Ad inizio della Guerra fredda il filosofo e matematico Berthand Russell e il fisico Albert Einstein furono promotori di una campagna per il disarmo nucleare. Ieri, 9 luglio, abbiamo ricordato l’anniversario del cosiddetto testamento scritto dal padre della teoria della relatività e sottoscritto da altri sette colleghi, nel quale c’è scritto: «se sarete capaci di farlo, vi è aperta la via di un nuovo paradiso, altrimenti è davanti a voi il rischio della morte universale».
Solo poche ore prima di questa riccorenza, ahime da tanti ignorata, sull’ospedale pediatrico di Kiev veniva colpito da un massiccio attacco missilistico. Dall’inizio dell’invasione (24 febbraio 2022) sono in Ucraina sono stati uccisi più di 500 bambini e in feriti sono più di 1500. Nei sei mesi di guerra a Gaza, tra le più distruttici della storia recente, i bambini palestinesi uccisi sono più di 14.000, i bambini feriti sono circa 12.000 e mille i bambini che hanno subito un’amputazione. Sono immagini, racconti di guerra, violenza, che mai avremmo voluto vedere, leggere, raccontare. Quanto sta avvenendo sotto e davanti ai nostri occhi (in Ucraina, Siria, Sud del Sudan, Mozambico, nei paesi del Centroamerica, ecc.) deve, eticamente, umanamente, civilmente, lasciarci interrogare in funzione di un cambiamento profondo.
Per affrontare questo argomento delicato e che crea indubbiamene sussulti emotivi abbiamo posto delle domande al professor Francesco Pira, Associato di Sociologia dell’Università di Messina, che negli ultimi messi ha in tre missioni all’estero in Polonia, Georgia e Spagna, affrontato questi temi in docenze, gruppi di ricerca e a Siviglia al Congresso Internazionale di Sociologia della FES (Federazione Spagnola di Sociologia).
Il professor Pira ha ricevuto pochi giorni fa per un articolo giornalistico sul quotidiano “La Sicilia” il prestigioso Premio “Pace e Spiritualità 2024”. Il suo impegno è costante.
D.: Perché l’impegno per un dialogo effettivo/effettuale di pace tarda a venire siglato? Perché il rumore delle armi, dopo Hiroshima e Nagasaki, continua a generare morte, caos scatenando forze peggiori? Dove sta andando l’Uomo?
Siamo sicuri che chi è seduto al tavolo delle trattative e dice di cercare la pace, davvero vuole perseguirla? Il dato che rimane davvero sconfortante è quello che in tutte le guerre, in atto nel mondo, ci sono bambini che muoiono e si ha come la sensazione che si stia discutendo pochissimo dei piccoli inermi che perdono la vita. Il numero dei morti sulla Striscia di Gaza è davvero sconcertante: 36.439 e il 70% dei quali sono donne e bambini. Save the Children ha comunicato, attraverso una nota, diffusa nel mese di aprile, che “dagli attacchi del 7 ottobre, più di 13.800 minori sono stati uccisi e 113 in Cisgiordania, mentre più di 12.009 bambini sono stati feriti a Gaza e almeno 725 in Cisgiordania, secondo i dati di Ocha e del Ministero della Sanità di Gaza. Ad almeno 1.000 bambini sono state amputate una o entrambe le gambe”. Le percentuali dovrebbero farci riflettere e ragionare. Pensiamo a questi bambini distesi su un lettino senza vita, feriti o senza arti inferiori o superiori. Le immagini che ogni giorno ci trasmettono i media ci possono far capire le crudeltà e le atrocità di una guerra. Conflitti cruenti e incontrollabili.
Il Papa è l’unico che continua a parlare di pace. Dopo la preghiera dell’Angelus, domenica 9 giugno, ha ricordato che in Giordania l’11 giugno si è tenuta “una conferenza internazionale sulla situazione umanitaria a Gaza, convocata dal re di Giordania, dal presidente dell’Egitto e dal segretario generale delle Nazioni Unite”. Il Santo Padre ha incoraggiato la Comunità internazionale “ad agire urgentemente, con ogni mezzo, per soccorrere la popolazione di Gaza stremata dalla guerra”. Non ha dimenticato il martoriato popolo ucraino che “soffre e anela alla pace” e ha chiesto che si faccia ogni tentativo per costruire la pace con l’aiuto internazionale. Ma la sua voce purtroppo rimane inascoltata.
