È trascorso un anno dall’invasione russa in Ucraina ed è necessario cercare di comprendere quanto è accaduto e quanto ancora sta accadendo alle porte dell’Europa.
Le fake news spopolano in rete e abbiamo bisogno di voci autorevoli per conoscere la verità e allontanarci da quello che tecnicamente viene definito “pregiudizio di conferma” delle notizie. Sì perché, sempre più spesso, preferiamo scegliere alcuni dati e alcune informazioni a sostegno di ciò in cui crediamo, diventando completamente ciechi.
Proprio per questo motivo ho intervistato il prof. Francesco Pira, sociologo di fama nazionale e internazionale, esperto di comunicazione e attento studioso delle differenze tra propaganda e disinformazione nel conflitto russo-ucraino.
Il professor Francesco Pira, siciliano 57 anni, sociologo, è professore associato di sociologia dei processi culturali e comunicativi. Insegna giornalismo web e comunicazione strategica, teorie e tecniche del linguaggio giornalistico e comunicazione istituzionale presso il Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne dell’Università degli Studi di Messina, dove è Direttore del Master in “Esperto in Comunicazione Digitale per PA e Impresa”. Il Rettore professor Salvatore Cuzzocrea lo ha nominato nel 2020 Delegato alla Comunicazione dell’Ateneo peloritano.
Intensa la sua attività di ricerca e didattica anche all’estero. Dopo una docenza Erasmus in Armenia all’Università di Yerevan è stato Visiting Professor “Marie Curie” presso il Center for Social Science, Tiblisi (Georgia), nell’ambito del Progetto SHADOW (MSCA-RISE call H2020-MSCA-RISE-2017). Molto presto, tornerà in Armenia per portare avanti il suo lavoro di ricerca.
Ha intrapreso una battaglia personale contro il bullismo, il cyberbullismo, il sexting, le fake news e la violenza sulle donne. Su questi temi ha svolto ricerche e tenuto seminari in Italia e all’Estero per studenti, docenti e genitori. Nel giugno 2020 è stato nominato Presidente dell’Osservatorio Nazionale sulle Fake News di Confassociazioni.
È componente del Comitato Promotore e componente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale di PA Social e Istituto Piepoli. Saggista è autore di numerosi articoli e pubblicazioni scientifiche.
Ha partecipato a tantissimi webinar e a tantissime conferenze nazionali e internazionali, dove ha presentato i dati della sua ultima ricerca contenuta all’interno del suo ultimo saggio “Figli delle App”, edito da Franco Angeli Editore – Collana di Sociologia.
Il prof. Pira è ritornato da Lublino (Polonia), dove ha lavorato, concretamente per definire le ultime fasi del Progetto OIR che si concluderà a maggio del 2023. Si tratta di un progetto europeo Erasmus, di cui è capofila l’Università Marie Curie di Lublino (Polonia) e di cui sono partner l’Università di Messina e l’Università di Oviedo (Spagna). Il prof. Pira coordina per l’Italia il progetto OIR che studia le nuove forme di istruzione digitale inclusiva. Una partnership per condividere pratiche e formare esperti in tecnologia educativa. Una sfida che ha accolto, insieme al gruppo di lavoro, consapevole della necessità emersa dopo l’emergenza pandemica.
Professore, questo viaggio in Polonia assume contorni molto particolari. Un’esperienza importante che le ha dato la possibilità di ascoltare le testimonianze di tante persone in fuga dalla guerra e dalla violazione dei diritti umani. La Polonia si presenta come avamposto NATO sul fronte orientale e poco prima della sua partenza ha chiesto sanzioni più dure nei confronti della Russia. Lublino si trova al confine con l’Ucraina e continua ad essere una vera e propria casa per i profughi ucraini. Quali sono state le sue sensazioni? In quale modo la Polonia sta accogliendo gli ucraini?
