La mafia, gli anni sessanta e le teste di cavallo

Articolo di Franco Lannino

Fino agli anni sessanta la mafia per convincere a pagare il “pizzo”, ed in generale intimidire imprenditori e commercianti, usava far trovare loro davanti casa, negozio, impresa o anche in auto, una testa di capretto mozzata. Oppure un cane o un gatto impiccato. Nel 1972 dopo l’uscita del film “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, tratto dall’omonimo romanzo di Mario Puzo, le cose cambiarono. Chi di noi non ricorda la scena di quel produttore cinematografico, Jack Woltz che rifiuta al boss Michael Corleone interpretato da Marlon Brando il favore di far lavorare alla produzione di un suo film un suo protetto. Bene, nel film a quel produttore venne fatta trovare ai piedi del letto la testa mozzata del suo stallone da corsa preferito, Khartoum. E’ da sottolineare che in quella scena raccapricciante e memorabile venne usata una vera testa di cavallo scelta (quando ancora il cavallo era vivo) dai collaboratori del regista in un macello newyorkese che produceva cibo per gatti. Da quel momento la mafia comincio ad usare teste di cavallo al posto dei cani o gatti impiccati per initimidire le proprie vittime. Del resto lo stesso Giovanni Brusca, il “macellaio” del giudice Falcone, ammise di essere un fan della trilogia de “Il Padrino” e di avere preso da essa molti spunti per andare avanti nelle sua strategia mafiosa. Nel suo covo di contrada Cannitello, a San Leone in provincia di Agrigento dove il boss fu catturato assieme al fratello Enzo – uno degli esecutori materiali dello strangolamento del piccolo Giuseppe Di Matteo – il 20 maggio del 1996 venne trovato il cofanetto con le tre cassette in VHS del film di Coppola che i Brusca usavano spesso rivedere. Io personalmente ricordo di avere fotografato sei o sette teste di cavallo mozzate sui sedili di automobili di imprenditori presi di mira dalla malavita mafiosa. E vi assicuro che anche per me che solo fotografavo la scena, vederlo era ogni volta terrificante.

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