Cosa possiamo fare noi per impedire che accada tutto questo? Forse possiamo fare ben poco, ma possiamo costantemente veicolare messaggi che trasmettono valori e sentimenti. La violenza della guerra appare quasi normale ed inevitabile. Stiamo vivendo un momento storico complicatissimo e occorre ristabilire la pace e dar vita ad un nuovo “Umanesimo”. Bisogna rispettare e amare l’altro e soprattutto è necessario prestare maggiore cura e attenzione ai bambini. La percezione che abbiamo è quella di dover accettare quanto sta accadendo senza poter nemmeno discutere. Noi dobbiamo pensare ai bambini che sono morti e che potevano raggiungere meravigliosi traguardi. La guerra ha deciso di stroncare le loro vite e tutti siamo qui silenti e non sappiamo come fermare questo orrore.
D.: Quali sono i moderni areopaghi dove formare una cultura di pace che metta al centro la vita e non la morte?
Si parla tanto di pace, ma ci sono persone che poi continuano a fornire armi, a comprare armi e a dire si alle lobby delle armi. Un gioco delle parti che non tiene conto di quanto sia essenziale salvaguardare il dono della vita e salvaguardare la nostra umanità. C’è molto cattivismo e la disinformazione viene sfruttata come arma di guerra, per far sparire la verità e suscitare paura. L’opinione pubblica viene manipolata e si è sviluppato il potere del controllo mentale che avviene attraverso la virtualità ci accarezza benevolmente e ci suggerisce ciò che ritiene conveniente. Questa tipologia di comunicazione ha come caratteristica quella di accrescere l’insicurezza e la paura nella popolazione.
Non conviene parlare di pace. Le posizioni dei partiti si sono completamente ribaltate in merito alle armi fornite all’Ucraina. Ora, la partita è molto più complessa, visto che bisognerà capire se le armi verranno utilizzate per difendersi o per offendere.
L’unica persona, ripeto, che continua a parlare di pace con coerenza è il Santo Padre. Il Papa ha dichiarato che: “Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine” e ha chiesto a tutti i Paesi in guerra di mettere fine ai conflitti: “Cercate di negoziare. Cercate la pace” e ha aggiunto che tutte le sere alle 19 chiama l’unica parrocchia cattolica della Striscia per avere notizie..
È difficile fare discorsi seri sui social, però se i messaggi sono efficaci ed immediati assumono una rilevanza considerevole. Tutto quello che si dice, si propone e si posta, che può riguardare la pace, a mio parere è significativo e di grande valore. Di fronte a quello che accade quotidianamente, si parla di 187 conflitti in tutto il mondo e di 66 bambini uccisi al giorno solo sulla Striscia di Gaza, qualunque tipo di post sembra insufficiente e inutile, ma nulla è lo è. Ma le parole… hanno comunque un peso. A volte servono.
D.: Quale futuro per questa infanzia violata, amputata?
L’incapacità degli adulti di comprendere e ascoltare i bambini e i ragazzi rappresenta il grande nodo ancora da sciogliere. Nell’era del grande sviluppo tecnologico, il rapporto tra adulti e giovani è ancora più complesso. Giorno dopo giorno, diventa sempre più difficile comprendere anche i silenzi dei nostri ragazzi.
Le mie ricerche mirano ad analizzare il rapporto tra i giovani e la tecnologia. Le generazioni si sono evolute all’interno di piattaforme, spesso soli, e vivono la loro vita tra connessione e relazione.
Come sostiene il sociologo Manuel Castells, i social sono diventati il luogo della democratizzazione del privato, dell’autorappresentazione, dell’autonarrazione, dell’autocomunicazione di massa, dove si concretizza la proiezione che ciascuno vuole dare di sé stesso agli altri e anche il luogo per eccellenza dove gli altri attraverso il loro gradimento ci ridefiniscono. Di fatto, l’effetto della costante “vetrinizzazione” sottolinea un costante bisogno di essere sostenuti, rassicurati, accettati.
Adolescenti e preadolescenti sempre iperconnessi. Tutte le attività che svolgono si concretizzano sugli schermi dei loro pc e dei loro smartphone. La continua connessione comporta rischi e pericoli, legati a numerose devianze. La community dei tenebrosi e isolati, immersa nei flussi comunicativi online, mostra le sue grandi fragilità, le sue insicurezze e le sue paure.
