Quanto sta avvenendo con la guerra tra Russia e Ucraina e, dall’altro lato, tra Israele e Stato palestinese è un tipico esempio di come molti governi spesso usino due pesi e due misure per gestire gli stessi problemi.
In entrambi i casi si tratta di Paesi invasi da un altro Paese che ritiene di avere un qualche “titolo” per appropriarsene (almeno in parte). In entrambi i casi si tratta di conflitti in cui la disparità delle forze in campo è fuori discussione. E in tutti e due i casi, le conseguenze sulla popolazione civile sono tremende.
A fare la differenza è altro. A cominciare dal comportamento dei Paesi occidentali nei confronti di Russia e Israele. Nei confronti della Russia (e alcuni Paesi alleati), “colpevole” di aver invaso la Crimea e parte dell’Ucraina, gli Stati Uniti d’America hanno subito adottato misure pesanti per colpire la sua economia. Nel 2014, anche l’UE ha introdotto delle sanzioni. Dalle restrizioni all’accesso della Russia ai mercati finanziari al sequestro di beni e titoli di imprenditori russi. Dal divieto (poi ridotto a limitazione) di importazione di combustibili fossili dalla Russia al divieto di esportazione verso questo Paese di beni e tecnologie nel settore della raffinazione. Dalla chiusura dello spazio aereo dell’UE agli aeromobili di proprietà russa, alla chiusura dei porti UE alle navi russe. Fino al divieto di esportare in Russia beni e tecnologie a duplice uso per scopi militari (restrizioni più rigorose sulle esportazioni), semiconduttori, componenti elettronici e ottici, strumenti per la navigazione, motori per droni, motori a corrente continua e servomotori per droni e in generale beni che potrebbero rafforzare le capacità industriali russe. E poi il divieto di esportare in Russia beni di lusso e di importare dalla Russia diamanti (tagliati e lucidati), articoli di gioielleria, acciaio, ferro, ghisa e ghisa specolare, cemento e asfalto, rame e fili, fogli e tubi di alluminio, legno, carta, gomma sintetica e materie plastiche, prodotti ittici, sigarette, cosmetici, oro e molto altro.
Recentemente, la Commissione Europea è andata oltre: ha chiesto ai governi di controllare e ridurre il flusso “illegale” di merci verso la Russia e di consentire che Bruxelles possa assumere il controllo della chiusura delle scappatoie sanzionatorie. In una lettera inviata ai governi dei Paesi UE, la Commissione europea ha avvertito che c’è bisogno di “un’azione immediata, concertata e ferma da parte di tutti noi”. La nota firmata dal capo delle finanze dell’UE Mairead McGuinness e dal capo del commercio Valdis Dombrovskis, preannunciava di fornire a breve “informazioni dettagliate” sulle aziende che starebbero eludendo le sanzioni. I pacchetti di sanzioni dell’UE contro la Russia sono già 12. Il 13esimo è atteso per il prossimo 24 febbraio (secondo anniversario dell’invasione dell’Ucraina) e dovrebbe comprendere una misura fortemente simbolica, ovvero la limitazione degli spostamenti dei diplomatici di Mosca esclusivamente nel Paese in cui sono accreditati. Misure peraltro inutili: recentemente la Russia ha fatto registrare record in alcuni settori di esportazione.
Niente di tutto questo è mai avvenuto per Israele. Anzi, nell’ultimo periodo, gli scambi con molti Paesi occidentali sono aumentati. A cominciare dall’Italia, specie in settori come l’alta tecnologia, la cybersecurity, le biotecnologie e le energie rinnovabili o (dall’altra parte) l’automotive, il fashion, il design e l’agroalimentare. Secondo il sito L’Italia come partner privilegiato di Israele: nuove sfide e prospettive economiche (itrade.gov.il) , “La cooperazione economica tra l’Italia e Israele è basata su solidi legami commerciali”.
Anche nel settore della giustizia internazionale si è assistito ad una reazione diversa. Entrambi i Paesi sono stati accusati di aver “invaso” un Paese vicino. Per questo sono stati denunciati alla Corte di Giustizia Internazionale, il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite. Diversi gli esiti di questi processi. Nel 2017 Kiev aveva denunciato Mosca per la violazione della Convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo e per quella sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale. Solo pochi giorni fa, la Corte di Giustizia dell’Aia ha respinto quasi tutte le richieste dell’Ucraina sulla violazione da parte della Russia delle due Convenzioni internazionali (tranne due azioni secondarie).
