Questo è il bunker di contrada Giambascio vicino San Giuseppe Jato in provincia di Palermo. In un grande casolare apparentemente dismesso gli investigatori nel febbraio del 1996 trovano due camere della morte: quella dove è stato tenuto prigioniero il piccolo Giuseppe Di Matteo e una piccola cella in cui è stato ucciso.
Io sono sceso li assieme agli uomini della Dia e ho fotografato e respirato l’aria malsana che il piccolo Giuseppe Di Matteo fino ad un mese prima aveva respirato. Una sensazione terrificante, vedere e toccare ciò che per due anni di dura prigionia aveva visto e maneggiato quel ragazzino prima che venisse strangolato da un sicario di Giovanni Brusca.
Due piani sottoterra da cui si accedeva con una piattaforma mobile che era costituita da quattro mattonelle, un quadrato perfettamente mimetizzato dalle fughe del pavimento. Sembrava la casa di Diabolik. Di quei fumetti che da ragazzino divoravo. Ero impressionato da tanta tecnologia ben copiata e messa in opera. E si che Brusca era abituato a “prendere” in prestito idee da fumetti e film. Lui stesso ammise candidamente dopo la cattura e il pentimento che dalla trilogia de “Il Padrino” di Francis Ford Coppola aveva tratto spunti per compiere tante nefandezze, una tra tutte l’uso delle teste di cavallo mozzate da recapitare alle vittime che voleve intimidire.
Giuseppe Di Matteo fu rapito due anni prima, il 23 novembre 1993, per costringere il padre, Santino, a non collaborare più con la giustizia e ritrattare ciò che aveva fatto mattere a verbale. Nell’immediatezza e prima della morte di questo bambino mi ricordo che si parlava poco. Anche nel mondo del giornalismo si sapeva ma non si metteva in evidenza che per più di due anni un ragazzino che aveva solo 12 anni mancava da casa. Tutti sapevamo che era stato rapito dalla mafia. Ma lui era un bambino di serie “B”, era figlio di mafiosi, mica il figlio di un grosso e ricco imprenditore, magari del Nord. Fu fatto poco e alla fine non ci fu nulla da fare per salvarlo. La notizia “esplose” solo dopo che il pentito di mafia Vincenzo Chiodo che fu l’esecutore materiale dell’uccisione di Giuseppe, raccontò durante un processo i dettagli macabri e orribili di come avvenne il delitto dopo che Giovanni brusca gli intimò di “allibirtarisi ru cangulieddu” (liberarsi del cucciolo di cane).
Racconta Chiodo:
«Io ho detto al bambino di mettersi in un angolo, cioè vicino al letto, quasi ai piedi del letto, con le braccia alzate e con la faccia al muro. Allora il bambino, per come io ho detto, si è messo faccia al muro. Io ci sono andato da dietro e ci ho messo la corda al collo. Tirandolo con uno sbalzo forte, me lo sono tirato indietro e l’ho appoggiato a terra. Enzo Brusca si è messo sopra le braccia inchiodandolo in questa maniera (incrocia le braccia) e Monticciolo si è messo sulle gambe del bambino per evitare che si muoveva. Nel momento della aggressione che io ho buttato il bambino e Monticciolo si stava già avviando per tenere le gambe, gli dice ‘mi dispiace’ rivolto al bambino ‘tuo papà ha fatto il cornuto’ (…) il bambino non ha capito niente, perché non se l’aspettava, non si aspettava niente e poi il bambino ormai non era… come voglio dire, non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… anche se non ci mancava mangiare, non ci mancava niente, ma sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro… cioè questo, il bambino penso non ha capito niente. Sto morendo, penso non l’abbia neanche capito. Il bambino ha fatto solo uno sbalzo di reazione, uno solo e lento, ha fatto solo questo e non si è mosso più, solo gli occhi, cioè girava gli occhi. (…) io ho spogliato il bambino e il bambino era urinato e si era fatto anche addosso dalla paura di quello che abbia potuto capire o è un fatto naturale perché è gonfiato il bambino. Dopo averlo spogliato, ci abbiamo tolto, aveva un orologio da polso e tutto, abbiamo versato l’acido nel fusto e abbiamo preso il bambino. Io ho preso il bambino. Io l’ho preso per i piedi e Monticciolo e Brusca l’hanno preso per un braccio l’uno così l’abbiamo messo nell’acido e ce ne siamo andati sopra. (…) io ci sono andato giù, sono andato a vedere lì e del bambino c’era solo un pezzo di gamba e una parte della schiena, perché io ho cercato di mescolare e ho visto che c’era solo un pezzo di gamba… e una parte… però era un attimo perché sono andato… uscito perché lì dentro la puzza dell’acido era… cioè si soffocava lì dentro. Poi siamo andati tutti a dormire.»
Ecco il vero volto della mafia, signori, nient’altro da aggiungere.