Nato nel 1396 nella Casa reale dei Trastámara, Alfonso I detto il Magnanimo divenne re di Napoli il 2 giugno 1442 portando nella città partenopea il ramo reale aragonese e fu proprio a Napoli, nel Maschio Angioino – chiamato poi Castelnuovo – che il Magnanimo stabilì la sede fissa del suo reame. Nella medesima città egli morì di malaria nel 1458 e, in un primo momento, venne sepolto nella Basilica di San Domenico Maggiore, in seguito i suoi resti mortali furono portati in Catalogna, nella cripta reale del Monastero di Santa Maria di Poblet, a 100 km da Barcellona.
I suoi biografi ci hanno tramandato le sue passioni: la politica estera; la storia; le arti in genere; l’industria della seta e della lana; la letteratura classica – amava profondamente Tito Livio e Gaio Giulio Cesare – le letture sulle gesta di Alessandro Magno. Su tutte le cose, però, fu appassionato di esoterismo tanto che negli stanzoni del Castelnuovo fece dipingere e scolpire oggetti e simboli esoterici che ancora oggi sono visibili agli occhi dei visitatori. Inoltre fu promotore dell’edilizia, infatti fece costruire e accomodare nuove strade, strutture, acquedotti, palazzi e torri, di queste ultime due si possono vedere ancora oggi nei pressi di piazza del Carmine, queste sono le Torri Aragonesi di via Marina: la torre Brava e la torre Spinella che erano parte del castello del Carmine – oggi scomparso – sulle cui mura avrebbero camminato i condannati a morte durante i tumulti dei secoli successivi.
Sotto il suo regno Napoli divenne più grande e più popolosa che mai dal momento che arrivavano continuamente flussi migratori da ogni dove unitamente agli ebrei che vi si portavano dopo l’espulsione dalla Spagna. Alla sua corte Alfonso incontrava spesso rinominati artisti, umanisti e intellettuali dell’epoca tra cui il napoletano Giovanni Pontano (1429-1503).
Uomo di grande fascino, il re si sposò una sola volta, ma ebbe tantissime amanti e alcuni figli illegittimi – almeno quattro – tra cui il suo successore sul trono di Napoli: Ferrante. Infatti dei 43 anni di matrimonio con la regina consorte, Maria di Trastámara, solo poco più di dieci anni passarono in stretto contatto, ben trent’anni essi li vissero separati, uno a Napoli e l’altra in Spagna, senza aver generato mai un figlio legittimo anche perché probabilmente la regina era sterile. Uno soltanto, però, fu l’amore indissolubile della sua vita, quello con Madonna Lucrezia d’Alagno, che abitava a Torre del Greco e che apparteneva a una delle famiglie nobili del sedile di Nilo. Pare che fosse molto bella, con due belle trecce bionde e con grandi occhi neri. Alfonso la vide alla festa di San Giovanni a Napoli e se ne innamorò immediatamente tanto che decise di andare ad abitare proprio nella ridente cittadina della giovane in quello che oggi è il palazzo del Municipio. Alcuni storici ritengono che, se il cinquantaquattrenne re non ritornò mai nella sua terra natale, fu perché venne trattenuto dall’amore per questa donna di appena 18 anni alla quale concedeva ogni cosa che gli venisse chiesta. Infatti i testi ci raccontano che chiunque volesse domandare una grazia o un favore al re, passava per Donna Lucrezia che intercedeva per loro.
Insomma questa “meravigliosa storia d’amore” – così come lo stesso Alfonso la definiva – durò ben vent’anni. Tuttavia, dopo la morte del regnante, purtroppo Lucrezia cadde in disgrazia perché era mal vista da Ferrante e da tutta la corte: fu esule a Roma dove morì in miseria a cinquant’anni.
