Dan Fogelman è più sceneggiatore e produttore che regista, in questo caso si mette anche dietro la macchina da presa, come già aveva fatto per La canzone della vita – Danny Collins (2015), per girare una sceneggiatura ambiziosa e complessa, fatta di salti temporali e di sequenze oniriche, momenti in flashback, ricordi che si sovrappongono. Per alcuni critici importanti il film avrebbe troppe ambizioni, a mio parere le mantiene tutte, il regista riesce a narrare una triplice storia d’amore che attraversa generazioni e continenti, parte da New York, passa in Spagna per tornare di nuovo negli Stati Uniti. In breve la trama, dove non sempre tutto è come sembra. Will (Isaac) pare un quarantenne newyorchese abbandonato dalla moglie, ricostruisce la sua storia in diverse sedute di psicanalisi, ma solo alla fine si rende conto che la compagna è morta (sul punto di partorire) in un tragico incidente e che gli ha lasciato una figlia che lui rifiuta di conoscere. L’uomo, appresa la cruda realtà dei fatti, si suicida sparandosi un colpo di pistola in bocca, proprio nello studio della psicanalista. Prima di questi eventi, il regista aveva messo in scena una sorta di sceneggiatura scritta dal paziente che in parte evocava come si è svolta la vicenda, con Samuel L. Jackson nella parte di se stesso a far da narratore. Salto temporale di vent’anni, la figlia Dylan (la madre aveva la passione per Bob Dylan), incontra per strada il coetaneo Rodrigo, che per caso aveva visto l’incidente mortale e si trovava a New York in vacanza. Il film è diviso in due parti che a un certo punto confluiscono l’una nell’altra, comincia come un ricordo newyorchese, diventa il racconto di una giovinezza allo sbando, infine una storia d’amore immersa nella luce calda dell’Andalusia. Tutto converge e poi riparte in un punto ben preciso di New York, in un compiuto melodramma che crea la suggestione di una stupenda storia d’amore e morte. Molto cinema che si alterna a parti teatrali, fotografia luminosa andalusa e newyorchese, dialoghi forbiti ed eleganti messi in bocca a Banderas e a Peris-Mencheta (soprattutto al primo che si produce in monologo stupendo), commozione e lacrime, parti da melodramma. Sceneggiatura perfetta, che non fa una grinza, scritta con bravura e grande conoscenza del mestiere. Interpreti bravi, riprese originali, mai scontate, montaggio rapido e colonna sonora che saccheggia Bob Dylan, che si fa ascoltare con passione e accompagna il film più che bene. Da vedere su RaiPlay, se avete perso il passaggio televisivo su Rai Movie, che fa sempre scelte intelligenti.
Titolo Originale: Life Itself. Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: USA, 2018. Durata: 117’. Regia: Dan Fogelman. Soggetto e Sceneggiatura: Dan Fogelman. Fotografia: Brett Pawlack. Montaggio: Julie Monroe. Effetti Speciali: Joe Galione. Musiche: Federico Jusid. Scenografia: Gerald Sullivan. Costumi. Melissa Toth. Produttori: Marty Bowen, Wyck Godfrey, Aaaron Ryder, Dan Fogelman. Case di Produzione: Temple Hill Entertainment, Film Nation Entertainment, 17-28 Black. Distribuzione: Cinema. Genere: Drammatico, Sentimentale. Interpreti: Oscar Isaac (Will Dempsey), Olivia Wilde (Abby Dempsey), Mnady Patinkin (Irwin Dempsey), Jean Smart (Linda Dempsey), Olivia Cooke (Dylan Dempsey), Sergio Peris-Mencheta (Javier Gonzalez), Laia Costa (Isabel Diaz Gonzalez), Alex Monner (Rodrigo Gonzalez-Diaz), Isabel Durant (Shari Dickstein), Lorenza Izzo (Elena Dempsey-Gonzalez), Annette Bening (dottoressa Cait Morris), Antonio Banderas (Vincent Saccione), Samuel L. Jackson (se stesso).