Vincenzo Verzeni, il Vampiro di Bergamo

Articolo di Gordiano Lupi

Vincenzo Verzeni comincia a colpire a diciotto anni e viene fermato dalla polizia soltanto quattro anni dopo, quando non ne ha ancora compiuti ventidue. Vincenzo è un ragazzo robusto alto un metro e sessantasei, un individuo comune che passa quasi inosservato, un contadino bergamasco che lavora sodo sgobbando nei campi. Un ragazzo docile e solitario abituato a guadagnarsi da vivere con la forza delle braccia e a parlare poco, uno che tutti ritengono che non potrebbe fare del male a una mosca. E invece questo ragazzo ha una doppia personalità, un’anima infernale che cova repressa ed è pronta a colpire, perché dal 1870 al 1874 entra in azione ripetutamente nelle campagne bergamasche. La polizia della zona non sa dove cercare e solo un tradimento del killer provoca la svolta decisiva delle indagini.

Una terribile infanzia alla base dei delitti.

Verzeni passa alla storia come il Vampiro di Bergamo ma anche come lo Strangolatore di donne. Cesare Lombroso ha scritto che Verzeni era un omicida abituale perché aveva lo sguardo vitreo, freddo, immobile, qualche volta sanguigno o iniettato, lunghi orecchi, zigomi larghi, contrazioni unilaterali del volto e denti canini abituati al ghigno e alla minaccia. Si tratta di un killer che colpisce spinto da motivazioni sessuali e da brama di sangue, due caratteristiche fuse in un’unica mente malata che risente di evidenti traumi infantili. Vincenzo si porta dietro una storia familiare complessa. Un padre quasi sempre ubriaco che lo picchia per nulla, una madre remissiva e succube che non riesce a cambiare questa situazione. La sua famiglia è povera e soprattutto avara in modo patologico, al punto di vietare ogni tipo di relazione sentimentale al figlio per il timore di dover affrontare le spese di un futuro matrimonio. Vincenzo cova i suoi risentimenti in silenzio, non parla con nessuno, tiene per sé angosce e frustrazioni che si alimentano da sole e producono giorno dopo giorno una miscela esplosiva. Tra le sette e le otto della mattina di giovedì 8 dicembre 1870 la sua rabbia esplode improvvisa e senza apparente motivo. Ne fa le spese Giovanna Motta, una ragazzina di quattordici anni che si reca a far visita a dei parenti che vivono a Suiso, un paese poco distante da Bottanuco. Decide di tagliare per i campi e non sa che come una moderna Cappuccetto Rosso sta per incontrare il lupo cattivo nei panni di Vincenzo Verzeni. Giovanna non raggiungerà mai Suiso, per le autorità è scomparsa in modo misterioso in mezzo a quei boschi di pioppi scheletrici e tra i campi coperti di brina. Quattro giorni dopo avviene la macabra scoperta del suo corpo mutilato ritrovato steso accanto a un albero di gelso. La ragazzina indossa soltanto una calza che copre parte della gamba sinistra, il resto del corpo è barbaramente scannato e coperto di graffi. Un masso accanto al cadavere fa bella mostra di dieci spilloni disposti a raggiera. La ragazza è stata strangolata, ha le membra devastate, alcuni morsi sul collo, gli arti fatti a pezzi, ai piedi dell’albero una pozza di sangue rappreso. Verzeni colpisce ancora nelle campagne di Bottanuco, il paesino dove vive nei pressi di Bergamo, lui è un killer stanziale che colpisce nel luogo dove ha sempre vissuto e dove ha trascorso un’infanzia e un’adolescenza infelici. La seconda vittima è Elisabetta Pagnoncelli che due anni dopo viene barbaramente massacrata, con un rituale vampirico molto simile. Viene ritrovato un corpo scannato, del sangue rappreso attorno al cadavere, morsi e graffi un po’ ovunque.

La cattura del vampiro.

Nello spazio dei due omicidi portati a compimento Verzeni non resta con le mani in mano, ma tenta (senza riuscirvi) di aggredire e di uccidere altre donne per dissetarsi con il loro sangue. Maria Previtali sfugge alla morte proprio la sera prima del delitto di Elisabetta Pagnoncelli ed è questo mancato omicidio che costa a Verzeni la cattura e subito dopo un rapido processo. Due testimoni assistono all’aggressione finita male e lo fanno arrestare. La Corte d’Assise di Bergamo condanna l’imputato ai lavori forzati a vita e Verzeni scampa la condanna a morte per fucilazione solo grazie al voto di un giurato. Durante il processo vengono alla luce altri reati commessi nei quattro anni di folle azione criminosa, come il tentativo di strangolamento della dodicenne Marianna Verzeni e di Margherita Esposito. Verzeni afferma durante il processo: “Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre, perché provavo in quell’atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovavano sui corpi non erano prodotte con le unghie ma con i denti perché io, dopo strozzate le mordevo e ne succhiavo il sangue che era colato, cosa che mi faceva godere moltissimo”.

