Sandra Milo, pseudonimo di Salvatrice Elena Greco (Tunisi, 11 marzo 1933 – Roma, 29 gennaio 2024[1]), è stata un’attrice, conduttrice televisiva e personaggio televisivo italiana. Con la partecipazione a film come Il generale Della Rovere, Adua e le compagne, Fantasmi a Roma, Giulietta degli spiriti e, soprattutto, 8½, premiato con l’Oscar, è stata tra le protagoniste del cinema italiano degli anni sessanta e fu, insieme ad altre attrici come Claudia Cardinale e Giulietta Masina, musa del regista Federico Fellini.
Otto e mezzo (1963) è considerato uno dei più grandi film della storia del cinema, è stato inserito dalla rivista inglese Sight & Sound al nono posto nella top ten, secondo la classifica redatta dai critici, e al terzo in quella stilata dai registi. La pellicola ispira intere generazioni di registi, a sua volta risente dei capolavori di Ingmar Bergman (Il posto delle fragole) e gode della stessa ispirazione del cinema di Woody Allen. Nanni Moretti ha girato diverse pellicole sulla falsariga di Otto e mezzo, prime fra tutte Palombella Rossa che riflette la crisi politico – artistica di un intellettuale.
Guido Snàporaz è un regista in crisi di ispirazione, impersonato da Marcello Mastroianni, ancora una volta alter ego di Fellini, per un film autobiografico e fantastico scritto dal regista insieme a Flaiano, Pinelli e Rondi. Molti critici ritengono Otto e mezzo uno dei momenti più alti dell’arte felliniana, perché è la storia di un regista che racconta con sincerità la crisi di un uomo e di un autore. Fellini mette a nudo le sue difficoltà, rivela al pubblico la paura di deludere le aspettative, la fatica nel regolare i conti con fantasmi, ricordi e volti del passato, soprattutto di farli convivere con il presente. Guido si divide tra una moglie borghese (Anouk Aimeé) che tradisce ma non sa lasciare e una sensuale amante (Sandra Milo), racconta la sua vita per mezzo di simboli fantastici e surreali. Il regista fa muovere il suo personaggio in una stazione termale, ma tramite parti oniriche lo trasporta nella casa romagnola di quando era bambino, nel collegio cattolico che reprime la sua sessualità e alla scoperta della prima donna. La pellicola è un susseguirsi di flashback e parti oniriche, incubi che sembrano strade senza uscita, sogni megalomani che racchiudono le donne della sua vita, voglia di purezza e di fuga. L’attacco fantastico cita Miracolo a Milano e l’idea di Zavattini dell’uomo che vola sopra la città. Le citazioni all’interno della pellicola si sprecano e sono tutte rivolte al cinema di Fellini. “Che ci prepara di bello? Un altro film senza speranza?”, dice il medico dello stabilimento termale. La figura di un critico intellettuale accompagna il lavoro di Fellini, come un antipatico grillo parlante che contesta ogni nuova intuizione. “Se manca un’idea problematica il film è inutile… cosa vogliono comunicare questi autori che non sposano nessuna causa?”.
Le parti oniriche che riportano al passato sono i momenti migliori della pellicola, soprattutto quando Fellini ricorda i genitori e ammette che “abbiamo parlato così poco tra noi”. Avrebbe tante domande da fare a un padre che non vedeva mai, ma ormai è tardi, nessuno può starlo a sentire. I sogni del regista sono popolati dalla figura della moglie che osserva da lontano, da un collegio di preti dove ha passato l’infanzia e da una musica languida che fa da sottofondo. La casa della nonna, il bagno in tinozza, le espressioni dialettali, il focolare acceso in una casa antica, sono altri momenti lirici. Il regista incontra Mario Pisu e Barbara Steele, un’insolita coppia di amanti che potrebbero essere padre e figlia. La scelta degli attori per il film è impegnativa, ma anche liberarsi di una folla di scocciatori, giornalisti, critici, ammiratori e curiosi non è un lavoro di poco conto. Non manca la memoria del circo con il clown Polidor che interpreta se stesso e risponde ai dubbi del regista. La pellicola è intrisa di interrogativi inquietanti sulla crisi creativa: “Non sei più quello di prima…”, pensa il regista. “E se fosse il crollo di un bugiardaccio senza più arte né talento? Se non fosse una crisi passeggera? Forse è davvero ora di farla finita con i simboli…”, teme. Fellini introduce l’argomento religioso e l’eterna contraddizione di chi ha avuto un’educazione cattolica, non riesce a trovare la fede, ma vorrebbe restare folgorato sulla via di Damasco. Ricorda il seminario frequentato da ragazzo, l’incontro con la Saraghina e le persecuzioni erotiche da parte dei frati che facevano naufragare i tentativi di spiare la prostituta.
Il critico intellettuale bacchetta il regista indeciso: “La sua è una mancanza di vera e profonda cultura. Non ci può propinare dei piccoli ricordi bagnati di nostalgia. Le sue ambizioni di denuncia ne escono frustrate”. La figura dell’intellettuale serve a Fellini per mettere alla berlina le critiche di certa sinistra che lo avrebbe voluto schierato con maggior decisione su posizioni marxiste. Il regista confessa che il suo unico desiderio è quello di raccontare la grande confusione che un uomo tiene dentro. La pellicola procede tra contraddizioni e dubbi, soprattutto quando entra in scena la moglie consapevole dei tradimenti. Il regista si lascia lusingare dal richiamo della chiesa, perché avere la benevolenza della chiesa è avere tutto nella vita, forse converrebbe baciare il loro anello e dirsi pentiti.
