La dichiarazione del ministro per la Protezione Civile Nello Musumeci arriva come un fulmine a ciel sereno: “Dobbiamo ricorrere alle polizze assicurative, non possiamo più pensare che lo Stato possa intervenire sempre e per tutti. Non ci sono più le risorse necessarie per far fronte ad un’emergenza che è diventata pressoché quotidiana”. È quanto ha dichiarato il ministro Musumeci parlando a Sky TG24 dei danni causati dal maltempo in Piemonte e in Valle d’Aosta.
Se, da un lato, è positivo che finalmente lo Stato pare aver capito che i danni provocati da eventi estremi “non possono più essere considerati un evento eccezionale, ma sono eventi ordinari con i quali saremo chiamati a fare i conti”, dall’altro stupisce (e non poco) la soluzione trovata. Non si parla di preparazione. Non si parla di costruire infrastrutture in grado di sostenere le sollecitazioni causate da questi eventi. Si parla solo di stipulare polizze assicurative (da aziende private).
Un concetto discutibile sotto molti punti di vista. Il primo è che in questo modo si sta ammettendo l’incapacità dello Stato di gestire la cosa comune. Il secondo è che una simile dichiarazione non potrà non provocare un’impennata dei prezzi delle polizze assicurative. Il terzo, e forse il più importante, è che molti dei danni causati da eventi estremi di cui parla il ministro sarebbe stato possibile evitarli con adeguate politiche di prevenzione e preparazione. Preparazione e prevenzione che erano e sono compito dello Stato. Gli allagamenti non sarebbero avvenuti se gli argini fossero stati abbastanza alti. Forse alcune delle copiose precipitazioni che si sono verificate nei giorni scorsi non avrebbero prodotto così tanti danni senza la cementificazione selvaggia degli ultimi decenni. E, ovviamente, se qualcuno si fosse preso la briga di svuotare i letti dei fiumi in modo da non costituire ostruzione alla montagna d’acqua in arrivo. E la lista sarebbe lunghissima (basti pensare alla prevenzione in caso di calamità sismiche).
Lo stesso potrebbe dirsi sull’altro fronte. Il ministro sa bene – essendo siciliano – che l’altra faccia delle inondazioni si chiama siccità. Riguarda molte regioni meridionali. E in particolare proprio la Sicilia. Ma anche qui le misure per prevenire queste emergenze sono state trascurate (per usare un eufemismo). Come si può parlare di siccità quando oltre il 40% dell’acqua che esce dagli acquedotti si perde lungo il percorso? E perché nessuno ha mai adottato politiche agricole per ridurre i consumi idrici del settore agricolo (eppure circa il 70% dell’acqua dolce utilizzata serve per questo)?
Ma l’aspetto che più di tutti dovrebbe far pensare è un altro. Il ministro Musumeci ha detto che si tratta “un’emergenza che è diventata pressoché quotidiana”. Purtroppo, come per tanti altri settori (si pensi ai migranti o alla povertà o all’inquinamento e molti altri), quando un’emergenza è “pressoché quotidiana” non è più una “emergenza”: diventa normalità. E il compito dello Stato (e del governo) è proprio gestire queste situazioni. Senza scaricare la patata bollente nelle mani delle assicurazioni.
L’ultima considerazione, ma non per questo meno importante delle precedenti, è forse la più ovvia: ammesso che sia ammissibile ricorrere a delle polizze assicurative per recuperare il costo dei danni causati dalle “emergenze” quasi quotidiane, chi dovrebbe farsi carico del costo di queste polizze (ammesso e non concesso che possano davvero coprire tutti i danni e che, tra mille cavilli e notarelle, alla fine non paghino un centesimo)?