Tornando alla presa di Napoli ad opera degli Aragonesi, di cui il racconto è impresso nel marmo bianco dell’arco rinascimentale di Castelnuovo, fatto costruire antecedentemente da Carlo I d’Angiò nel 1279, va detto che il Magnanimo mise piede per la prima volta nella città partenopea negli ultimi anni di regno della Regina Giovanna II (1371-1435), nel 1421, la quale lo chiamò in sua difesa contro gli Sforza che combattevano a favore di papa Martino V il quale aveva nominato Luigi III d’Angiò-Valois re di Napoli usurpando il trono di Giovanna che, raggiunta ormai l’età avanzata, non aveva avuta figli ereditari. Tuttavia, per una serie di peripezie, inganni e tradimenti, la vera e propria conquista del suddetto Regno ebbe inizio dopo la morte della regina Giovanna, quando Alfonso e suo fratello Pietro occuparono Capua e Gaeta, purtroppo però questa coalizione fraterna era destinata a durare poco tempo poiché due anni dopo, nel 1438, in un primo e fallito assedio contro le fortissime ed impenetrabili mura della città di Napoli, Pietro perse la vita lasciando solo Alfonso il quale, nonostante il lutto per l’amato fratello, nel 1439, insieme al suo esercito, occupò alcune città importanti come Aversa, Salerno e Benevento. Una romanza spagnola di autore anonimo canta il dolore e la bramosia di Alfonso fuori dalle mura della città di Napoli: “Guardava la grande città che Napoli si diceva. Guardava i tre castelli che la gran città aveva: Castelnuovo e Capuano; Santelmo che riluccicava… Piangeva dai suoi occhi e dalla sua bocca diceva: Oh città, quanto mi costi per mia gran disgrazia. Mi costi di duchi e conti, uomini di gran coraggio. Mi costi un mio fratello che per me era un figlio… Mi costi ventidue anni, i migliori della mia vita. Qui mi crebbe la barba, qui invecchiai” (traduzione di “Romance del rey de Aragón” o “Queja de Alfonso V ante Nápoles” XVI sec.). A novembre del 1441 Alfonso mise di nuovo Napoli sotto assedio e stavolta, dopo sette mesi di terrore assurdo in cui persero la vita migliaia di napoletani innocenti, la città cadde presentandosi in un bagno di sangue: era il 2 giugno 1442. Così l’anno seguente, con la fuga dalla città di re Renato il Buono, Alfonso riuscì finalmente a battere le truppe degli Sforza e, dichiarata l’unione del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli sotto un’unica corona, il Magnanimo – poi nominato Re delle Due Sicilie da papa Eugenio IV – entrò trionfante nella capitale di un nuovo Regno ora tutto aragonese. Gennaro Maria Monti, cronista dell’epoca, ha saputo descrivere con queste parole la magnificenza di quella giornata: “Alli 1443 alli 26 del mese di Febbraio di Martedì alle 15 hore entrò lo Re Alfonso d’Aragona col Carro Trionfale, et entrò per la porta del Mercato, e prima lo suo entrare fece rompere, et abbattere tante canne delle mura della detta Città di Napoli trionfando come l’antichi Sovrani. Sopra lo detto Carro, Sua Maestà sedeva con lo scettro”.
Una storia leggendaria e curiosa vuole che Alfonso e le sue truppe entrarono nella città di Napoli attraverso un pozzo misterioso chiamato di Santa Sofia. La rivelazione di tale via di ingresso segreta in città venne fatta da due muratori, o cosiddetti pozzari – Aniello e Roberto – e addirittura pare che anche il generale bizantino Belisario, durante la guerra gotica, nel 537, entrò in Neapolis, proprio attraverso un’arteria di questo pozzo che era collegato tramite cunicoli all’antichissimo acquedotto greco della Bolla il quale stava in un territorio paludoso molto vicino al capoluogo campano dove oggi sorge la città di Volla. Il tunnel, che avrebbe portato in gran segreto gli Aragonesi in città, sbucava nella modesta bottega di mastro Citiello cosetore – un sarto – e di sua moglie Ciccarella che vivevano con i figli Elena e Leone: “E rivedevo la sorpresa e lo spavento della famigliuola del sarto, e gli uomini d’arme che minacciavano morte o persuadevano al silenzio, e l’irrompere per le strade delle schiere, e il tumulto e la mischia coi soldati di Renato, e l’apertura della porta della città, per la quale entrava a furia l’intero esercito assediante” scrisse Benedetto Croce, filosofo, scrittore, politico e storico letterario. Attualmente non abbiamo traccia né del pozzo né della casa-bottega del sarto, qualcuno sostiene che essi vanno cercati in quella che oggi è via Santa Sofia, nel centro storico cittadino. Fatto sta che Alfonso I re di Napoli detto il Magnanimo fu promotore di un periodo estremamente fiorente della città che divenne una grande capitale europea del Rinascimento e la sede fu esattamente la corte alfonsina dove molti uomini di cultura dell’epoca desideravano visitare.
Dalla salita al trono di Alfonso d’Aragona viene teoricamente costituito quello che secoli più tardi, nel 1816 con il re Ferdinando di Borbone<<, si chiamerà Regno delle Due Sicilie. È pur vero, come detto sopra, che Alfonso ebbe senza dubbio il titolo come re delle Due Sicilie, ma i due regni effettivamente rimasero separati. Difatti la corona indossata dal Rex Utriusque Siciliae distingueva il Regno di Napoli come “citra pharum” e quello di Sicilia come “ultra pharum”. In seguito, dopo la dipartita di Alfonso, i regni tornarono ad avere vita indipendente, uno con capitale Napoli, l’altro con capitale Palermo.