Milan Kundera e L’identità

Articolo di Gordiano Lupi

Un romanzo d’amore, insolito nella produzione di Kundera, scritto in parte al presente e in parte al passato, a capitoli alterni, da un narratore onnisciente che sa tutto della storia e che racconta in terza persona, immedesimandosi sia nel ruolo della donna che dell’uomo. L’identità è una storia d’amore e disamore, tra due persone mature, molto psicologica, ricca di parti oniriche, introspettiva e intensa, direi quasi filosofica, come tutte le opere del grande narratore ceco. Se fosse un film sarebbe costruito a colpi di flashback con montaggio alternato, rigorosamente non consequenziale. Kundera scava nella psicologia di una donna che un tempo è stata bella e affascinate, dà voce a tutte le insicurezze che la catturano alle soglie della menopausa. Scorrono davanti agli occhi del lettore i ricordi tristi d’un figlio morto, la descrizione di un corpo non più giovane, la sensazione spiacevole di non essere più guardata con desiderio dagli uomini. Il personaggio maschile, invece, un giorno si accorge di confondere la sua donna con un’altra figura femminile e per questo motivo teme di poter perdere la persona che più sente di amare al mondo. La mente percorre spesso il ricordo di un errore veniale e porta l’uomo a pensare che in fondo (se può confonderla) potrebbe considerare la compagna di vita uguale a tante altre, quindi non insostituibile. A questo punto, dopo aver capito che la sua donna non si sente più ammirata dagli uomini e crede di aver perso l’antico fascino, s’inventa un alter ego (dal sintomatico nome di Cirano) che scrive lettere d’amore alla sua donna, firmandosi CDB (Cirano de Bergerac). Il motivo di base sarebbe positivo – far sentire la donna ancora oggetto del desiderio maschile – ma agli occhi di lei (dopo aver scoperto chi è il vero mittente) quelle lettere assumono la valenza di un possibile tradimento. La donna acquisisce la certezza che il suo uomo è il vero mittente delle lettere che conserva gelosamente nel suo armadio, nascoste sotto la biancheria intima, per questo motivo vorrebbe fuggire lontano, vivere la sua vita da sola, in modo indipendente, senza limiti o vincoli di sorta. Ma tutta la storia è accaduta davvero è soltanto un sogno, un lungo percorso onirico? Kundera ci lascia con il dubbio, perché il suo unico scopo è quello di raccontare un momento di crisi in un rapporto sentimentale, un istante in cui qualcosa si rompe, pare irreparabile, per trasformarlo in un momento universale, come se fosse un parametro comune a tutte le storie d’amore. L’identità che si perde è il tema del romanzo, la crisi interiore che non ti fa riconoscere i punti fermi della tua vita e non ne comprendi il motivo perché niente di concreto sta andando male. Un uomo e una donna si trovano d’un tratto di fronte alla paura della mezza età, il terrore che prende di non essere più giovane e desiderabile, il timore che il tuo uomo possa fare altre scelte. E dal punto di vista maschile c’è la paura di poter scambiare una donna importante con altre anonime, perché incapace di vedere la differenza di base, quindi tentato da un possibile tradimento. L’identità è un romanzo sospeso tra il reale e l’irreale, tra la vita vera e la dimensione onirica, tra i pensieri concreti e la fantasmagoria del sogno. Kundera sfida il lettore, lo invita a stare al gioco, lo spinge a calarsi nella mente dei due amanti, a condividere le loro insicurezze, a farsi spaventare dal timore di perdere il punto di riferimento base: l’oggetto di un amore. Il procedimento di immedesimazione è totale, grazie allo stile sopraffino di un Kundera in gran forma, che avrebbe avuto qualche difficoltà a raccontare la stessa storia (soprattutto la fuga finale a Londra, reale o onirica che sia) ai tempi dei cellulari onnipresenti e delle diaboliche connessioni che rendono sempre rintracciabili. Per fortuna era soltanto il 1997. Tradotto dal francese da Ena Marchi.

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