Fernando Cicero nasce ad Asmara il 22 gennaio 1931 da genitori siciliani, consegue il diploma di scuola media superiore e si trasferisce a Roma per iscriversi al Centro Sperimentale di Cinematografia. Attore di secondo piano tra il 1955 e il 1961 in pellicole come Senso, Divisione Folgore, Andrea Chénier, Il campanile d’oro, Orlando e i Paladini di Francia, Vanina Vanini, L’inferno addosso, Legge di guerra, Salvatore Giuliano, La steppa e Parigi o cara. Aiuto regista di Luchino Visconti (Le notti bianche, 1957), Paolo Heusch (Un uomo facile, 1958), Giuseppe Bennati (Labbra rosse, 1960), Steno (I moschettieri del mare, 1961), Vittorio Caprioli (Parigi o cara, 1962), ma soprattutto di Francesco Rosi (La sfida, 1958, Salvatore Giuliano, 1961 e Le mani sulla città, 1963).
Il suo esordio come regista avviene nel 1965 con la commedia brillante Lo scippo (Per un furto all’italiana) interpretata da Paolo Ferrari, Gabriele Ferzetti, Margaret Lee, Mario Pisu, Enrico Maria Salerno, Annette Stryberg e Valeria Valeri. La trama si sviluppa intorno a uno scippo praticato da due ragazzi ai danni della signorina Speranza, mentre si reca in banca per ritirare una grossa somma per conto del commendator Frascà. Alla fine si scopre che il colpo è stato organizzato proprio dalla signorina Speranza che finisce in galera insieme ai complici motorizzati, arrestati dopo un incidente con l’auto su cui viaggiano la moglie di Frascà e il suo amico. Lo scippo presenta in nuce alcuni elementi che ritroveremo nelle future pellicole di Cicero, soprattutto la commedia satirica di costume, le gag riprese dalla commedia statunitense e la farsa sboccata che sfocia in pochade.
Nel 1967, Nando Cicero si dedica a uno spaghetti western interessante come Il tempo degli avvoltoi, così violento da essere vietato ai minori di diciotto anni, fatto insolito per un western. La pellicola è considerata il capolavoro western del regista, soprattutto per gli inaspettati eccessi di sesso e sadismo. I flani giocano sul divieto per incuriosire: “Si avverte il pubblico che questo film è severamente vietato ai minori di diciotto anni a motivo di sequenze veramente impressionanti e per la vicenda che, nonostante la formula western, prevede situazioni particolarmente scabrose e sessualmente audaci”. Il film è scritto e sceneggiato da Fulvio Gicca, le musiche sono di Piero Umiliani, il montaggio di Renato Cinquini e le scenografie di Demofilo Fidani. Tra gli interpreti ricordiamo George Hilton, Pamela Tudor, Femi Benussi, Frank Wolff e Eduardo Fajardo. La parte erotica ruota attorno alle grazie di Pamela Tudor e Femi Benussi esibite in lunghi bagni, come a voler anticipare un tema fisso della futura commedia sexy. George Hilton è un cowboy fascinoso che seduce con lo sguardo magnetico e l’andatura da bel tenebroso. Frank Wolff è un killer spietato che per passatempo tortura donne e quando non ci riesce soffre di crisi epilettiche. Il film è cattivo, violento, sadico, privo di lieto fine, costellato di personaggi assurdi e repellenti. Una pellicola originale perché va oltre gli stereotipi western e realizza personaggi violenti, sadici e perversi che hanno spessore psicologico. Antonio Bruschini, grande esperto di western italiano, sulla rivista Amarcord (n.3, giugno-luglio 1996) scrive: “Il film non raggiunge i limiti di parossismo sadico di un Se sei vivo spara (Giulio Questi, 1967), ma presenta punte di notevole crudeltà visiva. La marchiatura a fuoco del giovane protagonista, o la scena in cui il Nero (Frank Wolff) uccide la sua ex amante, che per una malattia agli occhi deve stare bendata, bruciandola viva (…) il film di Cicero è curiosamente insistito anche su particolari sexy prendendo spunto dall’indole di playboy del protagonista (George Hilton). Inutile aggiungere che il film risulta invisibile da anni…”. Adesso si può recuperare, ma resta un film originale e scabroso.
Professionisti per un massacro (1967) è il secondo film della trilogia western di Nando Cicero, che diluisce violenza e sadismo nella figura di un cinico protagonista come George Hilton. La critica contemporanea apprezza la pellicola e lo giudica uno dei migliori western italiani in circolazione, soprattutto per l’attenta regia di Cicero che riesce a conferire all’azione ritmo e incisività.