Prigione, manicomio e suicidio.

Vincenzo Verzeni non sopporta la galera e i lavori forzati, pare inadatto alla vita del carcere e si chiude in un mutismo sempre più impenetrabile. Per questo viene trasferito nel manicomio giudiziario di Milano fuori Porta Vittoria, ma pure qui Verzeni non regge le “cure morali” di totale isolamento e oscurità, le docce gelate che gli vengono fatte cadere sul capo da un’altezza di tre metri, alternate con bagni a sorpresa di acqua bollente. I suoi aguzzini non gli risparmiano neppure scariche elettriche e medicinali che lo fanno dormire e lo stordiscono. Il manicomio è per lui una bolgia infernale dove sono accatastati l’uno sull’altro centinaia di internati, non è certo il luogo migliore per recuperare un’impossibile sanità mentale. Vincenzo Verzeni si chiude sempre più in un mutismo impenetrabile sino al 23 luglio 1874, quando gli infermieri alle quattro del mattino lo trovano impiccato nella sua cella. Il corpo di Verzeni è penzolante contro il muro, nudo e con le ciabatte, appeso per il collo a una fune attaccata all’inferriata della finestra. Gli infermieri pensano che sia ancora vivo, tagliano la fune e lo adagiano sul tavolaccio della cella, ma il medico di guardia, accorso in pochi minuti, non può far altro che constatarne il decesso.

IDENTIKILLER

Dati anagrafici

Vincenzo Verzeni (1852 – 1874)

Carriera omicida (Fedina Penale)

Uccide Giovanna Motta (1870) ed Elisabetta Pagnoncelli (1872). Tentativi di omicidio nei confronti di Maria Previtali, Marianna Verzeni e Margherita Esposito.

Ultimo crimine commesso

L’omicidio di Elisabetta Pagnoncelli (1872)

Com’ è finita

Il mancato omicidio di Maria Previtali (al quale assistono due testimoni) provoca la cattura di Verzeni e un rapido processo. La Corte d’Assise di Bergamo lo condanna ai lavori forzati a vita, poi modificati in manicomio che il serial killer non sopporta, al punto che nel 1874 si toglie la vita.

Armi utilizzate

Verzeni è un killer – vampiro perché strangola la vittima con le mani nude e poi morde il collo per bere il sangue.

Rituali macabri

Verzeni graffia il corpo della vittima con i denti per succhiare il sangue e lascia accanto al cadavere una serie di spilloni disposti a raggiera (nessuno ha mai capito cosa volesse dire). 

Analogie con altri serial killer

Nella prima metà del XX secolo abbiamo alcuni killer vampiri come Fritz Haarman, il vampiro di Hannover (mangiava le vittime), Peter Kuerten, il vampiro di Düsseldorf  (beveva il sangue di donne e bambine dopo averle uccise), John Haig, il vampiro di Londra (violentava e uccideva giovani donne). Ricordiamo i casi storici di Gilles De Rais (massacratore di bambini della metà del secolo quindicesimo), Erszébeth Báthory (beveva sangue di giovinette per essere immortale) e anche Jack lo Squartatore (tormento dell’Inghilterra del diciannovesimo secolo).

Profilo psicopatologico:

Verzeni è affetto da cretinismo come tutta la sua famiglia, è malato di pellagra ed è affetto da necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari. Verzeni è un vampiro sadico che uccide spinto da motivazioni sessuali, il tipico serial killer affetto da gravi tare psicologiche e turbe della sfera affettiva. Il killer bergamasco prova un piacere sessuale a strangolare la donna prescelta e subisce una forte eccitazione che lo porta persino a eiaculare sul corpo massacrato. Verzeni strangola, si eccita, beve il sangue della persona uccisa, infine fa scempio del cadavere. Lombroso utilizza il caso di Verzeni per scrivere L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza e alle discipline economiche (1876), un testo fondamentale che segna la nascita della moderna antropologia criminale.

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