Un tempo il prezzo di un bene o prodotto derivava principalmente dal costo di produzione (intorno al 70%) e, in parte minore, dal marketing ovvero dai costi di commercializzazione (inclusi i trasporti). Da qualche decennio, con la diffusione delle multinazionali e della GDO questo rapporto si è invertito: a determinare il prezzo di un oggetto non è più il suo costo di produzione ma soprattutto le spese di commercializzazione. E tra queste, i trasporti.
I trasporti di beni, semilavorati e materie prime hanno assunto un ruolo fondamentale sull’economia globale. Si pensi alle conseguenze planetarie che ebbe il blocco del canale di Suez (dovuto ad una gigantesca nave porta-container che si era incagliata di traverso). O a ciò che ha comportato il blocco dei trasporti a causa della pandemia. O alle conseguenze, nel 2022, della guerra in Ucraina.
Ogni volta, l’aumento dei prezzi dei beni al consumo viene giustificato con l’aumento dei costi del trasporto delle materie prime e dei semilavorati. Ma davvero è sempre così? Stando ad alcuni indicatori sembrerebbe di no.
Il Baltic Dry Index (BDI) è il più importante indice di spedizione e commercio. Creato dal Baltic Exchange, che ha sede a Londra, questo indice misura l’andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie di navi “dry bulk cargo”. Non inganni il nome: non si limita alle rotte nel Mar Baltico, ma si basa sui prezzi dei noli sulle 24 rotte marittime più trafficate nel mondo, analizzando costi di spedizione delle materie prime e rapporto tra domanda e offerta. È formato da tre indici che calcolano le differenti dimensioni di vettori o navi mercantili come la capacità di carico in tonnellate: Capesize, Panamax e Supramax. Le navi Capesize sono quelle più grandi, con 100.000 tonnellate di portata lorda (DWT) o superiori (la dimensione media è di 156.000 DWT). Queste navi trasportano principalmente materie prime (come carbone e minerale di ferro) su rotte a lungo raggio. Occasionalmente sono utilizzate per trasportare anche cereali. Sono troppo grandi per attraversare passaggi stretti come il Canale di Panama. Le navi Panamax hanno una capacità da 60.000 a 80.000 DWT. Sono utilizzate principalmente per il trasporto di cereali e prodotti sfusi minori (come zucchero e cemento). Queste navi richiedono attrezzature specializzate per il carico e lo scarico. Le navi più piccole incluse nel BDI sono le Supramaxes, note anche come Handymaxes (o Handysize). Queste navi hanno una capacità di carico da 45.000 a 59.999 DWT.
Una variazione del Baltic Dry Index fornisce un dato inequivocabile sulle tendenze globali di domanda e offerta. L’aumento o la contrazione di questo indice è considerato un anticipatore della crescita (o decrescita) economica. Il motivo è semplice: si basa sulle materie prime che vengono spedite grezze, quindi con livelli minimi di speculazione. Questo indice cambia rapidamente se la domanda globale aumenta o diminuisce. Ciò avviene per due motivi: perché l’offerta di grandi vettori tende ad essere piccola con lunghi tempi di consegna o a causa di alti costi di produzione. In parole povere, questo indice aumenta quando il mercato globale è sano e in crescita. Al contrario tende a diminuire quando è in stallo o in calo.
Gli ultimi decenni hanno dimostrato l’affidabilità di questo indice. Nel 2008, la BDI aveva previsto la recessione. Altro momento critico si è verificato tra settembre 2019 e gennaio 2020, quando il Baltic Dry Index scese di oltre il 70% preannunciando una forte contrazione economica.
Recentemente, però, questo indice ha mostrato un’impennata che non appare giustificata da nessun fattore esterno. Nessuna pandemia. Nessuna crisi economica. Nemmeno la guerra in Ucraina potrebbe giustificare l’impennata che ha avuto il BDI negli ultimi dodici mesi (è praticamente raddoppiato) passando da 2400 a quasi 4800. Poi, improvvisamente, il BDI è crollato: oggi vale circa 1500, meno di quanto valeva nel 2018. Quando non c’era la pandemia né la guerra in Ucraina e il crollo di Wall street era acqua passata.
A fronte di un simile calo i prezzi al dettaglio e dell’energia dovrebbero essere crollati anche loro. Invece, stranamente, sono ancora altissimi. Tutto questo è spiegabile in un solo modo: qualcuno (anzi più di uno) sta speculando in modo inverosimile su questi alti e bassi. Chi non volesse credere al BDI, potrà dare un’occhiata agli utili miliardari registrati negli ultimi due anni da alcune multinazionali (anche tra quelle italiche).
Una volta a determinare il prezzo di un prodotto erano i costi (di produzione e di marketing), ora a farlo è qualcos’altro: è la brama di speculazione delle multinazionali. E quanto riescono a imporre ai consumatori con l’aiuto dei governi.