«Un viaggio ricco di emozioni che mi ha permesso di riflettere, ancora una volta, sulle ragioni della violenza e dell’odio. Martin Luther King ha scritto che: “Con la violenza puoi uccidere colui che stai odiando, ma non uccidi l’odio. La violenza aumenta l’odio e nient’altro”. Oggi, l’orrore della guerra ci mostra l’egoismo dell’uomo che non lascia spazio ai gesti d’amore. L’amore esiste, ma è diventato quasi invisibile. La Polonia non è rimasta a guardare ed ha scelto di offrire agli ucraini aiuti concreti. L’UNHCR, Agenzia Onu per i rifugiati, ha dichiarato che le autorità polacche e la società civile hanno supportato uomini, donne e bambini provenienti dall’Ucraina. La Polonia ha collaborato tantissimo con le autorità nazionali, le amministrazioni locali, i comuni per garantire sostegno ai rifugiati che hanno richiesto asilo. L’ANSA ha riportato i dati comunicati dai Paesi UE a Eurostat e la Polonia è stata tra gli Stati che ha concesso il maggior numero di status di protezione temporanea agli ucraini in fuga (40.370). Una notizia delle ultime ore ci informa che l’Università cattolica di Lublino ha accolto i profughi arrivati dall’Ucraina e ha dato vita ad un “help – desk” per sostenere chi riesce a raggiungere la Polonia e non sa a chi rivolgersi. Il portavoce della Conferenza episcopale della Polonia, don Pawel Rytel-Andrianik, ha dichiarato che: “Oltre cento posti in un dormitorio studentesco, così come la necessaria assistenza legale, spirituale e psicologica e l’assistenza all’infanzia, sono in queste ore offerti dall’Università Cattolica Giovanni Paolo II di Lublino ai cittadini ucraini che stanno vivendo gli effetti dell’invasione russa”. Il Rettore dell’ateneo cattolico, il prof. Mirosław Kalinowski, ha detto che: “le attività di aiuto della Kul (Katolicki Uniwersytet Lubelski Jana Pawła II) non si rivolgono solo agli studenti, ma a tutti i cittadini ucraini. In accordo con le autorità della provincia di Lublino, la Kul ha messo a disposizione una linea telefonica di contatto e un’ indirizzo e-mail gestito in ucraino, russo e polacco. Durante il colloquio è possibile ricevere informazioni complete, ad esempio su dove cercare aiuto e come proseguire gli studi in Polonia”. L’Università dove sono stato ospita studenti ucraini. Un disastro umanitario assurdo e in particolare quello che ci sconvolge sono gli orrori che ogni giorno si consumano sui civili disarmati. Un odio che sembra non fermarsi e non sappiamo cosa accadrà perché in fondo questa guerra, anche se non sentiamo il rumore dei bombardamenti, non è poi cosi lontana».
Quanto influiscono le fake news sul fenomeno migratorio?
«La frontiera, il superamento del limite, della barriera fisica è la spinta che muove milioni di persone da secoli per raggiungere luoghi, città, nazioni dove si immagina di poter conquistare una vita migliore. Ma la frontiera diviene anche limite culturale, laddove vengono a mancare le informazioni e gli strumenti per leggere la realtà e comprenderla, dando così vita ad un vero e proprio corto circuito comunicativo fondato sull’alterazione della realtà e sulla manipolazione. Nella rappresentazione della migrazione si assiste alla costante alterazione della realtà. Si realizza così una manipolazione che ha effetti profondi sui modelli culturali e cognitivi degli individui distorcendo i meccanismi di costruzione della fiducia e credibilità. La migrazione, già da alcuni anni, ha dimostrato essere un tema capace di rispondere perfettamente all’esigenza di alimentare il frame della paura che crea consenso e dunque potere sull’opinione pubblica. Proporre, infatti, la contabilità dei flussi, mostrare gli sbarchi e i centri di accoglienza, associare quei volti senza nome a paesi attraversati dalla guerra e dal terrorismo, associare seppure indirettamente la crisi economica ai migranti che stanno cercando di entrare in Europa, enfatizzare i fatti di microcriminalità diffusa che coinvolgono stranieri, sono tutti elementi utili a delineare un quadro ben preciso, capace di generare un atteggiamento di paura e insicurezza che in alcuni casi evolve in ostilità e violenza verso coloro che sono percepiti come “degli intrusi” che turbano la nostra relativa sicurezza e minacciano il nostro benessere. Il nostro Paese registra un alto numero di migranti e, arrivano bambini senza i loro genitori, donne che sono state violentate in Libia e uomini che sono stati perseguitati. Le storie che le Onlus registrano sono atroci e allucinanti. La dignità dell’uomo viene assolutamente calpestata da aguzzini senza scrupoli. In Italia accade che immagini ad alto tasso di drammaticità, decontestualizzate, suscitano emozioni nel pubblico e ne influenzano le decisioni. Ecco perché diventa necessario che la narrazione sia accurata e approfondita e risulta del tutto evidente come sia ormai urgente riscrivere le regole della comunicazione».
