Alcuni papà e alcune mamme trovano divertente rompere le uova sulla testa dei propri bambini. Un trend che sta spopolando e che probabilmente troverà sostenitori anche in Italia. Opinionisti e esperti si stanno chiedendo che cosa sta accadendo ai genitori al di là del fatto che possano guadagnare qualche “like” o qualche follower
In questi giorni, dopo l’episodio tragico e terribile dello stupro di gruppo avvenuto a Palermo, si è parlato tantissimo del rapporto tra genitori e figli.
A far discutere è l’influenza dei social network sui processi educativi. Cosa stanno facendo le famiglie per educare i loro figli? Quanto i genitori riescono a dominare le spinte eccessive della continua “vetrinizzazione” in rete?.
In Italia è stato lanciato un allarme su un fenomeno che prende il nome di “Shareting”. Si tratta di un neologismo nato dall’unione del verbo “to share” (condividere) e dal termine “parenting”, spesso tradotto come “fare il genitore”.
I genitori espongono le immagini dei propri figli online e su tutte le loro piattaforme del cuore. Video e foto che ritraggono i bambini fin dalla loro nascita. Proprio per questo motivo, lo “Shareting” assume contorni sempre più preoccupanti.
Il portale shareting.it riporta i dati dello studio “Figli in vetrina”, realizzato da Davide Cino e Silvia Demozzi. I numeri ci indicano che “il 68% del campione intervistato pubblichi con una certa frequenza foto dei figli sui propri profili social, mentre il 30% tende a pubblicarle non solo sulle proprie bacheche, ma anche su gruppi Facebook o altri spazi virtuali meno “controllati” e filtrati rispetto al profilo personale”. Inoltre, emerge dall’analisi delle percentuali che “in Italia il fenomeno sembra più diffuso per i bimbi piccoli (da 0 a 3 anni), le cui immagini sono condivise dall’86% dei genitori, e tende a calare con l’età, con il 68% dei genitori che ammette di condividere immagini dei loro bimbi dopo il quarto anno di età”. Ma non è tutto viene rilevato che “in media un bambino di 5 anni sarà apparso in un migliaio di scatti postati pubblicamente dai propri genitori, quasi 20 all’anno”.
I pediatri continuano a lanciare appelli ai genitori per metterli in guardia sui rischi e sui pericoli che corrono i bambini. I grandi non comprendono e continuano a pubblicare tutto per ottenere consensi da parte del proprio pubblico e le challenge sono sempre più numerose.
Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, saggista e opinionista italiano, è tornato a parlare dei genitori. Crepet è intervenuto su La7, sostenendo che le critiche dovrebbero essere rivolte ai 45enni. Una generazione “rimbecillita” che fotografa qualunque cosa per poterla condividere su Instagram o Facebook. Secondo Crepet si tratta di “un’ossessione patologica per l’approvazione dei social media e un distacco dalla realtà”.
Uomini e donne che non si interessano più ai problemi importanti, ma che si immergono in una “sorta di specchio digitale”. Lo studioso evidenzia come questa continua ricerca di approvazione sia davvero una questione seria da affrontare e a dimostrarlo sono i fatti.
Adesso, in diverse parti del mondo, si è diffusa una nuova sfida e circola su TikTok. A lanciarla sono i giovani genitori, convinti di guadagnare visualizzazioni, “like” e “cuoricini”.
Il portale Chronist.it, in un un articolo di Fabrizio Grimaldi, spiega in cosa consiste la nuova challenge. Si chiama “egg crack challenge” rompi l’uovo in testa al tuo bimbo.
Alcuni papà e alcune mamme trovano divertente rompere le uova sulla testa dei propri bambini. Un trend che sta spopolando e che probabilmente troverà sostenitori anche in Italia.
Opinionisti e esperti si stanno chiedendo che cosa sta accadendo ai genitori al di là del fatto che possano guadagnare qualche “like” o qualche follower.
Per fortuna, molti utenti ritengono che questa “egg crack challenge” sia vergognosa e commentano questi video manifestando il loro disappunto. Una TikToker statunitense ha scritto: “Quando vedo quei video penso: ‘Siamo così annoiati come genitori e alla disperata ricerca di contenuti e like?’. Abbiamo bisogno di postare su Internet queste cose perché è così noioso far parte del nostro mondo?”.
I video mostrano genitori divertiti e bambini sconcertati e mortificati dal gesto compiuto dal genitore. Madri e padri che ridono e che aspettano la reazione, o le smorfie di dolore, del loro figlio o della loro figlia.
Tutto questo genera molta inquietudine e ci invita a riflettere su come sia possibile che un genitore possa provare gioia nel mortificare il proprio bambino o la propria bambina.
Questa challenge ricorda un po’ la trasmissione “Torte in faccia”, programma televisivo in onda su Canale 5 dal 2005 al 2006 e condotto dal Bagaglino. Pier Francesco Pingitore, autore del programma, dichiarò: “Vogliamo dare la possibilità al pubblico di approvare o meno il bersaglio a proiettili di panna montata sulla faccia del potente di turno”. Il politico di turno, pur di avere visibilità, si sottoponeva al giudizio insindacabile del pubblico in sala e accettava di ricevere una torta in faccia.
Adesso, siamo passati dalla torta agli ingredienti e l’uovo è un ingrediente della torta. Un’azione che diventa uno spettacolo, registrato dentro la cucina della propria casa.
Un’eccessiva democratizzazione del privato che mostra come si può umiliare un bimbo o una bimba e sono i genitori a fare questo assurdo gioco. Il Professore Pier Cesare Rivoltella ha chiarito, qualche anno fa, gli aspetti principali delle famiglie digitali. I componenti della famiglia trascorrono le loro giornate online e oltre ad un’eccessiva democratizzazione delle relazioni avviene “l’esplosione della comunicazione, segnata dalla pervasività (i media mobili e connessi sono sempre con noi), dalla socialità mediata (prolunga oltre i limiti della presenza le relazioni e le interazioni) e dalla naturalità (la tecnologia “scompare” sempre più dentro gli oggetti d’uso comune facilitando la nostra appropriazione di essi)”. Questo comporta la mancanza di tempo per guardarsi negli occhi e per capire le necessità di ognuno. Una comunicazione veloce e superficiale che è lontana dall’essere profonda. Uomini e donne immersi nei flussi comunicativi, incapaci di distinguere il bene dal male anche a discapito dei propri figli.
Stavolta non sono i giovani ad essere protagonisti di una challenge, ma gli adulti e non c’è altro da aggiungere per spiegare il percorso (dis)educativo che abbiamo intrapreso.