Non possiamo permettere che i nostri ragazzi si trasformino in isole e diventino un “prodotto” di consumo. Allora, cosa possiamo fare? Abbiamo il dovere di tutelare l’infanzia e di tracciare rivoluzionari percorsi educativi che supportino gli uomini e le donne del futuro. Una sfida che trova riscontro in quello che è considerato il testamento del sociologo Zygmunt Bauman: “In un pianeta in via di globalizzazione, i problemi umani possono essere affrontati e risolti solo da un’umanità solidale” e noi dobbiamo ritrovare valori, sentimenti e soprattutto l’amore e il rispetto per gli altri.
D.: Con l’IA si corre il rischio di sostituire la Tecnica con l’Uomo. Quale spazio abbiamo – nell’epoca dell’IA – di formare coscienze libere e critiche nella formazione di coscienze libere e critiche capaci di un pensiero libero, aperto ad un dialogo di pace e ricostruzione di valori umani?
Di fatto, le ricadute etiche aspettano ancora delle risposte come ad esempio: sui contenuti falsi generati dall’Intelligenza Artificiale, sulla difficoltà di attuare controlli, sulla violazione della privacy, sulla discriminazione nei confronti di alcuni standard di bellezza, sull’occupazione e sulle aspettative della società.
Dobbiamo pensare a quali saranno le nostre prospettive e a come riusciremo a relazionarci con le macchine, con l’Intelligenza Artificiale e con i robot. Fino a che punto la scienza e la tecnica possono impedire che noi non possiamo essere più considerati esseri umani, ma lattine di minestrone o di pelati? Forse, anche su questo dobbiamo riflettere.
Un libro che da risposte serie è quello del professor Luciano Floridi “Etica dell’Intelligenza Artificiale” su cui ho fatto un lungo intervento formativo a Messina nell’ambito della Scuola della Fondazione Einaudi.
Originariamente, l’obiettivo del libro doveva essere quello di indagare le nuove forme dell’agire artificiale e politico indotte dalla rivoluzione digitale. L’autore ha però deciso di suddividere questo arduo compito in due volumi: l’opera in questione, che si sofferma sull’agire artificiale, e un secondo volume che vedrà la luce nei prossimi anni e si focalizzerà sulla politica dell’informazione e l’agire politico, inteso come forma di agire collettivo influenzata dalle interazioni digitali.
Etica dell’intelligenza artificiale offre una estesa trattazione concettuale dell’intelligenza artificiale (IA), considerata pragmaticamente come una normale tecnologia digitale. Questa tecnologia è però caratterizzata da una importante peculiarità, ovvero l’essere una nuova forma di agire efficace «ma non intelligente» (p. 65), resa possibile dalla rivoluzione digitale o, più precisamente, dal «disallineamento digitale tra azione e intelligenza» (p. 21).
Come spesso accade quando ci si approccia a testi che trattano il tema dell’IA, anche in questo caso alla fine il lettore si ritrova inevitabilmente a domandarsi se il termine “intelligenza artificiale” sia qualcosa di più in un seducente termine-ombrello che nella pratica si rivela piuttosto inadatto per descrivere il reale funzionamento dei sistemi digitali a cui fa riferimento.
La tesi al cuore del volume appare coerente con questa osservazione: secondo Floridi, infatti, l’IA rappresenta un divorzio tra intelligenza e capacità di agire, reso possibile principalmente da due fenomeni. Da una parte, l’avanzamento delle tecnologie digitali che permettono di separare la capacità di risolvere un problema con successo dall’esigenza di essere intelligenti nel farlo. D’altra parte, la crescente tendenza da parte della società a trasformare il mondo in un ambiente sempre più adatto al funzionamento dell’IA – fenomeno che l’autore definisce “avvolgimento” – contribuisce altresì all’affermazione di questi sistemi tecnologici.
Quella che Floridi fornisce non è dunque semplicemente un’introduzione all’IA o all’etica dell’IA, ma una vera e propria trattazione concettuale e interpretativa del significato profondo e delle conseguenze sociali di queste tecnologie.
