Delicata armonia in costante dialogo con il nobile sentimento dello spirito, viva e appartata, quasi volesse nascondersi dietro la veste idilliaca che indossa, così si presenta la poetica di Alfonso Celestino.
Uomo dai turbamenti che si lasciano accarezzare e domare, scie di meteore che riesce a cogliere nell’impatto istantaneo con l’ atmosfera, i suoi versi, sono le monadi dell’amore alle quali egli ha costruito le finestre del dialogo per scendere fino all’indomabile forza, che ora innalza ora deturpa, ma il momento dell’estasi arriva quando si sprofonda nello spazio bianco di carta manufatta, smerigliata dai sensi e protetta dalla mano che la riscalda per fonderla con i vocaboli.
Vicinanza allo stile della preghiera, devozione e osservazione, elementi che costituiscono la base del suo sentire come eterna tenacia del suo spazio-tempo, caduto ma infinitamente speranzoso.
Che cosa è per lui la poesia? Affluenza di emozioni che non vogliono essere gettati nello sterile oblìo di un pianeta che vaga velocemente senza meta.
Egli crede che gli arcobaleni stiano oltre la voce belligerante di chi è causa di temporali, infatti non risparmia di evidenziare che, nonostante si è figli dell’amore, non tutti riescono a far germogliare il seme eterno donato dal divino che è altresì la connessione con il cosmo stesso.
Il suo stile è quindi di chi non rinuncia a percepirsi come figlio di quella coltre blu che cela segreti ma si vogliono fare scoprire attraverso la ricerca.
Poesie che, ancora una volta, non arretrato di fronte alla magnificenza del cuore, e nonostante l’indifferenza degli esseri umani, Alfonso osa chiedere di poter amare, di poter proteggere. Uno spirito ansimante che affronta quell’ansia notturna perché c’è domani, motivo che esce dalla dissonanza dell’estraneità, momento dell’incontro, attimo che intercede tra fusione e alchimia per confermare corpo e pneuma in una unica assonanza di intenti.