Alla fine degli anni ’50 dell’Ottocento in Egitto arrivarono flussi migratori dall’Italia in vista della realizzazione del canale di Suez, costruzione di portata immane. Da Lucca emigrò una coppia che si stanziò ad Alessandria: Antonio Ungaretti, operaio del suddetto progetto, e Maria Lunardini. Giuseppe Ungaretti, nato proprio nella suddetta città dagli inizi leggendari a ovest del delta del Nilo, è quindi uno dei tanti figli del fenomeno migratorio italiano. Egli si trovò a vivere in un crogiolo di culture che lo spinse sempre di più verso lo studio delle Lettere. Alessandria d’Egitto diventò fonte di ispirazione per il giovane Ungaretti che si appassionò alla meravigliosa storia del suo porto e dell’annesso faro risalente al regno del faraone Tolomeo I. L’esperienza della Grande Guerra portò al poeta tanta sofferenza e Veglia – scritta sul fronte in prossimità del tristissimo e bellicoso Natale del 1915 – è una poesia carica di dolore e di amore per la vita allo stesso tempo. Pietro Salvatore Reina – stimato collega e amico caro con il quale condivido l’immensa passione per la letteratura – ci propone un excursus biografico di questo autore dalle mille sfaccettature che veramente ha saputo scrivere in maniera superlativa dando moltissima importanza alla parola. Il titolo stesso che Reina dà all’articolo è molto significativo: “Poeta che scava la parola”. Per Giuseppe Ungaretti le parole sono importantissime e, giocando con esse, fa in modo che il lettore si trovi davanti a scenari ora meravigliosi ora terribili. Pietro Salvatore Reina dedica questo bell’articolo a due dei suoi affetti più cari: al suo amatissimo padre e a sua sorella poiché, come in Charlotte Brontë, non c’è nessun altro vero sentimento che possa eguagliare quello per una sorella: «Sai bene quanto me qual è il valore dell’affetto di una sorella: non c’è nulla di simile in questo mondo».
Prof. Armando Giardinetto
L’8 febbraio 1888 nasce nella città di Alessandria d’Egitto Giuseppe Ungaretti il «primo poeta italiano di formazione europea, ma non soltanto europea, globale» (Flavio Santi).
Nella biografia di Ungaretti i luoghi sono importanti. Nasce ad Alessandria d’Egitto, una città circondata dal deserto, aggrappata al delta del Nilo, al Mediterraneo. «Una città che ha nel sangue il canto dei beduini» (Flavio Santi). La città fondata da Alessandro Magno nel 332 a.C. La città del faro e della più grande biblioteca del mondo antico.
I genitori di Ungaretti sono degli immigrati originari della provincia di Lucca. Il padre Antonio è un operaio, uno sterratore impiegato allo scavo del Canale di Suez. Un uomo che «a furia di affondare le gambe nel fango si ammala, muore quando Giuseppe ha due anni». La madre, Maria Lunardini, manda avanti la gestione di un forno, con il quale riesce a garantire gli studi al figlio, iscrivendolo all’Ecole Suisse Jacot, un prestigioso liceo svizzero di lingua francese. Tra i banchi di scuola Giuseppe conosce Moammed Sceab con il quale condivide la passione essenziale per la poesia e l’impegno politico. La città di Alessandria è un vivacissimo centro culturale per la presenza di etnie, religioni diverse. Il piccolo e giovane Giuseppe ha una balia originaria del Sudan, una domestica croata, una badante argentina. Qui conosce e incontra, condividendo l’amore per la Letteratura, Enrico Pea, un altro immigrato della sua stessa Lucca, Enrico Pea. In questi anni, ad Alessandria, viveva uno dei più importanti poeti greci del primo Novecento, Kostantino Kavafis, con cui il giovane Giuseppe si incontra.
La città di Alessandria è per Giuseppe Ungaretti anche una storia. La storia del faro costruito sull’isola di Faro, nel porto della città, una delle sette meraviglie del mondo antico, che il tempo ha letteralmente sepolto, ha riempito di sabbia e che nessun scavatore disseppellirà mai. Il «porto sepolto» e la «biblioteca scomparsa» sono le prime immagini, le immagini madri e padri della poesia di Ungaretti. Una poesia che è, contestualmente, «mistero» e «esplorazione del mistero». Più tardi, in Ragioni d’una poesia (p. LXIX), Ungaretti scriverà: «il mistero c’è, è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c’è, e col mistero, di pari passo la misura; ma non la misura del mistero, cosa umanamente insensata». Il «porto sepolto» è ciò che di segreto rimane in noi, indecifrabile:
Vi arriva il poeta
E poi torna alla luce con i suoi canti
E li disperde
Di questa poesia
Mi resta
Quel nulla
Di inesauribile segreto.
