Santo Stefano al cinema, come una volta. E c’è pure un po’ di gente, pare strano, la sala a Natale tira ancora. Purtroppo rimpiangi il cinepanettone vero, quello fatto bene, rutti e scorregge, volgarità gratuita, comicità di grana grossa e via andare. Zero pretese e tante risate, come buona regola della farsa plautina. Il grande giorno, invece, pretenderebbe di far filosofia morale sulla vita, vorrebbe raccontare l’amicizia e il lavoro, il matrimonio e le scelte complesse, le coppie che scoppiano ancora prima di diventar coppie, i genitori che mettono i figli in primo piano, gli amori rimpianti, i tradimenti, tutto condito in salsa Aldo, Giovanni e Giacomo, che toccano uno dei punti più bassi della loro carriera. Sono ben cinque gli sceneggiatori di un film che ha lo spessore d’un pessimo fumetto, con tutto il rispetto per i fumetti, un film che più passano i minuti più diventa imbarazzante. Non sai se è commedia, se è farsa, se è un obbrobrio inutile, soprattutto non sai perché sei venuto a vederlo, a parte il dovuto sostegno al Cinema Metropolitan di Piombino, ché sei pure abbonato. In primo piano i due genitori dei futuri sposi (Giovanni e Giacomo), presto raggiunti da Aldo, il personaggio più fuori luogo della storia, nei panni del nuovo compagno della madre della sposa. Le situazioni assurde si susseguono a ripetizione, scollegate tra loro, irreali, incredibili, inoltre non fanno neppure ridere, come una gara notturna di corsa nei sacchi durante la quale s’infortuna il cardinale che avrebbe dovuto celebrare le nozze. Il matrimonio è sfarzoso, voluto dal padre della sposa (Giovanni) in una villa su un’isola del lago di Como, con grande dispendio economico. Giacomo (padre dello poso) non vorrebbe un tale sperpero finanziario, ma subisce senza protestare e pensa a come far quadrare i conti in azienda. I promessi sposi si conoscono da sempre, sono i figli dei due soci in affari, destinati a sposarsi fin da bambini come per una sorta di volere divino. Il finale non lo riveliamo, ma il film ricalca la sceneggiatura di tante pellicole precedenti, italiane e francesi, di sicuro meglio riuscite di questa, che tra i pochi pregi registra la colonna sonora di Dario Brunori. Tutto il resto è banalità in sala agrodolce, molto agra e poco dolce, indigesta come una cena in un ristorante cinese che frigge con abbondante olio di soia. Massimo Venier si dimostra uno dei registi meno ispirati del cinema italiano contemporaneo (anche se la lotta è dura!), il regista di Aldo, Giovanni e Giacomo, non altro da ricordare nel suo curriculum, a parte un po’ di televisione. Il demerito della sceneggiatura va tutto ai tre attori protagonisti (Aldo, Giovanni e Giacomo) che scrivono una terrificante sequela di banalità, aiutati da Michele Pellegrini e Davide Lantieri. Fotografia televisiva. Montaggio da fiction. Interpretazioni da tv-movie. Ti chiedi come sia capitata nel cast di un simile film Elena Lietti, attrice degna di ben altri ruoli. Il pubblico italiano chiede davvero questo tipo di cinema comico?
Regia: Massimo Venier. Soggetto e Sceneggiatura: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Massimo Venier, Michele Pellegrini, Davide Lantieri. Fotografia: Vittorio Omodei Zorini. Montaggio: Enrica Gatto. Musica: Dario Brunori. Genere: Commedia (?). Durata: 90’. Interpreti: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Antonella Attili, Elena Lietti, Lucia Mascino, Margherita Mannino. Giovanni Anzaldo, Eleonora Romandini, Marouane Zotti, Pietro Ragusa, Roberto Citran, Andrea Bruschi.