Forse c’è qualcosa che non va tra me e il nuovo cinema italiano, almeno di un certo cinema, ché se I predatori di Pietro Castellitto è degno del premio miglior sceneggiatura originale, forse non ho capito qualcosa di cinema ed è bene che prenda ripetizioni da qualche laureato nella settima arte. I predatori sarà apprezzato giusto da loro, da chi va in sala per trovare evoluzioni stilistiche ed elzeviri, da chi ha apprezzato Siccità o i film della Archibugi, le invenzioni di tanti piccoli Antonioni che non sono Antonioni o dei tentativi felliniani fuori tempo massimo. La sceneggiatura de I predatori è macchinosa e complessa, vero che alla fine tutto torna e che i fili tirati vanno a incastro con un meccanismo a orologeria, ma si fatica non poco per guadagnare l’ultima sequenza e la tentazione di abbandonare lo schermo è forte. Tutto ruota attorno a Federico (Castellitto), uno studioso di Nietsche che vorrebbe riesumare la salma del filosofo insieme al suo professore, ma vista la negazione a partecipare decide di comprare una bomba per far saltare il sepolcro. Una serie di eventi collegati sono parte di un film che la madre di Federico sta girando, una sorta di noir sulla malavita romana più burina e fascista che ci sia, che vive in case piene di aquile imperiali e fasci littori. Assistiamo a diverse cene e liti di famiglia in ambiente borghese, ci sono truffatori che imbrogliano vecchiette, medici che salvano persone con il massaggio cardiaco, bambini che uccidono genitori a fucilate e altre prelibatezze. Lo spettatore coraggioso dipanerà la trama, se avrà voglia di vedere un lavoro (a mio parere) inutile, un mero esercizio di stile presentato nella sezione Orizzonti a Venezia, che ci mostra solo quanto sia bravo Pietro Castellitto alle prese con piani sequenza e soggettive, ma non ci fa certo assistere a un racconto lineare e appassionante. Il genere è informe, a tratti commedia grottesca, a tratti noir, persino dramma, alla fine propendo per il guazzabuglio indefinibile come immagine migliore per questi 109 minuti (tantissimi!) che non passano mai, montati da Gianluca Scarpa con una lentezza esasperante. Ottima la fotografia di Carlo Rinaldi, come sono ben fatte le riprese di Castellitto, ma un film deve raccontare una storia degna di questo nome, non limitarsi a una serie di immagini originali e di riprese suggestive. Attori bravi ma costretti a recitare parti imbarazzanti, da Popolizio a Paone, passando per lo stesso Castellitto (ma la parte se la scrive da solo) e Dario Cassini. Scritto e diretto dal regista, che risente dell’influenza della madre (Margaret Mazzantini) e di Francesca Archibugi, a mio parere. Non è un complimento. Al cinema me l’ero (volutamente) perso, dopo aver apprezzato il trailer, ma su Rai 5 ho dovuto capitolare e vederlo per poter scrivere un giudizio. Da evitare.
Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Pietro Castellitto. Fotografia: Carlo Rinaldi. Montaggio: Gianluca Scarpa. Case di Produzione: Fandango, Rai Cinema. Distribuzione (Italia): 01 Distribution. Durata: 109’. Genere: indefinibile. Interpreti: Massimno Popolizio, Manuela Mandracchia, Pietro Castellitto, Giorgio Montanini, Dario Cassini, Anita Caprioli, Marzia Ubaldi, Giulia Petrini, Liliana Fiorelli, Claudio Camilli, Orsetta De Rossi, Rosalina Neri, Renato Marchetti, Maria Castellitto, Nando Paone, Antonio Gerardi, Vinicio Marchioni, Federico Mariotti.