Diverso il giudizio nei confronti di Israele e per una violazione ben più grave: “genocidio”. I giudici dell’Aia hanno respinto la richiesta dello stato ebraico di archiviazione della denuncia e hanno chiesto al governo israeliano di adottare misure efficaci per permettere la fornitura dei servizi di base e l’assistenza agli abitanti della striscia travolti da un cataclisma umanitario. Alle autorità israeliane è stato dato un mese per riferire alla corte sui provvedimenti presi. Anche Amnesty International ha documentato gli attacchi israeliani, definendoli “illegali” e “indiscriminati” e affermando che “hanno causato vittime civili di massa e devono essere indagati come crimini di guerra”. Attacchi sulla Striscia di Gaza che il governo israeliano non ha mai cessato del tutto. Nemmeno dopo la sentenza provvisoria della Corte dell’Aia. Anzi, Itamar Ben-Gvir, ministro per la sicurezza nazionale, avrebbe spinto per l’espulsione di tutti i palestinesi e il ritorno dei coloni ebraici nella Striscia. Lo stesso avrebbe fatto il ministro delle finanze Bezalel Smotrych che ha proposto l’esodo “volontario” di tutti gli abitanti di Gaza.
Eppure, quasi nessuno dei Paesi occidentali ha detto nulla su questo comportamento. Blande, per non dire ridicole, le misure adottate dal presidente USA: avrebbe firmato un ordine esecutivo che contiene sanzioni finanziarie, blocco dei beni e divieto di accesso al Paese nei confronti di quattro (dicesi quattro) coloni israeliani, responsabili di attacchi violenti nei confronti dei palestinesi in Cisgiordania. Fingendo di non sapere che oltre ventimila morti tra i civili (per il 70% donne e bambini) e decine e decine di migliaia di feriti e milioni di sfollati non sono stati frutto delle azioni di quattro persone, ma di politiche miranti ad eliminare i palestinesi da quel pezzo di terra. Inutile dire che dopo la sentenza nessun Paese occidentale ha deciso di adottare misure restrittive, anche dal punto di vista diplomatico nei confronti di Israele.
E ancora. Nel 2023, Putin è stato incriminato dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per il presunto rapimento di bambini ucraini. Addirittura, è stato emesso un mandato d’arresto internazionale per il presidente russo e per persone del suo entourage. Secondo un’analisi del Guardian, i bambini presunti rapiti sarebbero stati prelevati da istituzioni statali ucraine nelle aree occupate. La Russia ha ammesso di aver portato in Russia circa 1.400 bambini ucraini che ha definito orfani. Inoltre, ha parlato di 2.000 bambini che si sarebbero recati in Russia come “non accompagnati”.
Stranamente, la Corte Penale Internazionale dell’Aia non ha avviato un procedimento nei confronti dei leader israeliani per aver ordinato il bombardamento di scuole e ospedali (attività vietata da numerosi accordi internazionali). Secondo i dati dell’UNRWA, ad oggi, sarebbero decine di migliaia i bambini uccisi sotto le bombe israeliane. Di migliaia di altri non si hanno più notizie, probabilmente sepolti dalle macerie degli edifici bombardati. Bambini “uccisi”, non “rapiti”. Eppure, nessuno ha parlato di un qualche procedimento avviato nei confronti dei leader israeliani.
Il comportamento nei confronti dell’ “invasore” russo è ben diverso. Perfino in settori come lo sport. Da anni gli atleti con passaporto russo (o bielorusso) sono vittime di trattamenti vergognosi. Il CIO, il comitato Olimpico Internazionale, ha detto di aver deciso di “concedere” agli atleti russi (e bielorussi) di partecipare ai prossimi Giochi olimpici 2024 di Parigi. Ma solo a due condizioni: potranno farlo solo sotto lo status di “neutrali” (niente bandiera o colori nazionali) e a condizione che non abbiano sostenuto (anche sui media) l’invasione dell’Ucraina. Una decisione ritenuta insufficiente dall’Ucraina: il ministro ucraino dello sport avrebbe pubblicato sul proprio sito un elenco di atleti e dirigenti russi (e bielorussi) che si erano schierati a favore dell’azione del proprio governo. Un elenco che prevede atleti di 52 sport, non tutti olimpici. Per ciascun atleta è stata pubblicata una scheda. Tra loro ci sarebbero anche atleti non più in attività.
Ancora una volta diverso il trattamento riservato agli atleti e alle atlete israeliane. A loro nessuno ha negato il diritto di ascoltare l’inno del proprio Paese o di vedere la bandiera nazionale sventolare dopo essere finiti sul podio di una competizione sportiva. E mentre ad alcuni sportivi russi o bielorussi è capitato di dover subire il pubblico oltraggio di non vedersi stretta la mano al termine di una gara (come è successo a due tenniste – una russa l’altra bielorussa – che, al termine di una partita ufficiale, hanno visto l’avversaria ucraina ritirare la mano), i colleghi israeliani sono stati applauditi. Uno di loro ha addirittura dichiarato di voler mettere all’asta la medaglia appena vinta sotto la bandiera di Israele “per aiutare le comunità al confine con la Striscia di Gaza, vittime degli attacchi di Hamas” non tutte, solo quelle dei coloni israeliani. Nemmeno un centesimo, nemmeno un pensiero per le decine di migliaia di bambini israeliani.
Due pesi e due misure.