Il 15 luglio 1274 nella città francese di Lione, mentre si stanno per concludere i lavori del secondo concilio ecumenico celebrato in quella città, muore a cinquantasette anni Bonaventura da Bagnoregio. Bonaventura è una delle figure più prestigiose del Duecento, il «dottor serafico», l’uomo dal «potere mistico della parola» (Giulio Ferroni); «un teologo della mistica e in questo senso agiografo del mistico Francesco» (Claudio Leonardi).
Nasce, in realtà, con il nome di Giovanni Fidanza in una data incerta compresa tra il 1217 e il 1221 nella cittadina di Bagnorea/Bagnoregio (un toponimo che probabilmente deriva da Balneum Regis, in riferimento alla presenza di acque termali dotate di particolari proprietà terapeutiche che secondo una leggenda avrebbero guarito da una grave malattia il re longobardo Desiderio), fra Viterbo e Orvieto.
Lo stesso filosofo narra che, ammalatosi gravemente da bambino, fu risanato dallo stesso san Francesco in persona il quale, segnandolo con il segno della Croce, avrebbe pronunciato le seguenti parole: «Bona ventura». Da allora, il padre che era un medico e tutta la famiglia, lo chiamarono Bonaventura.
All’età di diciotto anni va dapprima a studiare e poi a insegnare nella celeberrima università parigina, dove ha per maestro Alessandro di Hales (1185-1245). Nel febbraio del 1257, a soli quarant’anni, è eletto Ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori. Bonaventura mostra una eccezionale capacità di governo e di guida dei frati (per questo lo si è chiamato, impropriamente, il secondo fondatore dell’ordine).
All’inizio, circa, del 1260 scrive la Legenda Maior – una nuova biografia del Poverello di Assisi – una biografia che sostituisce tutte le altre vite esistenti e che si pone l’obiettivo di rinsaldare l’unità dell’Ordine, lacerato dalle lotte tra Spirituali e Conventuali. Alla Legenda Maior si ispira e intinge – come se fosse una tavolozza – i suoi colori Giotto per dipingere il ciclo delle storie di san Francesco nella Basilica superiore. E lo stesso Dante si serve della Legenda come traccia per la vita di san Francesco nel canto XI del Paradiso.
Bonaventura è canonizzato da papa Sisto IV nel 1482, mentre, il 14 marzo 1588 il papa francescano Sisto V lo annovera tra i dottori della Chiesa latina (Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio Magno) accanto all’amico san Tommaso d’Aquino (1225-1274).
Tra le numerose opere ricordiamo soprattutto il famosissimo Itinerarium mentis in Deum, uno dei capolavori della mistica medievale. Un vero manuale di contemplazione, che indica le tappe del viaggio intellettuale per giungere alla visione di Dio. Un trattato teologico il cui tema è la conoscenza di Dio. Una sorta di guida teologica per mostrare come l’uomo possa innalzarsi fino a conoscere veramente Dio. Certamente – osserva con acume il professore Claudio Leonardi – «Bonaventura ha potuto scrivere l’Itinerarium solo dopo aver riflettuto sull’esperienza mistica di Francesco e l’excessus mentis rappresentato dalle stimmate. Francesco infatti è il modello del viaggio che Bonaventura propone a ogni uomo, il viaggio verso la santità». (Claudio Leonardi, La letteratura francescana. Bonaventura: la perfezione cristiana, vol. III, p. XXXII).
In estrema sintesi, il pensiero filosofico di Bonaventura muove da sant’Agostino. Bonaventura subordina la Filosofia alla Teologia, in quanto l’oggetto di quest’ultima è Dio. Ergo, la filosofia può solo aiutare la ricerca umana di Dio riportando l’uomo alla propria dimensione interiore. Bonaventura si oppone alla tradizione aristotelica – che conosce bene e alla quale presta molta attenzione. Nel suo sistema filosofico, di matrice agostiniana e neoplatonica, Bonaventura, considera tutta la realtà una «scala» per ascendere a Dio. L’universo, agostinianamente inteso, è un «libro» in cui è custodito, racchiuso il vestigium, l’impronta, la traccia della sapienza divina.
Nel XII canto del Paradiso lo «spirito sapiente» di san Bonaventura si presenta nei vv.127-129:
Io son la vita di Bonaventura
da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
sempre pospuosi la sinistra cura
(Io sono l’anima [vita] di Bonaventura da Bagnoregio, che nelle grandi cariche ricoperte [grandi offici] ho sempre posposto la cura delle cose temporali [sinistra cura]).
Il francescano Bonaventura ricorda la vita e le opere di san Domenico di Guzman (vv. 46-72) e rimprovera i francescani (vv.115-120) che hanno dimenticato l’esempio e gli insegnamenti del Poverello d’Assisi:
La sua famiglia, che si mosse dritta
coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
che quel dinanzi a quel di retro gitta;
e tosto si vedrà de la ricolta
de la mala coltura, quando il loglio
si lagnerà che l’arca li sia tolta.
(I suoi seguaci, che prima seguivano dirittamente coi piedi le orme di Francesco, ora sono tanto deviati che camminano a ritroso; e presto ci si accorgerà del raccolto di questa cattiva coltura, quando il loglio (= i francescani degeneri) si lagnerà di non essere messo nel granaio [coi francescani fedeli]).
Queste sono le terzine della polemica di san Bonaventura contro i francescani corrotti, simmetrica a quella pronunciata da san Tommaso contro i domenicani nel canto XI del Paradiso. La critica del santo si riferisce ai violenti contrasti tra i frati minori, che sostenevano l’applicazione rigida della Regola francescana, e i conventuali, che accettavano la proprietà di beni terreni. La condanna (cfr. Paradiso, XII, vv. 118-120) di an Bonaventura-Dante è diretta a entrambe le parti, poiché il male primo è la discordia all’interno dell’ordine francescano.
P.S.: Le immagini raffiguranti san Bonaventura sono di Peter Paul Rubens, san Bonaventura, 1620 circa, conservata al Musee des Beaux-Arts di Lille (France) e il particolare che ritrae il santo nella tela denominata Apparizione della Vergine a san Bonaventura, 1602 ca, di Leandro da Ponte detto Leandro Bassano esposta nel Museo Gallerie Accademie di Venezia.