Tra le più belle strade della città di Napoli ce n’è una che porta il nome di battesimo del viceré Don Pedro de Toledo che arrivò nella capitale del Regno napoletano nel 1532 e, entrando dalla Porta Capuana, vi restò per circa un ventennio durante il quale Napoli diventò una delle roccaforti spagnole più potenti e più protette.
Don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga nacque a Salamanca, in Castiglia, il 13 luglio 1484. A 50 anni venne mandato a Napoli, in un primo momento abitò nelle stanze reali del Maschio Angioino, poi si fece costruire un palazzo nei pressi dell’attuale Piazza Trieste e Trento – precisamente dove oggi si trova un piccolo parcheggio tra il Palazzo Reale e il Teatro San Carlo – infine, dato il suo amore per le acque sulfuree e l’aria fetida ma benefica della Solfatara, scelse di andare a vivere in una maestosa villa a Pozzuoli che dava sul mare, Palazzo Toledo (oggi esistente), lontano dagli intrighi di corte, forse anche perché non aveva scelta dal momento che i nobili napoletani erano molto arrabbiati con lui e continuavano ad inviare lettere all’imperatore Carlo V d’Asburgo perché licenziasse il vicario. “Il viceré… forte del consenso di Carlo V, tenne ad essere non già amato, ma temuto… fece sentire il suo pugno pesante sui patrizi, la città e il popolo” così scrisse Benedetto Croce in Storia del Regno di Napoli. In effetti Don Pedro non era ben visto dal popolo, infatti i testi ci raccontano che era un uomo con un carattere molto forte e per questo molto temuto.
Amante delle pratiche messe in atto dall’Inquisizione, Don Pedro era caratterizzato da una presenza che metteva soggezione a chi gli stava dinnanzi durante le udienze che personalmente dava a tutti. Era grande e grosso; aveva una barba lunghissima e uno sguardo tremendamente freddo. Rimproverava spesso e volentieri i cortigiani; era burbero nei modi; ludopatico e amante delle donne; con chi lo tradiva si mostrava vendicativo e crudele, infatti in vent’anni fece decapitare, secondo alcune fonti, 18.000 persone. Inoltre amava lo sfarzo degli arredi di corte e degli abiti che indossava e allo stesso tempo era cattolicissimo e austero.
Fatto sta che, come detto sopra, sotto il suo vicereame Napoli divenne una capitale europea seconda solo a Parigi, infatti Sua eccellenza – così amava farsi chiamare – si prodigò sin da subito alla sistemazione di molte cose che non andavano per il verso giusto e, dal momento che la città usciva da un terribile periodo di peste (1529), che causò più di 60.000 morti, diede avvio ad alcuni importanti lavori. Tra questi ci fu la volontà di espandere le costruzioni di case oltre le mura antiche (zona Santa Chiara) e l’edificazione di una strada larga, luminosa e ariosa, per l’appunto via Toledo, nei pressi delle abitazioni delle truppe spagnole che lui stesso face allargare e che sorgevano in quelli che oggi sono i Quartieri Spagnoli costruiti ad opera degli architetti rinascimentali Giovanni Benincasa e Ferdinando Manlio: “La strada di Toledo… fu realizzata intorno al 1535, allo scopo di ricoprire la fogna… che da Montesanto, raccogliendo le acque meteoriche ed i liquami della collina del Vomero, proseguiva verso il mare. Venne, così, finalmente nascosto… il… Chiavicone”.
