Michele Riondino debutta alla regia con una storia che lo tocca molto da vicino – come tarantino figlio di operaio Ilva -, l’urgenza del racconto si sente a ogni sequenza mentre si fa canto civile di vibrante protesta. Palazzina LAF è un film utile per porre l’accento sul comportamento della famiglia Riva nel gestire in modo paternalistico e amorale un’azienda che veniva da anni di partecipazioni statali, citando i morti sul lavoro, gli scarichi nocivi e lo spolverino d’acciaio, infine il mobbing riservato ai dipendenti in esubero. Riondino sceglie il registro grottesco, si mette nei (non facili) panni di Caterino, un operaio ignorante (pare la caricatura del personaggio di Checco Zalone), incarnando un diffuso modo di dire tra le maestranze dell’acciaieria, cioè che i dipendenti inattivi per volontà aziendale fossero semplici vagabondi, gente che non voleva lavorare. Caterino diventa persino spia aziendale, riferendo tutto quel che accade all’interno della Palazzina LAF, ogni momento di protesta e di insubordinazione. Elio Germano ricopre un ruolo altrettanto spregevole, come direttore del personale che deve mettere in cassa integrazione, proporre lavori che i dipendenti non possono fare, cercare di licenziare la maggior parte degli esuberi. Tutto ruota attorno ai due protagonisti, anche se la palazzina è popolata da personaggi quasi surreali (ma il regista dice che ha dovuto mitigare la realtà) che giocano a mosca cieca, fanno passare il tempo senza far niente, meditano la rivolta. Tra gli interpreti secondari molto bene Vanessa Scalera e Paolo Pierobon, ma l’intero cast segue alla lettera le indicazioni del regista sul registro leggero da adottare. Peccato per la parte cinematografica, perché il modello di Riondino pare il pessimo Mordini di Acciaio che in certe sequenze sembra persino citato. Riferimenti alti: Elio Petri (anche se qui la classe operaia va all’inferno), Monicelli (I compagni), Fantozzi di Salce e Villaggio, persino il Mimì Metallurgico della Wertmüller con Giancarlo Giannini. Ottimo l’uso del dialetto tarantino per dare veridicità al contesto, ben sottotitolato, recitato alla perfezione da un cast quasi completamente pugliese. Fotografia sporca e suggestiva che inquadra (volutamente) solo il degrado di una città di mare violentata da un imponente stabilimento siderurgico che non rispetta le regole, dove si muore di lavoro e si viene perseguitati per le proprie idee. Un debutto alla regia incoraggiante, una prova d’attore molto buona per Riondino che ha il grande merito di mettere il dito sulla piaga dei comportamenti antisindacali, partendo dal libro Fumo sulla città di Alessandro Leogrande (deceduto prima dell’inizio delle riprese). Ambientato a Taranto nel 1997, girato in città, a Massafra e nello stabilimento siderurgico di Piombino. Colonna sonora suggestiva di Teho Teardo con menzione particolare per il brano La mia terra, scritto e interpretato da Diodato. Palazzina LAF è un film da vedere e da far conoscere – nonostante i limiti cinematografici – perché un simile comportamento padronale non debba ripetersi.
Regia: Michele Riondino. Soggetto: Alessandro Leogrande (libro Il fumo sulla città). Sceneggiatura: Maurizio Braucci, Michele Riondino. Fotografia: Claudio Cofrancesco. Montaggio: Julien Panzarasa. Musiche: Teho Teardo. Scenografia: Elena Gentile. Trucco: Ricci Felicia. Case di Produzione: Bravo, Palomar, Paprika Films, Rai Cinema. Distribuzione (Italia): BIM Distribuzione. Paese di Produzione: Italia, Francia – 2023. Durata: 99’. Genere: Drammatico. Interpreti: Michele Riondino, Elio Germano, Vanessa Scalera, Domenico Fortunato, Anna Ferruzzo, Paolo Pierobon, Gianni D’Addario, Michele Sinisi, Fulvio Pepe, Marina Limosani, Eva Cela, Pierfrancesco Nacca.