I primi indizi

Articolo di C. Alessandro Mauceri

I primi segnali sono chiari: l’Italia è più che mai in difficoltà dal punto di vista finanziario. Se per il governo passato una delle cause (almeno a detta dell’attuale governo) sarebbero gli aiuti del “110%”, ora i motivi potrebbero essere altri. In realtà, gli aiuti nel settore dell’edilizia non sono serviti solo ai cittadini: hanno permesso a migliaia di piccole imprese di non chiudere durante e dopo la pandemia (sono stati uno dei pochi settori produttivi che ha continuano a lavorare e crescere). Questo ha avuto anche un ritorno non indifferente per le casse dello Stato.

Quanto al governo attuale, anche questo ha ricevuto pesanti accuse per il modo in cui ha utilizzato le risorse a disposizione. Si pensi ai soldi regalati alla Tunisia per fermare i flussi migratori (è vero che sono rallentati ma, come hanno confermato i dati diffusi in occasione della ricorrenza della strage di Lampedusa, il prezzo in termini di vite umane è aumentato sensibilmente). O ai miliardi di euro regalati all’Ucraina in cambio di promesse che non si sa se e quando potranno essere mantenute.

Il risultato è che le casse dello Stato appaiono sempre più vuote. Per questo, da qualche mese, il governo starebbe cercando di trovare nuove entrate. A gennaio scorso, il Consiglio dei ministri ha varato un decreto che prevede di mettere in vendita una parte considerevole delle quote statali di Poste Italiane. Un modo come un altro per recuperare una sommetta che, secondo le stime, dovrebbe aggirarsi intorno ai 2,5 miliardi di euro (la data previste per il collocamento sul mercato dovrebbero essere il 14 o il 21 ottobre prossimi). Anche la relazione dell’AD di Poste Italiane, Matteo Del Fante, alla Camera dei Deputati ha detto qualcosa di importante. Del Fante ha parlato di costi eccessivi per continuare a gestire il servizio di raccomandate che è parte integrante della convenzione tra lo Stato e Poste Italiane. La convenzione con PPTT scadrà nel 2026. Non rinnovarla significherebbe un taglio ad una spesa non indifferente, oltre che la necessità di trovare una alternativa per le comunicazioni ufficiali da inviare ai cittadini. Una soluzione potrebbe derivare dall’accordo con Microsoft che ha annunciato un investimento di 4,3 miliardi di euro in Italia nei prossimi due anni (che strano: proprio entro il 2026). Obiettivo: espandere la propria infrastruttura di data center e rafforzare gli investimenti in intelligenza artificiale ma anche – udite, udite – potenziare, entro la fine del 2025, le competenze digitali di oltre un milione di italiani. Uno sforzo, ha dichiarato Microsoft, per sostenere la trasformazione digitale del paese.

Microsoft invests €4.3B to boost AI infrastructure and cloud capacity in Italy – Microsoft News Center Italy Un accordo che è stato sbandierato dal governo come un successo. Anche pensando alle nuove entrate grazie a questo accordo miliardario.

Nei giorni scorsi si parlato anche di un’altra possibile fonte per le entrate dello Stato: aumentare le accise sui carburanti, in particolare quelle sul gasolio. Un altro modo per “fare cassa”.

Vista la carenza degli altri trasporti come hanno dimostrato i tanti “incidenti” degli ultimi mesi (si pensi al blackout dei giorni scorsi causato pare da un singolo chiodo piantato dagli operai di una ditta di cui i media si sono guardati bene dal fare il nome), gli italiani spesso sono costretti ad utilizzare i propri mezzi. Per il governo servirà a poco promettere che non aumenterà il carico fiscale (non bisogna dimenticare che le accise sono da decenni oggetto di discussioni essendo tassate non una ma ben due volte – l’IVA viene calcolata anche sulle accise). Uno scenario preoccupante anche per un altro motivo: come ha confermato il Libro Verde realizzato da Aspi con il Sole24Ore, in Italia buona parte del trasporto merci avviene su gomma (non su rotaia come in altri paesi). Il dato ISTAT riportato (non recentissimo: 2018) parla di oltre l’84% del trasporto delle merci su strade e autostrade (che pur rappresentando il 3% della rete stradale italiana assorbono il 30% circa del traffico merci totale).

Aumentare il costo del carburante diesel comporterebbe un inevitabile aumento del costo dei trasporti che finirebbe per gravare sull’aumento dei costi per i cittadini.

