Cara lettrice, Caro lettore, so che in questo momento particolarmente tragico della storia umana abbiamo ben altro a cui pensare. Il male che muove il complicato e illogico sistema in cui viviamo ci lascia poco spazio per l’immaginazione e per l’amore per le cose belle. Ci hanno insegnato il gusto per il brutto, l’odio, il razzismo, la competizione spietata, l’affannosa corsa verso l’eccellenza che poi alla fine non esiste (l’eccellenza è come la coca-cola, la troviamo in tutti i negozi, persino in quelli di mutande, e avremmo potuto farne anche a meno perché ogni paese aveva la sua bevanda tradizionale). E ci obbligano a leggere quello con cui riempiono le vetrine. Non sempre si tratta di libri belli, a volte non sono neanche veri libri, ma prodotti della televisione, trascrizioni di blog di successo o di canali youtube seguiti da followers che per le case editrici rappresentano possibili lettori.
Sono cose che già sai, perché le informazioni sono veloci, anche troppo, e arrivano dappertutto, se sei veloce anche tu a cogliere quelle importanti e a non farti distrarre da quelle che servono le logiche cui ho accennato prima.
Per le stesse ragioni, non pretendo che tu perda il tuo tempo prezioso a leggere i miei libri, sarebbe da bambini viziati, mocciosi che piangono con il gelato sciolto nelle mani al centro di una piazza enorme insieme ad altre migliaia di bambini che a loro volta pretendono l’attezione di mamma e papà perché il gelato non era quello giusto e per nulla al mondo si può mangiare un gelato sbagliato, oggi tutto dev’essere perfetto, purtroppo.
Allora perché ti sto scrivendo? Perché ho ancora questo impulso irrefrenabile di raccontare storie di individui marginali e sopraffatti dal sistema, e soprattutto di chiedere agli editori (quelli veri) di pubblicarle, renderle pubbliche?
Una risposta potrebbe essere che anche io sono un bambino viziato che vuole che tu lo guardi mentre mangia il suo gelato sciolto e non gli stacchi gli occhi di dosso perché il suo gelato è la cosa più importante di questa terra. Un’altra risposta invece (che è quella che preferisco) è che con questi romanzi io spero di farti ragionare, di darti degli spunti per riflettere sulla merda che ci circonda. Perché anche sotto quintali di letame può crescere l’erba, e presto, se siamo ottimisti, ci sarà di nuovo erba pulita su cui correre con gli altri bambini, senza gelati, senza capricci, solo per la gioia di godersi ciò che è bello e riscoprire l’armonia con la propria natura, quella che in questo momento rischiamo di dimenticare perché ci sono troppe icone lampeggianti, troppe mansioni inutili al lavoro, inventate per distrarci e occuparci, per non farci pensare, insomma.
Ecco la mia verità, non è marketing, bugia, adulazione, né autocelebrazione. Di me stesso, me ne fotto. La letteratura è ribellione per stare bene non costruzione per far stare bene. Non è per quello che mi dedico a questa roba inutile. Inutile, esatto, se non abbiamo la forza di combattere la politica dell’anticultura e ci lasciamo sopraffare. Inutile, se non abbiamo più il tempo di leggere un bel libro perché siamo troppo occupati a scattarci foto da soli mentre siamo sul gabinetto. E inutile perché tutti possiamo convincerci di non aver bisogno gli uni degli altri se non ammettiamo i limiti di cui siamo fatti.
Forse è questa la risposta giusta a quella domanda sullo scrivere libri: io scrivo perché voglio continuare a sentirmi imperfetto, ad amare e -ma questo è più difficile- ad essere amato.