La trilogia si conclude con Due volte Giuda (1969), western psicologico interpretato a dovere da Antonio Sabàto, Klaus Kinski, Cristina Galbo e Pepe Calvo. La storia vede Luke Barrett che perde la memoria e viene spinto a uccidere un cero Dingus, lui lo risparmia, ma alla fine scopre che le apparenze ingannano perché si trattava proprio di un perfido individuo. La pellicola è scritta e sceneggiata da un ispirato Jaime Jesus Balcazar e vede la presenza come operatore di Aristide Massaccesi. Cicero si conferma regista interessante e originale che sa conferire ritmo e tensione a un western. Due volte Giuda conclude l’esperienza di Cicero con lo spaghetti-western, un genere che lo vede consegnare tre lavori originali, quasi dimenticati dalla critica.
La carriera del regista cambia direzione dopo l’incontro con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, due comici che sembrano fatti apposta per essere diretti da un personaggio bizzarro e geniale come Cicero. Il primo film realizzato con la coppia siciliana è Ma chi ti ha dato la patente? (1970), una commedia satirica che ironizza sul modo di guidare da parte degli italiani. Franco e Ciccio sono i titolari di un’autoscuola ma non hanno molti clienti, vivono in un barcone sul fiume Tevere, senza una lira, sempre in cerca del modo per sbarcare il lunario. La pellicola vive sulle gag dei due comici scoperti da Lucio Fulci e va avanti con trovate strampalate e bizzarre che risentono dell’impronta di Cicero. Si pensi alla scena in cui Franco pesca un’aragosta nel Tevere ma poi non ha cuore di cucinarla viva nell’acqua bollente e se la fa sfuggire. Cicero inserisce elementi surreali sul traffico quotidiano della metropoli e nella seconda parte fa comparire due turiste americane che servono ad aumentare le parti comiche e sentimentali. Il finale è un colpo di genio di Cicero, avulso dal resto della pellicola, perché vede Alfonso Tomas dei Brutus, nelle vesti di un ansioso aspirante automobilista. Il film è giudicato un lavoro minore di Franco e Ciccio perché le battute sono risapute e riguardano l’incapacità al volante, ma le trovate brillanti salvano una pellicola che si lascia guardare ancora oggi con interesse. Soggetto e sceneggiatura sono della premiata coppia Amendola e Corbucci, ma Cicero collabora (e ci mette del suo) insieme a Mario Di Nardo. Tra gli attori meritano menzione Nino Terzo (esilarante pastore sardo), Angela Luce, Willy Van Der Valke e Raika Yuri (due americane che sposano Franco e Ciccio).
Armiamoci e partite! (1971), è ancora un Franco & Ciccio movie, scritto da Giulio Scarnicci, Enzo Tarabusi, Raimondo Vianello, supervisionato da Steno e fotografato da Aristide Massaccesi. Tra gli interpeti un’affascinante Martine Brochard, Alfonso Tomas, Dante Cleri, Philippe Clay, Gino Pagnani e Nino Terzo. Franco e Ciccio emigrano in Francia, vengono arruolati, spediti al fronte sotto il comando del mimo francese Philippe Clay, trascinano il suo corpo in catalessi per tutta la pellicola, ma contribuiscono alla vittoria finale. Armiamoci e partite! è il decimo film girato nel 1971 dalla coppia comica, una commedia di guerra ben riuscita che le maschere dei due attori siciliani rendono frizzante e moderna.
Due film importanti che Nando Cicero realizza con interprete il solo Franco Franchi sono Ku fu? Dalla Sicilia con furore e Ultimo tango a Zagarol, entrambi girati nel 1973. Ku fu? Dalla Sicilia con furore vede nel cast un’ottima spalla come Gianni Agus, che interpreta il cinese Kon Ki Lay, ma ci sono pure Nino Terzo, Gino Pagnani, Alfonso Tomas ed Enzo Andronico. La pellicola è esilarante. Cicero realizza una parodia riuscita di Dalla Cina con furore (1972) inserendo elementi di grande comicità. Franco Franchi viene addestrato al kung-fu dal vecchio Don Vito, mandarino di Sicilia, per partecipare a una gara bandita dal comune di Roma importante per il suo futuro. Non sa che il posto messo in palio per il vincitore dell’incontro di karate è da vigile urbano, soprattutto è all’oscuro che la figlia di Don Vito, promessa sposa, è un’orribile cicciona. Le gag si susseguono con grande ritmo. Seguiamo Franco a Roma vestito da cinese con la portantina colma di cemento, quindi cominciano le lotte orientali e il comico ridicolizza il kung-fu di Bruce Lee con una mimica da Totò anni Settanta. Jimmy il Fenomeno è un cameriere cinese tremolante e nevrotico che serve Franco, lo rende così nervoso da fargli versare tutto il riso e finisce per inzupparlo dalla testa ai piedi con il vino rosso. La situazione al