A un certo punto Guido decide che vuol fare un film dove accade di tutto, addirittura una pellicola che comincia con una nave spaziale su una rampa di lancio. Basta con le storie dove non succede niente!
Il personaggio dell’amica interpretato da Rossella Falk reca nuovi dubbi: “Stai facendo lo sbaglio che facciamo tutti: volere gli altri diversi da come sono. Sei libero ma devi saper scegliere. Non hai più molto tempo davanti a te”. Il regista è in crisi e lo confida all’amica: “Mi sembrava di avere le idee così chiare. Volevo fare un film onesto, utile a tutti, per seppellire ciò che di morto abbiamo dentro. E invece ho le idee confuse. Non ho proprio niente da dire, ma voglio dirlo lo stesso”. Tornano a galla eterne verità, il solito gioco felliniano tra realtà e menzogna, sul fatto che non è giusto mentire, confondere le carte, non far capire cosa è vero e cosa no. È suggestiva la parte onirica che vede tutte le donne della sua vita riunite in una grande casa. Un vero e proprio harem da re Salomone che contempla persino la puttana spiata da bambino sulla spiaggia e una negra che danza da sempre nei suoi sogni. Ai piani superiori, relegate nella soffitta dei ricordi, sono destinate le donne che appartengono al passato. “Non vi fidate. È un ipocrita”, dicono i fantasmi. La felicità del regista sarebbe soltanto poter dire la verità senza far soffrire nessuno e soprattutto non essere assalito dai rimorsi e dalle tristezze.
L’intellettuale perseguita Guido che sogna di poterlo impiccare quando accusa i suoi personaggi di essere approssimativi e inesistenti. Il regista è consapevole di non avere molti amici, né a destra né a sinistra, vorrebbe fare questo film come un’invenzione, come la sua verità, anche se la moglie lo mette di fronte alla realtà. “Vuoi insegnare agli altri e non sei capace di dare niente”, afferma.
La dolcezza di Claudia Cardinale, simbolo di purezza e di bellezza sincera, arriva nel finale per gettare sul piatto della storia gli ultimi dubbi. “Scegliere una cosa sola e farla diventare la cosa della tua vita. Rinunciare a tutto per una cosa. No, non ne sono capace”, confessa il regista. La Cardinale vestita di bianco si muove in un paesaggio surreale notturno sconvolto da un vento incessante. Ascolta la storia che dovrebbe interpretare, comprende che il protagonista maschile non vuole bene a nessuno, non è capace di amare. La conclusione è amara: “Che imbroglione che sei. Non c’è nessuna parte. Non c’è nessun film”. Il finale è bagarre completa con tutti i personaggi sulla scena, anche se non siamo al termine di una pochade. Il film, però, non si fa e la scenografia surreale viene smontata pezzo per pezzo.
Il regista è a corto di idee e trova la comprensione dell’intellettuale: “Noi bisogna restare lucidi sino alla fine. Ci sono già tante cose superflue al mondo. Distruggere è meglio che creare, se non si creano le cose necessarie. Siamo soffocati dalle parole e dalle immagini. Dobbiamo educarci al silenzio, fare l’elogio della pagina bianca, perché il nulla è la vera perfezione…”. Il critico pronuncia citazioni su citazioni e si arroga il diritto – dovere di spazzare via tutto ciò che è inutile. Il film termina con le immagini di un set su una progettata pellicola di fantascienza, una base di lancio di un’astronave costata moltissimo che fa arrabbiare il produttore. Il regista non ha idee, non sa più che cosa dire, preferisce rinunciare e far smontare il baraccone. Fellini fa partire la musica da circo che simboleggia i primi lavori e termina con una fantastica passerella di personaggi che danzano sul tema di Nino Rota. Otto e mezzo è un’autobiografia onirica, lo spettatore non deve attendersi niente di razionale, ma solo trovate geniali che interrompono un monologo tra il regista e se stesso. Fellini filma il suo pensiero, la sua immaginazione, le sue idee, i suoi sogni che tentano di mescolarsi tra loro. Arte, Memoria e Morte sono i grandi temi affrontati e sviscerati con sublime poesia. La stupenda colonna sonora di Nino Rota resta nella storia del cinema ed è un motivo suadente che riecheggia nella memoria. Otto e mezzo è un capolavoro che vince due Oscar: migliori costumi in bianco e nero a Piero Gherardi e miglior film straniero. La cosa più assurda è il titolo: indica il numero di regie realizzate da Fellini, che aveva esordito con un film in collaborazione. Nasce come provvisorio, ma alla fine viene scelto come titolo definitivo per un lavoro che è cinema nel cinema, visto che racconta l’avventura onirica di un regista che ha perduto l’idea per fare il film che aveva in testa. Mario Sesti ne L’ultima sequenza (2003) ha ricostruito la storia di un finale alternativo girato all’interno di un vagone ristorante di un treno.