Rocco e i suoi fratelli (1960) è considerato il capolavoro cinematografico di Luchino Visconti ed è liberamente ispirato ad alcuni racconti scelti da Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori. Il melodramma è lo strumento con cui Visconti decide di raccontare la società contemporanea, lo sfaldamento della famiglia e la vita degli emigrati meridionali che (per necessità) vanno a lavorare a Milano. La storia mette a confronto la civiltà industriale lombarda e la miseria meridionale, racconta Milano con gli occhi degli emigrati, descrivendola come una città gelida e ostile, piena di tipi umani dai quali è bene stare alla larga. Il film è intriso di riferimenti letterari e melodrammatici, che sfociano in una serie di scontri e sopraffazioni, fino alla svolta definitiva che porta a un tripudio di sangue. La pellicola si ricorda anche per un ridicolo intervento della censura che obbliga ad annerire una scena di stupro e a inserire un (anacronistico) divieto di visione per i minori di anni 18. Melodramma e realismo si fondono senza soluzione di continuità in un lavoro solido e compatto, un grande successo commerciale nell’Italia degli anni Sessanta ancora affascinata da vicende melodrammatiche. Visconti è a suo agio con la materia, sia per i melodrammi teatrali e lirici che mette in scena sia per una predisposizione a rappresentare la realtà senza finzioni con una tendenza al melodramma che spesso diventa tragedia corale.
Il film è strutturato in capitoli, ognuno porta il nome di un fratello (Simone, Rocco, Ciro, Luca, Vincenzo) ed è rappresentato da un dito della mano – Rocco è il medio -, con ispirazione (per il titolo) a Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann, così come Rocco è nome caro a Visconti, appassionato lettore del poeta Scotellaro. Nadia (Girardot) è l’oggetto del contendere, la donna milanese di liberi costumi, prima di Simone (Salvatori) poi di Rocco (Delon), infine violentata e riconquistata con la forza dal primo, che si abbrutisce ogni giorno di più, fino alla perdizione. La storia si svolge in gran parte a Milano, con l’arrivo in una stazione cupa e nebbiosa, la lite con il fratello Vincenzo (Focas) che già viveva a Milano e si era fatto una fidanzata (Cardinale), la sistemazione in una casa popolare, infine l’ingegnarsi per sopravvivere. Il mondo del pugilato fa da sottofondo, con Simone e Rocco che lo frequentano, ma solo il secondo avrà la stoffa del campione metodico e preciso, senza la sregolatezza del fratello. Il tema che Visconti mette al centro del melodramma è lo sradicamento dalla terra, il personaggio di Rocco rappresenta il meridionale innamorato dei suoi luoghi nativi, tra campi e mare, ulivi e arcobaleni, che vorrebbe tornarci e spera che il fratello più piccolo, un giorno non lontano, riesca a farlo. Melodramma sociale perché Visconti non dimentica di accusare una città tentacolare che spersonalizza e ammalia, che fagocita e trasforma, oltre a una società industriale che elimina la solidarietà e scrive da sola le leggi da seguire per il successo. Bellissima la scena finale, il dialogo tra Luca (il fratello più piccolo) e Ciro (il fratello che cerca di adattarsi) davanti ai cancelli della fabbrica, dove il secondo sta per entrare, che mette in chiaro come sia Simone che Rocco siano due vittime di una società che non hanno saputo affrontare. La canzona Paese Mio, interpretata da Elio Mauro su musica di Nino Rota, è il leitmotiv ideale che sentiamo sia all’arrivo in stazione che nello struggente finale, quando la sirena suona, gli operai entrano in fabbrica e Luca rientra a casa lungo il viale assolato e deserto. Tutto è nostalgia, in fondo, riprendendo le parole di Rocco che un giorno vorrebbe rivedere la terra natale. Tra i 100 film italiani da salvare, restaurato dalla Cineteca di Bologna, gode di una fotografia in bianco e nero gelida e plumbea curata da Rotunno e di una colonna sonora struggente di Nino Rota. Montaggio di Serandrei (170 minuti e non si sente la fatica) e costumi di Tosi, soprattutto una sceneggiatura oliata alla perfezione da Visconti, Cecchi D’Amico, Franciosa, Campanile, Medioli e Pratolini, che armonizza alcuni racconti di Testori. Un film invecchiato benissimo interpretato da attori perfetti, sia Salvatori nei panni della mela marcia della famiglia Parondi che Delon come rampollo fin troppo buono, sempre disposto a perdonare tutti. Annie Giradot è una straordinaria donna perduta milanese, Spiros Focas è Vincenzo, mentre Paolo Stoppa è bravissimo come manager pugilistico. Claudia Cardinale non ricopre un ruolo rilevante nei panni della fidanzata di Vincenzo che la famiglia di origine accetta a malincuore. In ruoli minori troviamo Corrado Pani, Nino Castelnuovo, Adriana Asti e Claudia Mori, mentre Ciro è un attore non professionista di nome Max Cartier. Rocco e i suoi fratelli ci mette di fronte ai problemi reali di un’Italia composta da emigranti (interni o esterni non fa differenza) sradicati dalle origini e gettati in una realtà che faticano a comprendere. Da recuperare, non solo per il valore oggettivo dello specifico filmico, sia nel significante che nel significato, ma anche per capire fino in fondo gli immigrati di oggi.
Regia: Luchino Visconti. Soggetto: Giovanni Testori (racconti da Il ponte della Ghisolfa). Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Luchino Visconti, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, Vasco Pratolini. Fotografia: Giusepe Rotunno. Montaggio: Mario Serandrei. Scenografia: Mario Garbuglia. Costumi: Piero Tosi. Musiche: Nino Rota. Casa di Produzione: Titanus, Les Films Marceau. Distribuzione (Italia): Titanus. Lingua Originale: Italiano. Paese di Produzione: Italia, Francia, 1960. Durata: 170’. Dati tecnici: B/N. Genere: Drammatico. Interpreti: Alain Delon (Rocco Parondi), Renato Salvatori (Simone Parondi), Annie Giradot (Nadia), Roger Hanin (Duilio Morini), Claudia Cardinale (Ginetta Giannelli), Katina Paxinou (Rosaria Parondi), Spiros Focas (Vincenzo Parondi), Corrado Pani (Ivo), Poalo Stoppa (Cerri), Suzy Delair (Luisa), Rocco Vidolazzi (Luca Parondi), Max Cartier (Ciro Parondi), Alessandra Panaro (Franca, fidanzata di Ciro), Claudia Mori (lavandaia), Adriana Asti (lavandaia), Enzo Fieramonte (allenatore di pugilato), Nino Castelnuovo (Nino Rossi), Rosario Borelli (un biscazziere), Renato Terra (Alfredo, fratello di Ginetta), Eduardo Passarelli (Giuseppe).