Papa Bonifacio VIII: ultimo promotore del regime teocratico

Articolo di Armando Giardinetto

Con 8 anni e 291 giorni – dal 24 dicembre 1294, quando salì al soglio di San Pietro, all’11 ottobre 1303, data della sua morte – il pontificato di papa Bonifacio VIII è tra quelli più curiosi e conosciuti della storia. Bonifacio VIII fu un uomo assai controverso, su di lui gli storici hanno scritto fiumi di parole dalle quali emerge un quadro biografico veramente particolare: uomo assai iracondo, arrogante, egocentrico, avido di ricchezze e di potere, di grandi ambizioni non solo religiose ma anche e soprattutto politiche; un uomo con un carattere fortissimo e di grande cultura, ma anche talmente vanitoso da farsi fare numerosi ritratti e sculture che lo rappresentassero in giro per lo Stato. Fu un papa teocratico perché vedeva il potere della Chiesa sopra a ogni cosa, sopra a ogni altro potere anche regale, per questo venne fortemente criticato. Venne considerato “novello anticristo” da Jacopone da Todi che fu scomunicato e imprigionato dal momento che lo accusò di avidità, dissolutezza, sodomia, superbia, empietà, eresia, idolatria, simonia, magia; scrisse che, prima di lui, non c’era stato nessun altro papa tanto vanaglorioso da dimenticarsi di Dio, dimostrando una fede fasulla: “Non trovo chi recordi papa nullo passato, ch’en tanta vanagloria se sia sì delettato. Par ch’el temor de Deo dereto agi gettato: segno è d’om desperato o de falso sentire” (Laude 83). Anche l’istituzione del primo Anno Santo (1300) fu promossa dalla sua determinata voglia di prosperità economica, di potere assoluto, lucrando soprattutto sulle indulgenze. D’altra parte il suo pontificato è famoso per lo schiaffo di Anagni che il papa ricevette per essere entrato in contrasto con il re di Francia Filippo IV detto il Bello a causa di questioni politiche ed economiche. Come detto in precedenza, il papa riteneva che il potere temporale dovesse sottoporsi all’autorità spirituale da lui esercitata perché così voluto da Dio, ma il re francese, profondamente in disaccordo, gli andò contro accusandolo di omicidio di Celestino V e per questo pensò di organizzare un processo contro di lui nel quale egli stesso sarebbe stato presente, previa cattura. Fu così che, nella notte del 7 settembre 1303, un membro di Stato della Corona francese, Guglielmo di Nogaret, e Giacomo Sciarra Colonna con il suo seguito di cavalieri entrarono dalla porta della città di Anagni tenuta aperta dagli stessi abitanti e lì, nel palazzo Caetani, dove Bonifacio si era rifugiato, precisamente nella sala degli scacchi, Colonna avrebbe umiliato il papa dandogli uno schiaffo morale e lo arrestò. Per alcuni giorni Giacomo e Guglielmo indussero il papa a ritirare la bolla di scomunica indirizzata a Filippo IV e ad abdicare, ma nel frattempo gli anagnini, toccati dal pentimento di aver tradito il loro concittadino, riuscirono a liberare il pontefice.

