368 bare per non dimenticare. Lampedusa undici anni dopo

Articolo di Franco Lannino

Io ho assistito al nascere del flusso migratorio nel mediterraneo. Nell’ottobre del 1992 arrivò, per la prima volta nella storia, un barcone con 71 stranieri clandestini (così allora furono battezzati) provenienti dalla Tunisia. Si dichiararono tunisini, ma nessuno lo ha potuto mai appurare con certezza dato che tutti e settantuno avevano buttato in mare i loro documenti di identità. A Lampedusa arrivavano alla spicciolata, piccole barche con sette – otto clandestini alla volta che entravano direttamente in porto. Gli isolani facevano a gara per accoglierli e rifocillarli, non c’era un centro di accoglienza, solo la parrocchia, una piccola stazione dei carabinieri e un manipolo di uomini della guardia di Finanza che non sapeva letteralmente che pesci pigliare. Questi clandestini raccoglievano i soldi per pagarsi un biglietto per imbarcarsi sulla nave per Porto Empedocle e “mimetizzarsi” sul territorio italiano. Poi arrivarono i somali e gli eritrei. Vennero pure dal centr’Africa, (erano quelli “neri, neri” che venivano dal Ghana e dalla Nigeria). Poi c’erano quelli che venivano dall’Asia, India, Pakistan e Sri Lanka per lo più.

Gli sbarchi si fecero più massicci, e fu allora che lo Stato italiano capì che qualcosa su quell’avamposto andava organizzato. Arrivò la polizia e la protezione civile. Fu messo su un centro di accoglienza improvvisato. Poi cominciarono i naufragi. Fu un crescendo continuo. Anno dopo anno. Decine, centinaia e migliaia di morti. Non li contavamo più. Non faceva più notizia. Io e gli altri colleghi fotoreporter eravamo stufi delle trasferte sulla grande isola pelagica. Ci logoravano. A Lampedusa sai quando arrivi ma non sai quando te ne puoi tornare a casa a causa del maltempo. Il record lo feci nell’inverno del 2006. Otto lunghissimi giorni bloccato senza fare nulla su quello scoglio sperduto in mezzo al mediterraneo. Andai avanti, fino a quando nel 2013 atterrai sull’isola a “raccogliere” 368 cadaveri messi allineati nel palazzetto dello sport. Era il tre ottobre e per me fu l’ultima volta. Tornai a casa sconvolto. Da quel momento non sono andato mai più su quell’isola “maledetta”. Non mi occupai più di migranti. Da quell’anno cominciai a occuparmi di gatti.

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