Regia: Eriprando Visconti. Soggetto e Sceneggiatura: Roberto Gandus, Eriprando Visconti. Fotografia: Luigi Kuveiller. Musiche: Aldo Savi. Montaggio: Nino Baragli. Costumi: Celia Gonzales. Scenografie: Gian Maurizio Fercioni. Formato: 1.85. Colore. 35 mm. Genere: Drammatico, Storico. Durata: 90’. Produzione: Luciano De Feo per Arcana e D.A.C.. Interpreti: Nathalie Nell (Maria, la prostituta), Jimmy Briscoe (Marcello, il nano), Antonio Marsina (Cesare), Remo Girone (Il Monco), Serena Grandi (prostituta), Leonardo Treviglio (Il cieco), ElizabethKaza (Leni, la maitresse), Leopoldo Trieste (amministratore), Cesare Barbetti (padre di Marcello), Monica Scattini (prostituta), David Brandon (maggiore Banfield), Linda Spriggs (prostituta nana), Fiorella Molinari (prostituta), Cinzia Cavalieri (prostituta), Renata Zamengo (cameriera).
Per lui tutto era troppo grande, anche l’amore, recita la frase di lancio che campeggia sui flani e nei ritagli di stampa. L’ultima pellicola di Eriprando Visconti è troppo introspettiva e viscontiana per convincere una critica ingessata e un pubblico che attende una nuova trasgressione come ai tempi de La orca. Il paragone inevitabile tra Malamore e Gruppo di famiglia in un interno (1974) fa uscire sconfitto il meno famoso nipote, portando in trionfo l’eroe proustiano di Luchino, quel Burt Lancaster che odia la modernità e si rifugia in un mondo composto da antiche certezze. L’interpretazione più lucida di Malamore la dobbiamo a Corrado Colombo – profondo conoscitore dell’opera del Maestro – che pone l’accento sulla metafora del nano vista come fallimento esistenziale e il profondo disagio di accettare se stessi. La storia è molto piccola, ma profonda e ben sceneggiata, anche se spesso rischia di arrotolarsi su se stessa e di ripetere concetti già espressi. Tutto ruota attorno a un’idea forte e originale, trasgressiva come gran parte del cinema di Visconti: il racconto dell’amore impossibile tra un nano e una puttana. La meschinità è la nota dominante di una pellicola dove tutti sfruttano gli altri e stanno insieme soltanto per bisogno e interesse. In un quadro di malaffare la sola ad avere un briciolo di cuore è la puttana che finisce per sacrificare la sua vita a un malinteso amore nei confronti del nano, che salva da morte sicura. Il nano resta solo con la sua bella ridotta a un essere che nessuno vuole, proprio come lui, che ha perso la madre nel giorno del concepimento e il padre in un incidente di guerra. Malamore è costellato di personaggi squallidi e senza scrupoli, da una laida maitresse (Kaza) che approfitta di un cieco per fare l’amore, a un monco (Girone) che progetta la morte del nano, all’amante diabolico (Marsina) che sfrutta la prostituta per interesse, fino al nano che ottiene quel che vuole per mezzo del denaro. Il senso profondo del film sta tutto in un dialogo tra il nano e la puttana: Potresti innamorarti di un nano?, E tu ti metteresti con una puttana?. Interpreti ben calati nei ruoli, da Briscoe e Nell, fino a Marsina e Girone, passando per Kaza e un poco utilizzato Trieste, persino per Scattini e Grandi, credibili come prostitute d’epoca. Malamore è una storia che dà risposte certe a interrogativi impossibili, un melodramma debitore per atmosfere al cinema di Matarazzo e per profondità introspettiva a Luchino Visconti. Puro cinema storico e di sentimenti, ambientato benissimo ai tempi della Prima Guerra Mondiale, con gli austriaci invasori che bombardano, fucilano traditori e disertori, in una villa dell’Oltrepo Pavese, residenza di Visconti da sfollato. Tecnica di regia ai massimi livelli, perfetta per illuminare le zone d’ombre della vita (Colombo), che mette in risalto i tempi morti e un montaggio compassato, accompagnato da una fotografia morbida e avvolgente. Il pessimismo è la nota dominante del film, costante psicologica che accompagna la vita del regista, ma non per questo la messa in scena è meno imponente, la ricostruzione di un bordello d’epoca è perfetta nei minimi particolari e i costumi sono molto viscontiani. Malamore è impaginato con passione e senza risparmio, molto teatrale, ricco di dialoghi letterari costruiti da Gandus e Visconti, arricchito da carrellate e panoramiche, primi piani e soggettive, intensi piani sequenza. Cinema d’autore realizzato con un budget modesto che apprezzano in pochi – le eccezioni critiche sono tutte datate anni Novanta – oltre a non riscuotere l’interesse del pubblico. Testamento spirituale di Eriprando Visconti, che dopo questo plateale insuccesso non farà più cinema, lasciandoci la sua metafora terminale di un amore vissuto fuori sintonia con la vita. Da riscoprire.