La parola “Dipendente”, una dipendenza che uccide

Articolo di Cosimo Abbatepaolo

Le parole determinano, fondano, creano realtà codici descrivono, sono un arma potentissima perciò determinanti ed in quanto tali, diventano  un atto brutale nel mantenere  distorsioni culturali cementificate, in un contesto storico – culturale dove tutto legittimamente cambia  evolve,  ragione per cui  risemantizzare le seguenti diventa un obbligo, un atto civile umano, politico,  che restituisce  in ambito di diritti quel rispetto ancora negato a tantissime persone.  

La parola che voglio vagliare è  una delle parole più impietose della lingua italiana: “Dipendente”, eccola qui la  criminale e nel  conseguente ventaglio di significati ne fisso tra i più spaventosi : “Che è alle dipendenze di qualcuno”, ” chi lavora alle dipendenze altrui”, “che dipende, che è soggetto ad altri” . 

L’ ultimo significato è eloquentemente una coercizione , sottintende una  sottomissione, dipendenza vitale come dalle  sostanze inebrianti e stupefacenti , alcol e droghe che come ben sappiamo possono nuocere gravemente e che   mentre nel caso della parola, amputano la libertà  e l’ autonomia  dell’ individuo, in un rapporto tossico e nocivo senza alcuna via d’ uscita. 

Ed è proprio in virtù di queste nefandezze che possiamo abbracciare quanto diceva la poetessa statunitense “Emily Dickinson” : come fa la gente a vivere senza pensare – come fanno a vivere? Dove trovano la forza di vestirsi al mattino? 

La nefasta “Dipendente” crea gerarchie improprie, illegittime, disuguaglianze in termini di status e potere, esercita su una Scala ben costruita autorità, potere decisionale e comportamentale, abuso,  richiedendo esplicitamente sudditanza, obbedienza , costringendoci a qualsiasi forma di  

sopruso, negandoci ogni possibilità di azione, rivendicazione nel quadro dei diritti e dignità.  

Ebbene credo che risemantizzare la parola , se non annullarla totalmente adottandone una più equa e democratica, come “Collaboratrice / Collaboratore” possa spostare, cambiare le cose , donando una fisionomia nuova a tutti gli apparati sociali, relazionali, restituendo  consapevolezza e coraggio . 

Ripensare alle parole è un atto rigorosissimo, proprio in questo preciso momento storico, in cui si ricorre a tutto ma grottescamente a tutto, pur di negare un’ esistente oggettiva verità, nitidissima anche  in quel di “Marte” ; perché le parole pur essendo un ‘arma  possono salvare, …MA come tutte le armi, si possono usare in tanti modi, un coltello taglia anche il pane, affermava la compianta “Michela Murgia” con  ancora “Emily Dickinson” : … ora non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere. Ne esistono alcune di fronte alle quali mi inchino, stanno lì come un principe tra i lord. A volte ne  scrivo una, e la guardo, ne fisso  la forma, i contorni fino a quando comincia a splendere e non c’è Zaffiro al mondo che ne possa eguagliare la luce. 

Diamo corpo ad una nuova Epifania delle parole. 

Sopra un particolare dell’opera ” Così fan tutti ” di Cosimo Abbatepaolo.

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