Nel destino di Benedetto Caetani, nato nel 1230, non c’erano soltanto la porpora cardinalizia e la mitra papale, ma anche moltissime antipatie che egli attirò su di sé da parte di intellettuali, re, politici e uomini di Chiesa. Dopo la rinuncia al soglio pontificio di Papa Celestino V il Conclave, ospitato dal re Carlo II d’Angiò detto lo Zoppo – prediletto di Bonifacio – si riunì nelle stanze napoletane del Maschio Angioino, così il 23 dicembre 1294, al III scrutinio, venne individuato nel sessantaquattrenne Caetani il nuovo Pastore della Chiesa di Roma che, assunto il nome di Bonifacio, in onore dell’omonimo papa marsicano che egli stesso canonizzò, venne incoronato in Vaticano giusto un mese dopo. Il papa, già dalle sue prime decisioni, lasciò intendere il suo temperamento: abolì tutte le decisioni del suo predecessore che fece internare e, dopo la morte dello stesso, ne avviò il processo di canonizzazione. Fu il promotore del Trattato di Anagni (1295) – in seno a ciò che seguì i Vespri siciliani – tra il re Giacomo II d’Aragona e il re Carlo II d’Angiò che però non diede i frutti sperati. Così al suddetto Trattato, dopo l’incoronazione di Federico III d’Aragona come Rex Trinacriae, Bonifacio mediò per la Pace di Caltabellotta (1302) grazie alla quale nacque de facto il Regnum Siciliae citra Pharum – Regno di Sicilia al di qua del Faro – vale a dire il Regno di Napoli che, dato sotto al potere degli Angioini, si presentava distaccato dalla Sicilia – ora Regno di Trinacria – tenuto dagli Aragonesi. A tre anni dalla sua elezione papale si intensificarono i conflitti con due cardinali, Jacopo Colonna e suo nipote Pietro Colonna, i quali non consideravano valido l’atto di rinuncia di Celestino V, pertanto era da considerarsi illegittima l’incoronazione di Bonifacio che rispose con la scomunica, facendo della famiglia Colonna la sua peggior nemica. Nel 1301, mentre a Firenze Dante Alighieri ricopriva importanti cariche politiche da parte dei Guelfi Bianchi, Bonifacio inviò in città un suo delegato, Carlo di Valois, per riportare i Guelfi Neri al potere dopo il violento scontro che si ebbe tra fazioni papali e antipapali. Un anno dopo il Sommo Poeta si recò in veste di ambasciatore a Roma per trovare un accordo con il papa, ma con scuse varie venne trattenuto per lungo tempo alla corte pontificia, nel frattempo il Gonfaloniere di Bonifacio, Cante dei Gabrielli di Gubbio – Guelfo Nero e ora podestà della città fiorentina – condannò Dante e altri tredici – tra cui Ser Petracco, padre dell’Aretino – all’esilio e alla confisca delle proprietà perché accusati di baratteria, passando alla storia come “Esiliatore di Dante”. L’intenzione vendicativa del Sommo Poeta, allora, fu quella di far comparire Bonifacio all’Inferno, ma il suo viaggio nell’aldilà comincia nel 1300 quando il papa era ancora vivo, quindi con una trovata ingegnosa mette in bocca a papa Niccolò III – che già si trova tra i simoniaci nella III Bolgia dell’ottavo girone (XIX Canto) – alcune parole che profetizzano l’arrivo del pontefice in quel luogo dannato. Niccolò III – conficcato a testa in giù nella roccia con le gambe all’aria, mentre sottili fiamme sfiorano, provocandone acuto dolore, la pianta dei suoi piedi – non riuscendo a vedere in faccia Dante, gli si rivolge pensando che fosse proprio Bonifacio e gli chiede conto dei suoi abusi sulla Chiesa che con le sue azioni ha reso sporca: “Se’ tu già costì ritto, se’ tu già costì ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi mentì lo scritto. Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio per lo qual non temesti tòrre a ‘nganno la bella donna, e poi di farne strazio?” (vv. 52-57). Non contento Dante rincara la dose e, trovandosi dove sono puniti i consiglieri fraudolenti (Canto XXVII) mette nella bocca di Guido da Montefeltro – Signore di Forlì per volere proprio di Bonifacio VIII – parole di profondo odio verso il papa, ritenuto la causa del suo ritorno al peccato: “Se non fosse il gran prete, a cui mal prenda! Che mi rimise ne le prime colpe” (vv. 70-71). Per di più la vendetta letteraria di Dante non finisce qui perché anche nel Paradiso (Canto XXVII) egli fa dire a San Pietro parole di grande disprezzo verso il vescovo di Roma: “Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt’ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde ’l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa”, vale a dire che Bonifacio, con le sue malefatte, ha reso il Vaticano un fetente letamaio, dove il diavolo trova godimento e terreno fertile grazie alla corruzione della Chiesa. A pochi mesi dalla sua morte, con una bolla, Bonifacio istituì la Studium Urbis, l’attuale Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Ormai vecchio e malato di gotta e di urolitasi, morì e venne sepolto nella Basilica di San Pietro. Filippo IV fece riprendere il processo contro di lui – che ora diventava post mortem – con più di 20 capi d’accusa. Il processo investì il pontificato del successore di Bonifacio, papa Clemente V, che lo portò alla conclusione senza condanne. Bonifacio VIII fu un papa che convocò 5 concistori; creò 15 nuovi cardinali; visse a cavallo tra due secoli e tra due visioni diverse di concepire il potere spirituale che ormai si andava distaccando dal pensiero conforme alle usanze tipiche del medioevo. Fatto sta che Clemente V trasferì la sede papale in Francia dando inizio a quel periodo storico della Chiesa che va sotto il nome di “Cattività avignonese”.

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