Il 19 febbraio 2016, alle ore 22:30, muore, nella sua casa-biblioteca, in piazza Castello a Milano, Umberto Eco. Da sette anni ci manca il suo sguardo acuto e ironico sul mondo, il suo essere «lector in fabula» (titolo di un suo celebre saggio del 1979). In quest’opera, infatti, Eco scrive «del perché il testo può dare piacere […] Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare» (p. 52).
Umberto Eco nasce nella città di Alessandria il 5 gennaio 1932. Frequenta il Liceo Classico «Giovanni Plana». Si iscrive e frequenta l’università a Torino dove si laurea a soli 22 anni con una tesi sull’estetica in san Tommaso d’Aquino. Una Tesi di Laurea, progettata e discussa con il professore Luigi Pareyson, il suo relatore, uno dei maggiori filosofi italiani del Novecento assieme a Nicola Abbagnano; uno studio fondante che percorrerà attraverserà in lungo e in largo i suoi vari romanzi, studi, saggi. Una tesi che, nel 1957 viene pubblicata da Bompiani con il titolo, appunto, Il problema estetico in Tommaso d’Aquino. Un saggio, questo, con il quale il giovane Eco inizia la sua carriera di studioso della sensibilità, della bellezza, dell’idea di bellezza, della luce e colore, dell’allegoria e simbolo del Medioevo. Un saggio che rivela il Medioevo come un’epoca ricca di speculazioni affascinanti e vertiginose sulla bellezza, il gusto, il bello.
Fino al 1959 lavora ai programmi culturali della RAI e presso la casa editrice Bompiani. Nel 1971 diventa professore di Semiotica all’Università di Bologna.
Dal 1985 al 1998 scrive e raccoglie appunti occasionali che costituiscono e danno senso alla celebre rubrica del settimanale L’Espresso «La bustina di Minerva». Ogni bustina è una perla di saggezza, ironia, razionalità. Del 2 giugno 1991 è la celeberrima «bustina» Perché i libri allungano la vita: «il libro è un’assicurazione sulla vita, una piccola anticipazione di immortalità». Nel 1997 scrive un’accesa «Minerva», dal titolo Quanti libri non abbiamo letto? nella quale annota: «In occasione del salone del libro di Torino è stata condotta una inchiesta presso vari intellettuali per sapere quali libri non avessero mai letto. Come era prevedibile le risposte sono state variate ma tutti gli interrogati sembrano aver risposto senza false vergogne. Così abbiamo scoperto che alcuni non hanno letto Proust, altri Aristotele, altri ancora Hugo e Tolstoj, o Virginia Woolf, compreso un illustre biblista che non ha mai letto per intero dal principio alla fine la Summa Theologiae di san Tommaso […] Alcuni non si rammaricano di non aver letto Joyce, altri ostentano di non aver mai letto la Bibbia, non rendendosi conto che queste lacune non li distinguono ma li massificano. […] Questa inchiesta è stata secondo me di grande interesse per i lettori comuni. […] Ebbene, vorrei confortare i lettori comuni provando come sia vero che tutti quegli intervistati non hanno letto davvero quei libri (e molti altri ancora) aggiungendo che se io avessi dovuto rispondere a quella domanda avrei strabiliato me stesso elencando le opere immortali con le quali non ho mai avuto commercio di amorosi sensi. […] Quanto tempo ci vuole per leggere un libro? Parlando sempre dal punto di vista del lettore comune, che dedica alla lettura solo alcune ore del giorno, azzarderei per un’opera di medio volume almeno quattro giorni. È vero che per leggere Proust o san Tommaso occorrono mesi, ma ci sono capolavori che si leggono in un giorno. […] Si può essere colti sia avendo letto dieci libri che dieci volte lo stesso libro. Dovrebbero preoccuparsi solo coloro che di libri non ne leggono mai. Ma proprio per questa ragione essi sono gli unici che non avranno mai preoccupazioni di questo genere».
Il 21 novembre dell’anno 2012 il professore Umberto Eco pubblica per Bompiani il volume Scritti sul pensiero medievale. Un volume di più di milletrecento pagine che testimoniano la sua continua attenzione amorosa per la filosofia, l’estetica medievale, la letteratura, Dante, il Milione di Marco Polo, ecc. In questa grande opera, fra gli scritti minori, emerge «Lettura del Paradiso» (pp. 1195-1201). Scritto come articolo per il quotidiano «la Repubblica» del 6 settembre 2000, in una serie di interventi dedicati al settecentenario della Commedia, poi ripreso su Paragone (agosto-dicembre, 1999), infine nella raccolta di saggi Sulla letteratura (2002). Umberto Eco, come Thomas Stearns Eliot, preferisce il Paradiso all’Inferno e al Purgatorio. Il professore Eco capovolge il giudizio che si legge nella famosa Storia della letteratura italiana di De Sanctis, secondo cui il Paradiso è «poco letto e poco gustato. Stanca soprattutto la sua monotonia». Un giudizio che esprime una «riserva che ciascuno di noi ha fatto al liceo, a meno che non avesse un professore straordinario. D’altra parte, a sfogliare qualche storia della letteratura più recente, ci si trova l’annotazione che la critica romantica il Paradiso lo aveva deprezzato, condanna che ha pesato anche sul secolo successivo. Siccome voglio dire che, naturalmente, il Paradiso è la più bella delle tre cantiche della Commedia, torniamo a De Sanctis, che era sì uomo del suo tempo, ma anche lettore di straordinaria sensibilità, per vedere come la sua lettura del Paradiso sia un capolavoro di tormento interiore, di qui lo dico e qui lo nego, di entusiasmo e diffidenza».
Nell’ultimo canto, il XXXIII, nei versetti 85-90, Dante vede (e per quello che gli è possibile – annota Eco – ci fa vedere):
Nel suo profondo vidi che s’interna,
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
È nella conclusione dell’articolo che affiora l’acume e l’ironia del grande accademico: «[…] vorrei aggiungere qualcosa di più, per colpire l’immaginazione dei più giovani, o di coloro a cui non interessano né Dio né l’intelligenza. Il Paradiso dantesco è l’apoteosi del virtuale, degli immateriali, del puro software, senza il peso dell’hardware terrestre e infernale, di cui rimangono i cascami nel Purgatorio. Il Paradiso è più che moderno […] è il trionfo di una energia pura, ciò che la ragnatela del Web ci promette e non saprà mai darci, è una esaltazione di flussi, di corpi senza organi, un poema fatto di novae e stelle nane, un Big bang ininterrotto, un racconto le cui vicende corrono per la lunghezza di anni luce, e se proprio volete ricorrere a esempi familiari una trionfale odissea nello spazio, a lietissimo fine. Se volete, leggete il Paradiso anche così, male non potrà farvi e sarà meglio di una discoteca stroboscopica e dell’ecstasy. Perché, a quanto a estasi, la terza cantica mantiene le sue promesse».