In questi anni Ungaretti scopre e legge con passione le parole, i versi di Mallarmé. La grande poesia francese della seconda metà dell’Ottocento ma soprattutto Mallarmé opera uno «scavo senza fine dentro la parola», un’«indagine sul segreto impossibile della parola». Un punto di riferimento importante nella produzione letteraria di Ungaretti.
Nel 1912 si trasferisce a Parigi dove frequenta i maggiori artisti dell’avanguardia europea: Picasso, Stravinsky, Marinetti, Kandinsky, Apollinaire, Gide, Bergson. Nella capitale europea della cultura conosce anche Palazzeschi e Soffici.
Allo scoppio della Grande Guerra, nel 1915, si arruola come soldato semplice in fanteria e combatte sul Carso e sul fronte francese. Il primo conflitto mondiale ispira a Ungaretti una profonda riflessione sull’effimera condizione umana e sul valore della fratellanza fra gli uomini. Ungaretti scende dentro il dolore, la sofferenza. La prima poesia scritta sul fronte, in trincea è Veglia. Un testo composto durante la veglia del poeta-soldato Ungaretti a una salma di un soldato italiano. È il 23 dicembre 1915 sul fronte della Cima Quattro del Monte San Michele:
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
La poesia di Ungaretti germoglia nelle città di Alessandria d’Egitto e di Parigi ma vede la luce nei luoghi di battaglia, nelle trincee, nelle ferite della terra e degli uomini sul Carso. Una poesia di guerra ma attraversata da un grande slancio vitale. Il vitalismo di Ungaretti – nota il professore Giulio Ferroni – si concentra sulla fisicità, sulla corporeità della parola, sul senso della parola e del corpo, sul senso dell’esistere in quanto proiettato nel flusso della vita. La grande unicità e forza dell’uomo e poeta Ungaretti è nell’uso sapientemente magistrale dell’analogia: elabora, tesse, fissa immagini fulminanti e indimenticabili come ad esempio:
Col mare mi sono fatto una bara di freschezza (Universo)
[…]
L’aria è crivellata come una trina dalle schioppettate degli uomini ritratti nelle trincee come le lumache nel loro guscio […] (In dormiveglia)
Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro
Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto
Ma nel cuore Nessuna croce manca È il mio cuore Il paese più straziato
(San Martino sul Carso)
Alla fine della guerra ritorna a Parigi. Ma nel 1921 si trasferisce a Roma. Nel 1936 viene chiamato a insegnare Lingua e Letteratura italiana all’Università di San Paolo in Brasile. Oltreoceano rimane fino all’anno 1942, anno in cui ebbe la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea alla Sapienza di Roma. Un insegnamento che porta avanti al 1958, quando per raggiunti limiti di età sospende la docenza. Alla fine degli anni Sessanta Giuseppe Ungaretti introduce la lettura di alcuni versi omerici prima d’ogni sceneggiato dell’Odissea, diretto da Franco Rossi. Muore a Milano il 1° giugno 1970.
Giuseppe Ungaretti – come sottolinea Folco Portinari – è un protagonista assoluto non soltanto della poesia, ma della cultura del mondo. Perché́ Giuseppe Ungaretti ha sempre levato la sua voce nell’ambito delle grandi questioni culturali. Inoltre, in lunghissimi anni di insegnamento ha formato una generazione intera di intellettuali, di poeti, di critici letterari.
La vita di Ungaretti è stata una vita punteggiata e segnata da sogno e dolore (la morte del figlio Antonietto a soli nove anni per un’appendicite malcurata), da fantasie, vagheggiamenti ed illusioni. Con l’esperienza poetica ungarettiana la figura del poeta ottocentesca «genio e sregolatezza» viene definitivamente messa in soffitta. Eugenio Montale scrive che Ungaretti ci ha dato una lezione che ha un valore inestimabile.
Il suo biografo ed amico Leone Piccioni (Per conoscere Ungaretti) gli ha dedicato forse le parole più belle: Ungaretti riscopre «la nudità̀ e la verità̀ della parola, della parola nuda, spoglia, intensa in sé, … era la parola sacra che scopriva, la parola «segreta» perché́ segreta era la sua sacralità̀, la parola viva, germe della vita, principio della vita: era una parola tornata libera proprio perché́ ricondotta al senso suo primordiale ed eterno».