Il 4 di luglio è una giornata speciale per gli Stati Uniti d’America: è l’Independence Day, la Giornata dell’Indipendenza, probabilmente la ricorrenza nazionale più sentita e condivisa.
Il 2 luglio del 1774 (e non il 4 scelto non si sa perché molti decenni dopo), gli americani, dopo anni di tassazione iniqua e controllo imperialista, stanchi di essere considerati una colonia dalla Gran Bretagna, si ribellarono. Le 13 “colonie” americane raggiunsero un accordo e decisero di istituire il Congresso Continentale. Due anni dopo, il 7 giugno 1776 (ancora una data diversa dal 4 luglio!), il delegato della Virginia, Richard Henry Lee, presentò al Secondo Congresso Continentale una proposta di risoluzione. Lunga appena 80 parole, la risoluzione Lee proponeva lo scioglimento di ogni legame politico tra la Gran Bretagna e le colonie. Il Comitato dei Cinque, come divenne chiamato il gruppo di legislatori/politici (John Adams, Thomas Jefferson, Benjamin Franklin, Roger Sherman e Roger Livingston) incaricò Jefferson di scrivere una nuova bozza di quella che oggi è conosciuta come la Dichiarazione di Indipendenza. In pochi giorni, Jefferson produsse non solo quel documento, ma una valanga di testi che sarebbero diventati la base del nuovo Stato indipendente. Anche George Washington e George Mason scrissero una bozza di dichiarazione, la Fairfax County Resolves, nella quale si ribadiva che i diritti costituzionali dei coloni erano stati violati dal Parlamento britannico. Un’altra dichiarazione scritta da Mason, questa volta da solo, la Dichiarazione dei diritti della Virginia, prevedeva il diritto per tutti gli uomini al “godimento della vita e della libertà, con i mezzi per acquisire e possedere proprietà, e perseguire e ottenere felicità e sicurezza”. Fu una vera e propria esplosione di belle parole e concetti lodevoli. Nella sua “dichiarazione” Jefferson affermava che “tutti gli uomini sono creati uguali” e hanno un diritto inalienabile alla “vita, alla libertà e alla ricerca della felicità”. Alcuni di questi concetti, come il diritto alla felicità, sono rimasti alla base di molti trattati internazionali. Fino alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite del 1946. Peccato che nessuno si sia mai preso la briga di definire cosa debba intendersi per “felicità”. The United States Declaration of Independence Digital Art by Henriette ABAS – Fine Art America
Tornando al 1776, la prima votazione non fu unanime: Pennsylvania e Carolina del Sud votarono contro e lo stato di New York si astenne. Il giorno dopo si votò di nuovo e questa volta si ottenne un’unanimità ufficiale, ma forzata. Anche dopo questo voto, però, i delegati continuarono a discutere su alcuni articoli per evitare le conseguenze che certe affermazioni avrebbero potuto avere su temi come la schiavitù o la parità dei diritti. Fu necessario attendere due secoli per veder riconosciuti alcuni diritti e molto di più per una reale parità tra persone di diverse etnie. Questo non bastò a far diventare il 4 luglio l’Independence Day. Ci volle un secolo (fino al 1870) perché il Congresso dichiarasse il 4 luglio festa nazionale. Lo fece partendo da un documento che non era quello iniziale: la versione originale del testo infatti era andata perduta. Quella firmata e conservata presso gli Archivi Nazionali di Washington, D.C., è un documento “assorbito”. Della Dichiarazione di Indipendenza vennero scritte 200 copie (le Dunlap Broadsides), ma solo 27 sono “contabilizzate”.
Ogni anno, il 4 luglio, gli americani festeggiano questa ricorrenza. C’è chi partecipa alle sfilate, chi organizza barbecue luculliani e c’è chi resta seduto davanti alla televisione ad ascoltare i discorsi dei candidati alle prossime elezioni presidenziali. Dibattiti e discorsi che fanno impallidire rispetto al valore di quelli che scrissero la Dichiarazione di Indipendenza. Un documento (come sempre consigliamo di leggere i testi originali e non le realtà) dove si parla di tutto ciò che l’America non voleva essere. E che invece è diventata.
Nella Dichiarazione i padri costituenti accusavano la Gran Bretagna di aver “eretto una moltitudine di nuovi uffici e ha inviato qui sciami di ufficiali per tormentare il nostro popolo e divorare le sue sostanze”. La mente non può non andare alla complessità della macchina burocratica americana. Tra le accuse mosse dai Padri fondatori della Dichiarazione di Indipendenza alla Gran Bretagna quella di aver “mantenuto tra noi, in tempo di pace, eserciti permanenti, senza il consenso delle nostre legislature”. Parole che fanno sorridere pensando al numero di basi militari statunitensi sparse in tutto il pianeta. La DdI accusava i britannici di aver “saccheggiato i nostri mari, devastato le nostre coste, bruciato le nostre città e distrutto la vita della nostra gente”. Ancora una volta il pensiero va alla devastazione ambientale da parte delle grandi aziende made in USA. Di aver “costretto i nostri concittadini fatti prigionieri in alto mare a prendere le armi contro il loro paese, a diventare i carnefici dei loro amici e fratelli, o a cadere essi stessi per mano loro”. La maggior parte delle guerre combattute nell’ultimo secolo hanno avuto come protagonisti proprio gli USA (e per la maggior parte non sono finite con una vittoria).
Alla fine, la Dichiarazione di Indipendenza fa quello che è ormai uno stereotipo da millenni: un modo per scaricare la responsabilità di tutto su Dio, “appellandoci al Giudice Supremo del Mondo per la rettitudine delle nostre intenzioni…”. E “per il sostegno di questa Dichiarazione, con una ferma fiducia nella protezione della divina Provvidenza, ci impegniamo reciprocamente le nostre vite, le nostre fortune e il nostro sacro onore”, si legge nel testo. La stessa cosa che aveva fatto Hammurabi nel XVIII secolo a.C., qualche millennio prima: scaricare la responsabilità delle decisioni politiche da chi governa su una qualche volontà divina.
Oggi, anche di questo non è rimasto più niente negli USA. Molti dei principi contenuti nella Dichiarazione di Indipendenza sono stati cancellati da altri interessi (prevalentemente economici). Buona parte dei diritti che avrebbero portato i membri del Comitato dei Cinque a giustificare la separazione dalla Gran Bretagna sono stati violati dagli USA che hanno imposto le proprie regole ad altri paesi.
Tra qualche mese gli americani saranno chiamati alle urne per eleggere il loro nuovo presidente. Non si sa se sceglieranno il repubblicano Trump, condannato e sotto processo, o Biden, ostinato nella decisione di candidarsi nonostante le sue ultime apparizioni abbiano dimostrato che non è più in condizioni (fisiche e mentali) di reggere quattro anni di mandato presidenziale. L’unica cosa certa è che chiunque dei due verrà eletto (a meno di cambiamenti in corsa per Biden) di sicuro rappresenterà in modo perfetto quello che sono diventati gli Stati Uniti d’America. Qualcosa di molto diverso da quello al quale pensavano i padri costituenti quando approvarono la Dichiarazione d’Indipendenza.