L’IA, per Floridi, non rappresenta qualcosa da temere o ostacolare, ma piuttosto una “semplice” tecnologia, che necessita di lucidità ed etica per essere modellata, direzionata e governata – in modo che sia utilizzata per produrre e sostenere il bene sociale –. È proprio in quest’ottica che la filosofia e l’etica devono essere utilizzate per fare ciò che l’autore definisce “design concettuale”, ossia come strumenti a sostegno della governance delle tecnologie, che devono indicare la strada eticamente più sostenibile e più giusta.
Bisogna supportare i giovani e gli adulti che intendono conoscere l’universo dell’Intelligenza Artificiale e delle nuove tecnologie.
L’intelligenza artificiale può essere gestita in maniera adeguata per aiutare gli uomini e a dimostrarlo è la storia del conduttore radiofonico Gianluca Nicoletti.
Infatti, utilizzare l’intelligenza artificiale per aiutare le categorie più fragili e potrebbe essere davvero rivoluzionario.
Gianluca Nicoletti, giornalista, conduttore radiofonico, che ha raccontato a La Stampa di essere impegnato “nella creazione di un chatbot” che abbia la sua voce: “Sarà un’eredità che lascerò a mio figlio, che è autistico e non parla. Chi si occuperà di lui e dei suoi amici potrà contare su una risorsa in più per continuare a sostenere la mia battaglia per affrancarli dallo status di fantasmi”.
Nicoletti cerca, da tantissimo tempo, di far conoscere a tutti i caratteri della neurodiversità e promuove i diritti delle persone neurologicamente diverse. Lo scopo è quello di eliminare ogni forma di discriminazione e di supportare quelle famiglie che vivono accanto ad una persona autistica.
Il giornalista ha dichiarato: “Stiamo costruendo un altro me stesso vocale, un agente intelligente che dovrebbe riprodurre perfettamente il mio modo di parlare” spiega Nicoletti, che aggiunge di essere “seguito dalle persone tecnologicamente più competenti nel campo specifico. Non mi sono voluto limitare alla costruzione di un mio clone vocale. Lo sto anche nutrendo con tutto quello che ho detto, scritto e pensato durante la mia vita professionale. Ho iniziato a depositare le mie parole e i miei pensieri in un laboratorio dove si elaborano ad altissimo livello progetti legati all’AI”.
La voce è un “bene prezioso” ha sottolineato Nicoletti “mi appartiene come mi appartengono un braccio, una gamba, un rene, il fegato, il cuore. Probabilmente è il tratto distintivo che mi rende riconoscibile più di ogni altra mia caratteristica esteriore. La tecnologia mi permette di attivare la base di dati che produce le mie parole, oltre il naturale seppellimento negli archivi in cui sono riposte. Perché dovrei dunque rinunciare alla fantastica avventura di farmi saccheggiare e ricomporre da un Intelligenza Artificiale? Trovo che sia questa la prima grande opportunità di esperienza metafisica che ci offre questa nostra ultima e velocissima fase evolutiva”.
Nicoletti ha capito come l’intelligenza artificiale può cambiare la vita di tante persone. In un mondo in cui sono presenti tanti “ismi”, tra cui il cattivismo, tentare di comprendere altre prospettive diventa essenziale. L’ascolto non basta, ma serve sentire quali sono le necessità dei nostri figli o dei nostri ragazzi e questo papà ha portato alla luce gli aspetti dell’autismo senza riserve. Un uomo che si è interrogato e ha capito cosa potrebbe aiutare il figlio.
Ormai, mi occupo delle nuove generazioni da tantissimo tempo e so quanto i ragazzi possano essere fragili. L’emotività ha un peso nella vita di tanti preadolescenti e adolescenti che vanno orientati verso valori e sentimenti. La solitudine non aiuta i giovani e li conduce all’isolamento. Abbiamo bisogno di famiglie e genitori attenti, in grado di immaginare un mondo nuovo per i propri figli.
Questo vuol dire modificare anche il proprio atteggiamento ed evitare di guardare il mondo con indifferenza. Bisogna insegnare la bellezza delle differenze e mostrare che, nonostante esse, comunque, c’è qualcosa che deve accomunarci tutti ossia il rispetto delle persone.
Bisogna sensibilizzare la nostra società, per riuscire a rispondere alle esigenze del nostro sistema educativo e donare alle nuove generazioni un futuro meraviglioso.