La concezione dell’omosessualità nel mondo antico era chiaramente assai diversa da quella attuale. Nell’antica Roma, per esempio, la sessualità non era percepita attraverso il concetto di etero e di omo, era piuttosto valutata una certa bisessualità, cioè gli antichi – soprattutto i maschi – dimostravano di provare attrazione per uno o l’altro sesso nella più totale normalità. Quello su cui si insisteva, essendo in un sistema profondamente maschilista, era piuttosto il ruolo sessuale che si assumeva nel rapporto. Più specificamente un maschio di buona famiglia libero poteva tranquillamente intrattenere rapporti sessuali con altri maschi di classe sociale nettamente inferiore, con prostituti o con gli schiavi senza mettere a rischio la propria virilità e il proprio status sociale, ma a una sola condizione: il ruolo sessuale nel rapporto stesso doveva essere prettamente penetrativo, quindi attivo e non passivo. In merito alla pederastia – relazione sessuale tra una persona adulta e un adolescente – essa era rigorosamente proibita se il giovane apparteneva a una famiglia di rango elevato. Diversa era la situazione dei giovanotti schiavi che purtroppo non erano assolutamente tutelati. In questo panorama, che assolutamente merita di essere studiato con attenzione, si muove la storia dell’imperatore Adriano e di Antinoo.
Alto, elegante, atletico, esteta: “con i capelli… ben pettinati. Portava sempre la barba lunga… faceva molto esercizio… e passava molto tempo ad allenarsi con le armi” (Historia Augusta – IV sec.), l’imperatore Adriano regnò su Roma per poco più di vent’anni, precisamente dal 117 d. C. al 138, anno della sua morte. Adriano è passato alla storia per essere stato un imperatore diplomatico, generoso, intraprendente, tollerante, saggio, giusto, modesto, colto, astuto, curioso, attento alle esigenze dei sudditi, appassionato della cultura greca, della filosofia, dell’architettura, delle arti figurative, delle arti magiche, della lingua e della letteratura. Amava profondamente andare a caccia di bestie feroci ed era molto attento all’aspetto architettonico della città di Roma, dove oggi si possono ancora ammirare, tra le altre cose, due monumenti da lui voluti: il suo mausoleo, detto altresì Castel Sant’Angelo, che volle far costruire per sé e per la sua famiglia, e il Pantheon che, invece, volle far ricostruire dopo un violentissimo incendio che lo distrusse. La politica di Adriano, d’altro canto, previde un rimodellamento della posizione degli schiavi e dei cristiani dinnanzi ai quali l’imperatore fu certamente più benevolo dei suoi predecessori. Intervenne anche sui fatti di giustizia, regolarizzando moltissime cose, così facendo consolidò di molto il suo potere. I testi ci raccontano dei suoi numerosissimi viaggi che fece per conoscere da vicino i problemi delle persone che vivevano in quei territori: Gallia, Britannia, Germania, Grecia, Mauritania, Egitto, Africa. A 24 anni sposò la cugina di secondo grado, la quattordicenne Vibia Sabina, che era nipote del suo predecessore e padre adottivo, l’imperatore Traiano (53 d. C. – 117). Il matrimonio tra i due durò ben quarant’anni, ma essi non ebbero mai figli. Secondo alcune fonti la loro non fu un’unione felice non perché Adriano avesse altre donne, ma certamente perché era profondamente attratto da giovani maschi dall’aspetto gentile. Fatto sta che i due litigavano spesso, uno si lamentava dell’altra per aver avuto un caratteraccio e l’altra non perdeva occasione per offenderlo. Nel 136, essendo molto malato e prossimo alla morte, per dare continuità al trono imperiale, Adriano adottò Lucio Elio Cesare – politico e militare – che però morì poche settimane prima di lui. Per tale motivo, poco prima di spirare, adottò il console Aurelio Antonino che difatti divenne il suo successore quando, ormai sessantaduenne, esattamente il 10 luglio 138, morì di edema polmonare nel suo palazzo a Baia. Si dice che sul letto di morte dettò questa sua ultima poesia: “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora stai per scendere in luoghi incolori, ardui e spogli dove non avrai più gli svaghi consueti”.
