A marzo 2023 l’inflazione è diminuita passando dal 9,1% al 7,7%. Eppure, i prezzi dei beni di prima necessità non sono diminuiti. Anzi. Il cosiddetto “carrello della spesa” ha fatto rilevare un aumento su base annua molto al di sopra dei valori ISTAT: il 12,7% su base annua. Un valore molto più elevato del tasso di crescita dell’indice dei prezzi al consumo. Secondo l’ISTAT il “rallentamento del tasso di inflazione sarebbe dovuto prima di tutto alla decelerazione su base annua dei prezzi dei beni energetici non regolamentati” che hanno fatto rilevare aumenti in calo dal 40,8% al 18,9% (sempre molto al di sopra del valore medio ISTAT). Anche l’aumento dei prezzi degli alimenti “lavorati” sarebbe sceso passando dal +15,5% al +15,3%.
Aumenti, comunque, molto al di sopra di quanto ci si aspettava. E di quanto sarebbe comprensibile. Per questo motivo, prima dell’estate, il Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva annunciato l’avvio del monitoraggio dei prezzi da parte del garante preposto.
Intanto, a dare qualche dato è stato l’Osservatorio Nazionale Federconsumatori. Secondo l’ONF, dall’analisi dei prezzi di un paniere di 30 prodotti fondamentali emergerebbe un aumento medio del 14% (prendendo a riferimento i prezzi applicati a giugno 2022 e quelli di giugno 2023). Praticamente il doppio del tasso di inflazione. Con alcuni aumenti impressionanti. A crescere maggiormente il prezzo di pane e pane in cassetta aumentati rispettivamente del 32% e del 33%, della pasta (39%), del riso (33%), dello zucchero (23%). Aumenti quasi mai giustificati, dal momento che il confronto non è stato fatto con i periodi pre guerra in Ucraina ma con quelli di giugno 2022, quando già si erano verificati pesanti aumenti soprattutto in relazione ai costi di pane e pasta (rispettivamente +16% e +34%) rispetto a ottobre 2021.
L’aumento del prezzo dei beni primari, quelli irrinunciabili, non colpisce allo stesso modo la popolazione: ad essere più colpite sono le fasce di reddito più basse. Quelle già colpite dalla pandemia e da un periodo di crisi che dura da molti anni e che ha ridotto il loro potere di acquisto già fortemente eroso dalla crisi.
Non è la prima volta che si verifica una situazione come questa. E i siciliani dovrebbero saperlo bene. La rivolta del pane ebbe inizio proprio a Palermo. Nel XVII secolo, a Palermo, ebbe luogo la “municipalizzazione del pane”. A quell’epoca, la Sicilia era divisa in municipalizzazioni e la politica granaria era basata su scambi liberi: il grano poteva essere esportato ovunque (non va dimenticato che il grano e il pane, a quei tempi, erano importanti come e più dell’oro). Questo consentiva ai commercianti di ottenere grossi profitti. A un certo punto, però, il commercio del grano finì per scontrarsi con la domanda interna di pane che spesso vedeva i prezzi aumentare in modo esagerato. Per questo si decise di “municipalizzare il pane”: il Comune di Palermo istituì il monopolio della vendita del pane. I guadagni per i produttori crollarono e le tasse raggiunsero livelli altissimi (a volte riscosse con l’uso dell’esercito). In poco tempo, l’erario comunale accumulò un debito enorme. Per “fare cassa” il governo decise di aumentare il prezzo del pane. Nel 1647, scoppiò la rivolta. Che venne sedata con la forza. Ma la pace non durò a lungo. Nel 1672, la Sicilia fu colpita da una delle peggiori carestie che si ricordi. E il 30 marzo, a Messina scoppiò una nuova rivolta. Ancora una volta causata dall’aumento del prezzo del pane: le case di cinque giurati furono incendiate e solo l’intervento dello stratigoto (il governatore) di Messina, Luigi de l’Hoyo, riuscì ad evitare che la situazione peggiorasse.
Chi, nel corso dei secoli, ha governato la Sicilia sembra non aver mai fatto tesoro di ciò che era avvenuto. E durante il governo Savoia, i piemontesi decisero di combattere il brigantaggio con la forza: inviarono sull’Isola 120 mila uomini. E con una legge del 1863, promulgarono lo stato d’assedio. I rapporti tra governo centrale e i siciliani peggiorarono. Nel 1866, a Palermo, scoppiò una nuova rivolta. Ancora una volta a scatenare i tumulti fu l’aumento del prezzo del pane: il governo centrale aveva deciso di imporre una tassa sulla farina, il “macinato” (per coprire i costi della guerra contro gli austriaci).
Ma non basta. Un’altra “rivolta del pane” ha lasciato il segno sulla Sicilia. Nel 1944, il 19 ottobre, molti palermitani si riunirono davanti a Palazzo Comitini (allora sede della Prefettura): stremati dalla fame e dalla crisi economica, si ribellarono alla nuova “chiamata alle armi” del governo Bonomi. Il motivo scatenante era sempre lo stesso: l’aumento dei prezzi del grano e dei suoi derivati. L’esercito attaccò i rivoltosi e i morti furono decine. Secondo alcuni storici si trattò della prima “strage di Stato dell’Italia repubblicana”. Passò alla storia come la “rivolta del pane”. Ma anche di questa si è persa memoria sui libri di storia che finiscono sui banchi di scuola. Anche in Sicilia.
Intanto, nel 2015, il prezzo del grano duro (ingrediente principale del pane tradizionale siciliano) è tornato ad aumentare. Ancora una volta con aumenti ingiustificati: anche del 42% rispetto alle quotazioni dell’anno precedente. “Sicuramente i panettieri, nelle prossime settimane, non potranno mantenere il costo del pane al prezzo attuale”, disse la sezione locale dell’Assipan, l’Associazione italiana panificatori e affini. Secondo molti, un ulteriore aumento del prezzo del pane avrebbe causato danni notevoli all’economia della Sicilia (che ancora leccava le ferite dopo la crisi del 2009).
Ora il prezzo dei beni di prima necessità è tornato a crescere in mondo ingiustificato. Per molte famiglie, già costrette a scegliere tra le medicine e i generi alimentari di prima necessità, potrebbe non essere più possibile comprare il pane. Eppure, nessuno di quelli che chi governa a Roma o a Bruxelles si è posto la domanda: “cosa potranno fare queste persone?”.
Forse è meglio non pensarci. Anche in Francia, ci fu una “rivolta del pane”. Alla crisi economica e alla impossibilità di procurarsi i beni di prima necessità, Maria Antonietta, regina di Francia, (tracotante quanto molti dei politici di oggi) rispose: “Se non hanno pane, che mangino brioches!”. Era il 1789. Una data, questa sì, scritta su tutti i libri di storia: segnò l’inizio della Rivoluzione francese, la più famosa “guerra del pane”.