XVII secolo: Juana Inés de la Cruz. Leggendo la sua storia, si rimane affascinati dal coraggio di questa donna che si scagliava contro il sessismo del tempo e contro le contraddizioni etiche e morali; Juana difese i diritti delle donne e la libertà di pensiero. Ci vuole molto coraggio a scrivere poesie quando sei una donna nata nel XVII secolo, in Messico, quando sei consapevole che, al genere femminile, non era data nemmeno la possibilità di iscriversi all’università, ma Juana si travestita da maschio per assistere alle lezioni e già questo lascia intendere il suo carattere determinato. Juana è la prima attivista per i diritti civili delle donne nel Nuovo Mondo. Molto interessante fu, nella fattispecie, la sua battaglia per il diritto allo studio. Sosteneva che anche nella Bibbia ci sono esempi di donne intellettuali: Debora, l’unica femmina dei giudici biblici; la regina di Saba che, in Matteo e in Luca, nel giorno del Giudizio universale sorgerà per condannare gli ebrei che hanno rifiutato Gesù; la profetessa Abigaele, personalità di grande saggezza.
Poetessa assetata di conoscenza; saggista intelligente e aperta mentalmente; miniaturista e scrittrice di composizioni anche musicali, Juana Inés de Asbaje y Ramírez de Santillana – suo nome di battesimo – nacque in Messico, precisamente a San Miguel Nepantla, da una creola di nome Isabel Ramirez de Santillana e da un nobile spagnolo di nome Pedro Manuel de Asbaje. Crebbe nell’azienda agricola del nonno e non ci sarebbe nulla di particolare se non fosse che, in quella azienda, c’era un’immensa biblioteca piena di libri, dove Juana vi si recava spesso; infatti imparò a leggere e a scrivere verso i 3-4 anni; passava giornate intere a studiare in biblioteca già all’età di 7-8 anni: religione; metafisica; logica; greco; latino. Quando si prefissava un obiettivo di studio, doveva raggiungerlo a tutti i costi; ogni volta che non riusciva a raggiungere quel traguardo prefissato, per punizione, si tagliava i capelli: “Inutile agghindare una testa priva dell’ornamento più desiderabile come il sapere”. A 13 anni divenne dama di compagnia della viceregina Leonor Carreto (alla quale dedicherà 3 sonetti funebri), moglie del viceré Antonio Sebasti Marquis de Mancera, e questa fu la sua fortuna poiché riuscì a far parte del salotto intellettuale organizzato a palazzo. Juana siederà durante le discussioni condotte da vari personaggi di spicco che si recavano a corte. Partecipava alle discussioni sulla geografia, filosofia, legge, letteratura, matematica e scienze, astronomia, teologia. Era così straordinariamente brava che il viceré volle metterla alla prova invitando a corte 40 professori universitari per interrogarla: “Sembrava di vedere il galeone reale attaccato da un pugno di barchette”, disse il viceré dopo aver assistito agli interrogatori culturali.
Il 14 agosto 1667 entra come novizia nel convento delle suore carmelitane, ma ne uscirà presto per la rigidità delle regole conventuali. A 18 anni, dunque, entra nell’ordine di San Girolamo e prese i voti col nome di Suor Juana Inés de la Cruz. Qui le regole erano meno rigide e, per tutta la vita, si dedicò allo studio e alla scrittura anche quando si ammalò di tifo. Nella sua cella riceveva continuamente intellettuali da tutto il Regno pronti a discutere con lei di ogni cosa.
Scriverà di tutto, dai semplici pensieri ai poemi d’amore; da opere teatrali ai saggi; dai villancicos (genere musicale nato in Spagna alla fine del XV secolo che ebbe grande sviluppo durante il Rinascimento e il Barocco, anche nelle colonie in America. Il significato attuale del termine, in spagnolo, equivale a “canto popolare natalizio”) ai poemi di alta spiritualità, tutti caratterizzati dal razionalismo: “Se siete riusciti a farvi amare, dovete rassegnarvi all’idea di essere dimenticati, ma almeno avete avuto la gloria”, recita uno dei suoi sonetti. A causa della sua passione per la scrittura di poesie d’amore e per lo studio in generale fu accusata più e più volte di non dedicarsi alla sua vita consacrata e di sprecare il suo tempo solo con la lettura di testi profani. Il suo peggior nemico fu il vescovo Aguiar y Seijas, sempre invidioso dell’innato ed immenso talento intellettivo della monaca. Un altro nemico fu padre Antonio Nuñez de Miranda, suo confessore, che non le darà mai il perdono se non in cambio della rinuncia allo studio. Fu anche accusata, come se non bastasse, di intrattenere una relazione amorosa lesbica con la marchesa Maria Luisa Manrique de Lara. Quindi Suor Juana Inén de la Cruz, sotto pressione psicologia, rinunciò allo studio; consegnerà – obbligata dai piani alti della Curia – tutti i suoi circa 4000 libri, tutti gli strumenti musicali e tutti gli strumenti scientifici al vescovo e comincerà a castigare il suo corpo con il cilicio: “¿En perseguirme, mundo, qué interesas? ¿En qué te ofendo, cuando sólo intento poner bellezas en mi entendimiento y no mi entendimiento en las bellezas?”, si chiedeva, la povera Inés, che cosa facesse di così sbagliato.
La sua opera più importante, Primero Sueño, è composta da 975 versi e racconta il viaggio che fa l’anima, che si libera dal corpo quando si dorme, verso l’aldilà il quale, una volta raggiunto, si dissolve. In effetti tutto termina quando il sole – che simboleggia la ragione – vince la notte, cioè al risveglio dell’individuo. Le fonti del testo sono da ricercare in Cicerone, Seneca, Orazio, Catullo, San Bonaventura, il mito di Ercole.
Il premio Nobel per la letteratura Octavio Paz dirà sul testo: “Primero sueño no es el poema del conocimiento como un vano sueño sino el poema del acto de conocer. Ese acto adopta la forma del sueño, no en el sentido vulgar de la palabra “sueño”, ni en el de ilusión irrealizable, sino en el de viaje espiritual… El viaje — sueño lúcido — no termina en una revelación como en los sueños de la tradición del hermetismo y el neoplatonismo, en verdad el poema no termina: el alma titubea, se mira en Faetón y, en esto, el cuerpo despierta… El poema es también la confesión de las dudas y las luchas del Entendimiento. Es una confesión que termina en un acto de fe: no en el saber sino en el afán de saber”, vale a dire che alla ricerca della conoscenza ci si arriva grazie ad un viaggio spirituale (il sogno) dell’anima. Questo viaggio non termina con la rivelazione della sapienza perché, con la luce del sole, la persona si sveglia dal sonno. Nel testo Juana si fa mille domande sul sapere in generale ed esprime molti dubbi in merito che sono alla base della conoscenza stessa. Suor Juana Inés de la Cruz morirà di peste nel 1695.