Papa Francesco è intervenuto in diverse occasioni per difendere i migranti ed ha cercato di spiegare la loro sofferenza. Qualche giorno fa, in qualità di Direttore Editoriale di Scrivo Libero, ha rilasciato una dichiarazione sulla tragedia del mare di Crotone, avvenuta il 26 febbraio. Storie terribili su cui bisogna ragionare e soprattutto servono delle soluzioni efficaci.
«Si è vero. Le persone diventano numeri e il Mediterraneo un sentiero di morte e la culla della morte di quanti cercano di trovare una vita migliore. Una tragedia che non ha colore politico e che non può essere strumentalizzata da nessuno. Purtroppo, non ricordiamo il nostro passato. Molti italiani dal secondo dopoguerra furono costretti a lasciare l’Italia in cerca di un lavoro e di migliori condizioni di vita. Noi dobbiamo decidere quale futuro vogliamo disegnare e quali valori e sentimenti desideriamo trasmettere alle nuove generazioni».
Oggi, preoccupa tanto l’idea di una cyberwar ed è considerata la nuova frontiera della guerra. Qual è la sua opinione sulla guerra cibernetica?
«Una cyberwar è una guerra in cui le tecnologie elettroniche e informatiche e i sistemi di telecomunicazione sono diventati indispensabili come nella vita di tutti i giorni. Ci sono diverse tipologie di guerra cibernetica: spionaggio, sabotaggio, attacchi alla rete elettrica, attacchi di propaganda, attacchi all’economia e attacchi ai server. In passato si è discusso moltissimo del Fancy Bear, un gruppo russo di criminalità informatica organizzata. I rischi si possono valutare attraverso i wargame cibernetici. Un wargame può aiutare gli stati, le città e i paesi ad affrontare la guerra informatica con diverse modalità: vengono analizzate le situazioni, si attivano meccanismi di collaborazione e cooperazione e si stabiliscono le politiche di guerra cibernetica, sperimentando e ottenendo diversi risultati. L’ingegner Riccardo Petricca, in un suo intervento, ha descritto tre tipologie di cyberwar: “Il primo tipo di attacco di una cyberwar è quello alle infrastrutture critiche, ossia ai servizi energetici, idrici, di combustibili, delle comunicazioni, commerciali, sanitari (ospedali, cliniche, ASL, ecc.), ma anche ai trasporti, (porti, aeroporti, autostrade, tram, metropolitane, ecc.). C’è poi il vandalismo web che consiste in attacchi volti a modificare o cancellare interi siti o anche solo delle singole pagine web oppure a rendere temporaneamente inagibili i server. Si passa quindi all’intralcio delle apparecchiature militari che utilizzano computer e satelliti per coordinarsi. Un attacco che si potrebbe considerare anche tradizionale è quello che riguarda la raccolta dati, ossia la raccolta di informazioni riservate per essere intercettate e modificate, rendendo così possibile lo spionaggio. Infine, si è particolarmente sviluppata e ha preso piede soprattutto negli ultimi anni la propaganda di messaggi politici che possono essere spediti o resi disponibili in rete per una guerra psicologica, strettamente collegata al fenomeno delle fake news”. Non è difficile comprendere che gli uomini continuano a farsi del male, sfruttando anche le nuove tecnologie e a pagare il prezzo più alto sono i bambini».
Le immagini dei bambini, veicolate dai social, generano in ognuno di noi considerazioni profonde e significative. La narrazione dei fatti coinvolge anche i piccoli e in questa guerra è necessario dare una valutazione a quella che viene definita da Weber “etica della responsabilità”. Qual è la nuova missione del giornalista?