Più che le battaglie, le vittorie, le riforme, c’è una parte della vita di Adriano che emoziona profondamente ed è la sua relazione amorosa con un bellissimo ragazzo greco di nome Antinoo. Antinoo nacque certamente nel mese di novembre intorno all’anno 110 a Claudiopoli, l’odierna città turca di Bolu, ma poco o nulla si sa della sua vita: forse schiavo o no; forse analfabeta o no; forse nobile o no; insomma neppure il suo vero nome di battesimo conosciamo per certo. Quello che si sa è che, mentre girava in lungo e largo l’Impero, il quarantasettenne Adriano, arrivato a Caludiopoli nel 123, incontrò per la prima volta Antinoo il quale venne immediatamente introdotto a corte. Adriano se ne innamorò perdutamente e passava molto tempo insieme a lui nelle stanze della Villa a Tivoli. Da quel momento in poi il giovane lo accompagna nel suo peregrinare. Nel 130 Adriano, Antinoo e tutto il seguito imperiale si trovavano a Eliopoli, l’attuale distretto di Al-Maṭariyya, nella periferia del Cairo, sulla sponda orientale del Nilo, qui l’imperatore decise di imbarcarsi e risalire l’antico fiume per fermarsi ad Ermopoli, sulla riva occidentale, per omaggiare il tempio di Thot, nell’attuale Governatorato di Minya. Ad ottobre, attorno al periodo della festa dedicata a Osiride, fatti i dovuti omaggi e ripresa la navigazione, il diciannovenne Antinoo cadde improvvisamente nelle acque del Nilo trovando la morte per annegamento. Gli storici non sanno bene cosa realmente successe e ritengono che forse neppure l’imperatore sapesse tutta la verità dei fatti. Alcuni studiosi credono che il povero Antinoo, ubriacatosi a bordo, cadde accidentalmente dall’imbarcazione; altri sostengono che, in accordo con l’imperatore, si sarebbe sacrificato in nome dell’amore perché, secondo una credenza popolare, la sua dipartita avrebbe ringiovanito e guarito l’amato dalla sua grave malattia; altri ancora suppongono che venne volutamente lanciato, quindi ucciso, per una congiura di corte voluta da Vibia Sabina. Quello che è certo è che Adriano ne uscì distrutto, inconsolabile, visse uno stretto lutto caratterizzato da lunghi pianti e momenti di grande depressione. Egli si sentì in dovere di divinizzare Antinoo, al quale riservò un culto tutto suo. L’anno dopo, Adriano, trovandosi ad Atene, istituì la Antinoeia, una festa in onore del giovane che si doveva celebrare ogni anno nel mese di ottobre, mentre a Roma fece costruire vari monumenti in perpetua memoria come gli otto tondi sull’Arco di Costantino che un tempo facevano forse parte del mausoleo funebre del ragazzo. Inoltre fece coniare delle monete con la sua effige e gli dedicò delle gemme e numerosi bassorilievi, ma questo non era sufficiente, infatti lo volle commemorare attribuendogli alcune stelle a sud della costellazione dell’Aquila, chiamate Antinous. Per di più il suo infinito amore lo portò ad attribuirgli anche il loto roseo che da quel momento venne chiamato il fiore di Antinoo.
Il corpo di Antinoo venne imbalsamato e mummificato per poi essere inumato, anche se oggi non abbiamo notizie certe sul luogo della sepoltura. Alcuni storici pensano che venne sepolto in un giardino dell’imperatore sul colle Palatino; altri dicono che la sua tomba si trovava nei giardini della stessa villa Adriana a Tivoli come, difatti, ci suggerirebbe un’iscrizione sopra l’obelisco del Pincio, ancora oggi visibile a Roma in piazza Bucarest; altri ancora ritengono che egli venne seppellito in Egitto nel tempio che fu eretto in suo onore ad Antinoopolis, nei pressi del luogo della sua morte. Fatto sta che, nella cultura occidentale, la figura del giovane e bellissimo Antinoo è diventata certamente, insieme a quella di Adriano, simbolo del mondo LGBTQIA+ e simbolo di un amore non dettato dalla sola bellezza, dal potere, dalla convenienza, bensì dall’amore stesso, sentimento tanto antico quanto nobile che tutti gli uomini almeno una volta nella vita hanno vissuto.
Solamente il capolavoro letterario di Marguerite Yourcenar (1903-1987), scrittrice e poetessa francese, ha saputo dare voce ad un disperato Adriano: “Antinoo era morto… Se con quel suo sacrificio aveva sperato di proteggermi, aveva dovuto credersi amato ben poco per non sentire che perderlo sarebbe stato per me il peggiore dei mali… Piansi… Quel cadavere e io partivamo alla deriva trascinati in senso contrario da due correnti del tempo… Ho lottato contro il dolore…
Ho ricordato le sue caparbietà, le bugie. Mi son detto che sarebbe… ingrassato, invecchiato. Fatica sprecata! Mi ritennero folle, ma non mi importava” (Memorie di Adriano, 1951).