Questo potrebbe produrre un effetto a cascata con conseguenze disastrose che dovrebbe far riflettere attentamente i mega-economisti dello Stato. Caricare i carburanti di più accise aumenterebbe i costi finali e quindi i prezzi di beni e servizi (dai prodotti della GDO, ai generi alimentari ai servizi come l’energia). Ma, in un momento delicato come quello attuale (il numero delle famiglie in povertà, continua ad aumentare), un aumento dei prezzi potrebbe comportare un crollo delle vendite. Con conseguenze disastrose per tutti i settori. Anche per le casse dello Stato che vedrebbe ridursi le entrate fiscali.

C’è però anche un altro aspetto che non va trascurato. Il governo attuale è composto da tre gruppi politici principali. Ebbene, due di questi hanno sempre basato le proprie campagne elettorali su promesse che prevedevano l’abolizione delle accise. Il primo a farlo fu Salvini: nel 2018 (un po’ imitando quello che aveva fatto Renzi per presentare la Buona scuola) fece girare un video in cui mostrava su una lavagna come, una volta eletto, il suo partito avrebbe eliminato le accise dai carburanti (si veda allegato 1).

Manovra, Salvini: “Non ho tagliato le accise come promesso? Se governassi da solo…” – YouTube Nel 2019, anche la Meloni fece una qualcosa di simile: denunciò l’eccessiva tassazione sui carburanti e chiese l’abolizione progressiva delle accise, simulando un rifornimento per dimostrare che la maggior parte del prezzo finiva allo Stato. “ ‘Quando io faccio 50 euro di benzina il grosso deve finire nella mia macchina e non in quella dello Stato’. Non sono parole mie, ma di Giorgia Meloni quando nella campagna elettorale del 2019 annunciava l’abolizione delle accise sul carburante. Sono passati pochi anni e apprendiamo che con il Piano strutturale di bilancio 2025-2029, Meloni non solo non abolirà alcuna accisa ma, anzi, aumenterà quelle sul gasolio” ha detto il deputato Andrea Casu, vicepresidente della Commissione Trasporti a Montecitorio. (vedi allegato 2) Quando Meloni prometteva di tagliare accise e Iva fingendo di fare benzina – La Stampa

Aumentare le accise significherebbe per entrambi non aver mantenuto le promesse fatte agli elettori.

Quanto poi alla promessa di tassare gli utili delle banche se ne parla da decenni ma nessun governo è mai riuscito ad ottenere nulla di concreto.

Farsi vedere mentre ci si abbraccia con Biden o con Zelensky, promettere di cominciare a costruire il Ponte sullo Stretto di Messina (altro progetto dai costi miliardari che, secondo le promesse del Ministro, sarebbe dovuto iniziare durante l’estate appena passata, ma del quale non si sa più nulla) potrebbe non bastare al governo a coprire i danni di scelte politiche sbagliate.

Specie considerando che, come al solito, nessuno ha mai nemmeno pensato di cercare di risolvere il problema principale: il costo del debito pubblico. Il debito pubblico italiano si aggira intorno ai 2.800 miliardi di euro. Ma a questa cifra bisogna aggiungere gli interessi: Ogni anno l’Italia, anzi i i contribuenti italiani, pagano decine di miliardi di euro solo per coprire gli interessi del debito pubblico. Nel 2022 questa somma si aggirava intorno ai 73 miliardi di euro. Come hanno affermato numerosi rapporti, il problema è che, in generale, in Italia, la crescita è talmente bassa (quando c’è) che non basta a compensare gli interessi da pagare. Il risultato è che spesso il peso di questi interessi non diminuisce, ma aumenta.

Lo scorso anno, una rivista che si occupa di finanza aveva scritto: “L’Italia è stata a lungo vista come un potenziale anello debole per la stabilità del blocco valutario composto da 20 paesi [europei]. Tali preoccupazioni sono state esacerbate da una serie record di rialzi dei tassi da parte della BCE a partire dallo scorso anno, che ha portato il costo del denaro al 4,5% (aumentando gli oneri che lo Stato paga sull’emissione del suo debito). In questo contesto, nonostante lo spread Btp-Bund decennali sia sotto controllo e lasci presagire un’assenza di grandi sconvolgimenti, la seconda metà del 2024 potrebbe rivelarsi pericolosa per il debito italiano”.

Così è stato. Parlare di aumentare le accise o di vendere pezzi d’Italia (come le PPTT) come hanno fatto tutti gli ultimi governi (nessuno escluso) non risolverà il problema.

Per capire qual’è la situazione non serve essere dei premi Nobel per l’economia: basta leggere gli indizi.

Related Articles