«Il giornalista deve rinnovare il suo ruolo di intermediazione tra il fatto e il suo racconto. Il chi e il cosa mostrare, il dove, il quando e soprattutto il perché, rappresentano domande a cui corrispondono risposte che sono frutto ognuna di decisioni che il giornalista prende in tempi sempre più compressi. La capacità di determinare le conseguenze delle proprie decisioni è tanto più necessaria oggi nella società digitale dove forze contrastanti si contrappongono. La cronaca ci offre la contabilità giornaliera degli sbarchi, dei recuperi a largo delle coste di Grecia, Turchia, Italia, dei morti, delle interminabili file di uomini, donne, bambini e anziani che cercano riparo in terra straniera. La questione deontologica è naturalmente intrinsecamente connessa all’etica della professione. L’Ordine dei giornalisti italiano si è dotato, nell’arco degli ultimi vent’anni, di una serie di protocolli deontologici che affrontano temi diversi, in particolare nel 1990 i giornalisti italiani firmarono la Carta di Treviso. Il codice deontologico per una cultura dell’infanzia che all’articolo 7 sancisce: “nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre in particolare attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona.” Ed ancora all’articolo 11: “tutti i giornalisti sono tenuti all’osservanza di tali regole per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell’Ordine”. Proprio nell’articolo si fa riferimento al rischio sensazionalismo in nome di un sentimento di pietà, e questo ci riporta al tema della credibilità e al conseguente rischio di manipolazione dell’opinione pubblica. I media influenzano gli individui, il loro modo di interpretare la realtà e di formarsi un’opinione. La stesura di codici deontologici rappresenta, nell’intenzione dei promotori, una necessità d’intervento per rispondere all’evoluzione del quadro sociale e culturale oltre che normativo e fornire ai professionisti strumenti e regole che consentano loro di gestire in modo corretto il processo organizzativo, newsmaking, che sta alla base della produzione di informazione, al fine di evitare distorsioni involontarie o manipolazioni. Questo accade perché siamo sempre più abituati a frequentare i social network e a dover gestire un continuo susseguirsi di notizie non vere. Non basta confutare le notizie false, ma diventa funzionale innescare una serie di informazioni positive sullo stesso argomento, contribuendo alla costruzione di un controflusso di informazioni da far girare su tutte le piattaforme disponibili La qualità delle notizie fa la differenza e la qualità è un valore. La sfida è quella di trasformare gli individui da consumatori passivi in consumatori critici e in autori consapevoli attraverso un percorso condiviso e aperto che può beneficiare del contributo dal basso di tutte le componenti attive della società, ma che richiede solide basi culturali e competenze tecnologiche per evitare che questo sviluppo avvenga all’interno di circuiti precostituiti dai creatori della tecnologia».
Cosa possiamo augurare ai bambini, ai preadolescenti e agli adolescenti, travolti dalla crudeltà e dalla ferocia della guerra.
«Qualche giorno fa Papa Francesco ha sottolineato l’infelicità dei bambini, ormai incapaci di sorridere e ci ha invitati a vincere la “sclerocardia”, la chiusura del cuore. Ma non solo. Il Santo Padre ha chiesto: “Quanti piangono – non dico fisicamente, ma nel cuore – per i bambini orfani in Ucraina? Quanti soffrono per questo? Quanti soffrono per i bambini di strada che rubano perché sono soli nella vita?”. Spero che i bambini possano ritrovare il loro sorriso e mi auguro che gli adulti ascoltino il loro grido di dolore, perché le loro lacrime non possono diventare un trofeo per far vincere un certo tipo di propaganda».
Ringrazio il professore Pira per questa intervista che ci aiuta a comprendere la rappresentazione mediatica della migrazione tra pseudo verità e nuove tecnologie. Una società che mostra un’identità complessa, dove il fenomeno migratorio incontra ostacoli quasi insormontabili. Le false notizie trasmettono messaggi di intolleranza nei confronti dell’altro e questo nel ventunesimo secolo è inaccettabile. Mi piace ricordare uno dei pensieri più belli di Mohāndās Karamchand Gāndhī, noto come Mahatma, “Il genere umano può liberarsi della violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore”. E noi da che parte stiamo? Io scelgo l’amore e la considerazione dell’altro, perché possono cambiare questo mondo e dar vita ad un atto rivoluzionario.