L’agguato mafioso a Roberto Parisi, presidente del Palermo calcio

Articolo di Franco Lannino

Il 23 febbraio 1985 alle nove del mattino, in un agguato mafioso muore Roberto Parisi, 54 anni, presidente del Palermo calcio e titolare dell’Icem, la società che allora aveva in appalto dell’illuminazione pubblica in città. La sequenza dell’attentato è la stessa di tanti altri delitti consumati allora. Roberto Parisi è a bordo della Fiat 131 guidata dal suo autista Giuseppe Mangano di 38 anni, e si dirige verso la sua azienda alla “Marinella” nella borgata di Tommaso Natale. Parisi è seduto accanto al posto di guida. Due auto, una Fiat Panda e una Fiat Ritmo si affiancano e da li partono le raffiche di mitra. L’autista è colpito, e la 131 sbanda, rovescia alcuni cassonetti dell’immondizia e sbatte frontalmente contro un albero di olivo. Dalle due auto scendono i killer che continuano a sparare all’impazzata. Colpi al capo per il presidente del Palermo calcio. Il delitto è compiuto.

I Killer si dividono e vanno via, alcuni si allontanano addirittura a piedi e in autobus! Mangano muore sul colpo, lasciando tre figli. Parisi si spegnerà in ospedale dopo un paio d’ore. L’imprenditore lasciò la seconda moglie e una figlia di un anno (la prima moglie e la figlia Alessandra di cinque anni morirono nella strage aerea del Dc-9 di Ustica del 27 giugno 1980). Dieci anni dopo, nel 1995, Emanuele Di Filippo si autoaccusò dell’omicidio, reo confesso, ed in seguito al contributo offerto come pentito di mafia, sarà condannato a soli 15 anni di carcere. Per i suoi sodali che parteciparono all’esecuzione, Francesco Tagliavia, Lorenzo Tinnirello e Giuseppe Lucchese (detto ‘u Lucchisieddu, un feroce killer di mafia) la sentenza fu quella dell’ergastolo.

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