ristorante cinese è prolungata ma efficace e Cicero ironizza sulla nuova cucina orientale mostrando dei vermi vivi nel piatto di Franco. Al ristorante assistiamo anche a una sfida stile western tra Franco e un duro chiamato Attila che manca di rispetto a una cantante cinese. Franco dice che lo chiamano fico d’India, e aggiunge: chi mi tocca si punge! Inutile dire che i tipacci lo gonfiano di botte, ma è il padrone del ristorante (un esilarante Giancarlo Fusco), padre della cinese, a salvare la situazione a suon di testate. A questo punto si inserisce una leggera situazione amorosa tra Franco e la cinesina, ma è tutto molto garbato, come sempre accade nelle pellicole parodistiche interpretate dal comico siciliano. L’arrivo dei tre killer da Milano alza il livello di comicità surreale. Tomas, Pagnani e Terzo si presentano aggredendo un banco di porchetta e facendosi tre grandi panini a colpi di karate. Franco li vede e commenta: “I Re Magi!”. I tre killer menano tutti i componenti della palestra di Kon Ki Lai (Agus) e Franco non combatte perché bloccato dalla paura. Nel film si inserisce una gag ripetitiva di un uomo a bordo della sua Fiat 500 che investe sempre Franco. Alla fine del film sarà il comico nei panni di un vigile urbano a vendicarsi dell’arrogante automobilista. Le numerose parti a base di musica western sono divertenti citazioni dei duelli tra buoni e cattivi di un cinema che Cicero ha frequentato con una scabrosa trilogia e che sembra amare. Esilarante la sfida a colpi di birra versata sulla testa che vede i killer inzuppare Franco con il contenuto di tre casse. La comicità è slapstick, da cartone animato, caratteristica di Nando Cicero. Al solito è il padrone del locale che risolve la situazione a colpi di testate, ma solo perché viene disturbato mentre mangia. La spia nascosta nella tazza del cesso, Franco che ci orina sopra e subito dopo tira la catena è un’altra trovata geniale degna del miglior Cicero. Arriviamo alla gag della mano di travertino, arma segreta con la quale Franco dovrebbe vincere la gara e sconfiggere i killer. Si tratta di un’enorme bufala inventata da Kon Ki Lai per convincere Franco a fare il trasloco di casa sua, anche se poi il cinese gli fa mettere le mani nei carboni ardenti e infine lo convince a buttare giù un muro a colpi di karate. Un’esplosione causata da artificieri di passaggio convince Franco di essere diventato invincibile. Siamo ancora nella comicità da cartoon, ma la mimica del comico siciliano è notevole. Franco sfida i killer a colpi di incudine, non alza il peso ma fa evacuare il locale a colpi di scorregge, al punto che Andronico (Ce Lo Kon Te) esclama: “Ha il culo proibito!”. Altra gag divertente e tipica dei cartoni animati è quando vediamo Franco modellare la mano con una mola da arrotino prima di utilizzarla per tagliare fette di salame. Un umorismo surreale che ricorda Jacovitti e che Cicero inserisce volentieri nelle sue pellicole. La gara finale vede Franco vincitore a suon di testate perché utilizza l’arma segreta del padre della cinesina: una parrucca che nasconde una calotta d’acciaio. Il film non è finito: i killer scoprono il trucco, arriva la resa dei conti al ristorante e tutto si conclude a torte in faccia, in bagarre, secondo regola della pochade. I killer vengono ricoperti di farina, uova, pomodori, pane, acqua, pasta per pizza e addirittura vermi vivi. Subito dopo Franco li finisce inducendoli a una triplice testata reciproca. Il posto di vigile urbano è suo, ma prima evita di sposare l’orribile figlia di Don Vito che preferisce il padrone del ristorante e convola a nozze con la cinesina. Molto bravi Gianni Agus ed Enzo Andronico come maestri cinesi rivali, ma pure i tre killer (Terzo, Pagnani e Tomas) che danno vita a una serie di originali trovate surreali. La pellicola vive di invenzioni scurrili e volgari che la rendono inimitabile nell’ottica di una poetica dell’eccesso che caratterizza il regista. Basti citare Franco Franchi che con una scorreggia rende irrespirabile l’aria della palestra rivale, durante una sfida di karate. Persino Mereghetti concede due stelle a un film che giudica di livello molto basso, anche a base di peti, ma efficace. La parodia del kung-fu è ben fatta, Cicero miscela a dovere comicità popolare e mimica di Franco Franchi con i giochi di parole sul cinese. Nando Cicero dimostra un gusto per l’eccesso e una fantasia giocosa che lo conduce a percorrere le strade dell’iperbole e del surreale, senza trascurare eccessi verbali e corporali di una volgarità unica.