Altri progetti previdero la risistemazione di Castel Capuano dove venne trasferita la Vicaria, quindi gli uffici politici ed economici del Regno; la costruzione di Torre Gàveta e di Torre Patria nei pressi di Pozzuoli per renderla più protetta dalle incursioni saracene; la restaurazione della grotta di Virgilio a Piedigrotta. Sempre a Pozzuoli, dopo la terribile eruzione del Monte Nuovo del 1538 presso il Lago Lucrino che cancellò dalla faccia della terra moltissimi villaggi tra cui quello medievale di Tripergole, Don Pedro incentivò la ripopolazione di quei luoghi con un bando che prevedeva l’esonero dei tributi da pagare alla Corona rivolto ai puteolani che decidevano di ritornare nel sito della sciagura. Oltre a questo volle stanziare dei fondi per ristrutturare la chiesa di Sant’Antonio, al quale era molto devoto, e per costruire le cosiddette chiaviche in tutta la città di Napoli e in tutta la periferia, mettendo in atto così una bonifica fognaria. La fortificazione del porto, la ristrutturazione dell’acquedotto del Serino, la ripavimentazione di tutte le strade cittadine, la restaurazione di Castel Sant’Elmo e del Castello di Baia, la costruzione della pontificia reale basilica di San Giacomo degli Spagnoli – all’interno di quello che oggi è palazzo San Giacomo, nell’attuale piazza Municipio – e la costruzione di numerose chiese e luoghi di culto cristiano furono altri progetti che diedero lustro alla città partenopea e al lavoro del viceré. D’altra parte a cuore di Don Pedro c’era anche e soprattutto la terribile situazione legata all’usura che i poveri napoletani erano sempre più spesso costretti a vivere, per questo motivo fece costruire alcuni banchi pubblici nei pressi dei decumani della città per regolare il flusso dei debiti. Tra tutte queste cose va certamente ricordato il grande lavoro di supervisione intorno all’Acquedotto Claudio perché esso fu uno dei progetti più grandi e gloriosi di quel periodo: “Assicura che dalla masseria detta la Pretiosa l’acqua di Serino andava sopra archi grandi fi alla taverna del Casale Novo [oggi Casalnuovo di Napoli] alla via per la quale se va da Napoli ad Acerra” per controllare, insomma, tutto l’impianto idraulico del Regno: “L’acque perdute dalle fontane che se ferriano dentro la città, annetteriano tutte le chiaveche et portariano in mare ogni male odore, il quale causa già putrefazione de aire… et serria grande speranza che la città, essendo così purgata… da non patere la peste”.
Don Pedro, inoltre, mise mano anche sulle cose di giustizia e sul vivere quotidiano della plebe, per esempio aumentò il numero dei giudici per le cause civili e criminali da quattro a sei. Questi, per la buona amministrazione della giustizia, dovevano lavorare nel massimo rispetto della puntualità e della legalità; decretò la fine di serenate che gli sposi solevano fare sotto le case delle spose in seconde nozze per evitare risse e omicidi; vietò le dimostrazioni dolorose che si facevano durante i funerali, combattendo così delle popolari pratiche arcaiche.
Prima di morire, Sua eccellenza Don Pedro di Toledo lasciò detto di voler essere seppellito a Napoli, tanto era grande il suo amore per questa città affacciata sulla sua baia, tuttavia la morte lo colse a 71 anni sulla strada verso la Toscana, infatti oggi i suoi resti riposano a Santa Maria del fiore, mentre a Napoli resta solo il suo cenotafio che, però, servì più tardi a raccogliere i resti mortali del figlio. Un cenotafio maestoso con molte facciate, su una di esse si vede Sua eccellenza che fa reverenza presso Porta Capuana all’imperatore Carlo V quando venne a Napoli nel 1535.
In vent’anni la faccia di Napoli cambiò moltissimo tanto che, quando l’Imperatore ci venne in visita, Don Pedro fece in modo che si organizzasse una corrida nello spazio antistante San Giovanni a Carbonara, allora in terra battuta. In realtà il Viceré era talmente appassionato della tauromachia che già tre anni prima della venuta di Carlo V cercò di introdurre nella cultura napoletana l’antico e violento gioco con i tori – combattimento tra bovini maschi; di uomini contro bovini o di bovini contro altri animali – e pare che tali spettacoli abbiano avuto luogo a Napoli fino addirittura all’Unità d’Italia.