Per le strade di Barga in un giorno d’ottobre

Articolo di Gordiano Lupi

Barga non è Garfagnana, non lo dite a un barghigiano perché ve lo fate nemico. Barga è Media Valle del Serchio – tutta un’altra cosa, pure se circondata da Garfagnana -, cittadina medievale che se ne sta da tempo immemore a 410 metri sul livello del mare. E allora cominciamo la nostra visita da Porta Mancianella, chiamata Porta Reale perché nel 1887 il Granduca di Toscana passò proprio di lì, anche se alcuni dicono che il nome deriverebbe dalla strada Reale per Firenze, ché Barga è sempre stata fiorentina. Pare strana questa cosa, con Lucca così vicina, ma i barghigiani erano furbi e indipendenti, oltre al fatto che la rocca era abbastanza inespugnabile, preferivano un padrone lontano a un despota vicino. E preferirono Firenze, che chiedeva meno tasse ed era più distante, quindi lasciava più libertà di azione, a una Lucca troppo vicina, prepotente ed esosa che esigeva più imposte e concedeva meno libertà. Passiamo per anguste vie di paese, le cosiddette carraie, salite e discese abbastanza impervie che collegano quartieri disposti a strati, come i carruggi genovesi. Vediamo in lontananza Sommocolonia, paesino sperduto abitato da venti anime, che nel 1944 fu teatro della famigerata Operazione Tempesta d’Inverno con i nazisti alla riconquista del territorio perduto, mentre la linea Gotica passava poco distante, da Borgo a Mozzano. Barga fu liberata proprio partendo da quel piccolo luogo montano, dove ogni anno si festeggia il 25 aprile, andando a Sommocolonia a piedi attraverso un’antica mulattiera.

Barga è il non veduto borgo montano, come dice un Pascoli in vena di bugie poetiche, ché lui da Castelvecchio la intravedeva, dalla sua casa dell’Altana, anche abbastanza bene, così come noi ammiriamo la sua magione di campagna. Pascoli scelse Barga come luogo di villeggiatura, il suo cantuccio d’ombra romita dove passare i periodi festivi, liberi dall’insegnamento liceale e universitario che lo condusse a Matera, Pisa, Livorno, Messina … Il poeta aveva scelto la valle del Serchio per vivere con la sorella Maria, era inserito nel tessuto cittadino, non era un corpo estraneo, conosceva tutti, era amico anche dei contadini. Vediamo la casa di Salvo Salvi, che Pascoli definisce l’uomo giusto di Barga, grande avvocato locale, di questa valle del buono e del bello, come amava chiamarla il poeta.

Il punto più alto del paese è il Duomo, dal quale ammiriamo la nebbia sui tetti e tra i colli, la campagna e il paese, le Alpi Apuane, Barga vecchia alla nostra sinistra, Barga nuova che si apre alla destra. Se ti affacci dal Duomo vedi Casa Pascoli in lontananza, alla tua destra, ma oggi non la puoi visitare, c’è la troupe di Piccioni a girare il film Zvanì. Che bello! Un film sul Pascoli girato da Piccioni. Non vedi l’ora di vederlo. Ma oggi la casa non la puoi ammirare, puoi solo scorgere da lontano le antiche mura tra gli alberi. E se spingi lo sguardo verso le Alpi vedi le Grotte del Vento di Gallicano e il Monte Forato, un foro nel massiccio montano che si affaccia sul mare dal quale si vedono doppi tramonti a metà novembre e verso la fine dell’anno. Meraviglie della natura in quello che fu un santuario dei Liguri Apuani che abitavano la Valle del Serchio.

Il Duomo è un imponente retaggio di arte romanica, dentro c’è un pulpito scolpito dai Bigarelli, artigiani che erano proprio l’opposto dei fratelli Pisano terrorizzati dagli spazi vuoti. Per la scuola Bigarelli è importante lo spazio libero e si deve capire il contesto, quel che l’artista vuol dire, visto che il pulpito sta in mezzo alla gente. Un pulpito con i leoni alla base di colonne corinzie, metafora di fede che si difende dall’eresia e che si afferma, dietro di loro si nota un Talamone pagano che rafforza la fede, schiacciato com’è sotto il peso delle colonne. Nel Duomo ci son pure due esempi di Della Robbia, bottega che lavora la terracotta e la rende lucida, tecnica innovativa, materia colorata di bianco e d’azzurro, con il giallo per decorativi limoni e l’arancio per la frutta. I Della Robbia furono copiati da chi cercava di carpire i segreti d’una tecnica nuova, ma le loro sculture sparse in gran parte della Toscana sono inconfondibili. Al centro del Duomo, dietro l’altare, troneggia un San Cristoforo in legno, patrono di Barga, che tiene in braccio il bambino, come dice il nome, porta con sé Cristo. San Cristoforo porta un bastone nodoso (un remo grezzo) perché il suo mestiere era il traghettatore; un giorno prese sulle spalle un bambino per portarlo da una riva all’altra ma quando cominciò a sentirne il peso si accorse che si trattava di Cristo. Cristoforo o Cristofano, come dicono a Barga, è una statua imponente di legno del Trecento, restaurata negli anni Venti, rinvenuta piena di buchi causati dalle frecce scagliate dai nemici, ché quando c’era un assedio si portava San Cristoforo sulle mura per difendere uniti l’intera città.

Fuori dal Duomo torna il Pascoli, ché la sua poesia si respira per le strade di Barga, c’è un’insegna di marmo sulla facciata attribuita al poeta dove racconta che i barghigiani tengono molto alla grande chiesa, magari vivono in una casa modesta ma al Duomo niente deve mancare. Pascoli aveva molti amici a Barga, per tutti era il signor Pascoli, mentre la sorella era la signorina Maria, lui era un uomo benestante, innamorato di Castelvecchio, luogo caro che gli ricordava la casa paterna di San Mauro. Accanto al Duomo ecco il Palazzo Pretorio, sede amministrativa, quindi galera, rinfrescato da un cedro altissimo che sta lì da cent’anni e da due imponenti cipressi. Proprio sotto al Duomo, al termine di un’impervia scalinata, c’è la chiesa dei prigionieri, dove i carcerati prendevano la messa domenicale, prima che qualcuno pensasse a costruire una cappella dentro la galera.

Camminando per le strade di paese vediamo che lo stemma di Barga sul Palazzo Comunale raffigura un barca con un grande albero; ci chiediamo il motivo, vista la lontananza dal mare. Tutti son pronti a darci la risposta, una sorta di gloriosa tradizione locale, lo scambio do ut des tra città e paese. Barga era lasciata indipendente e libera perché forniva il legname che Firenze usava per costruire le navi; gli alberi dell’Appennino erano il materiale per comporre una flotta di stanza al porto di Livorno. A Barga c’era abbondanza di faggi, il cui legno era utile per i remi, e di alberi adatti per costruire gli scafi delle imbarcazioni, inoltre sul Serchio (al tempo navigabile) esisteva un vero e proprio porto per far partire convogli che trasportavano il legname verso Firenze.

Vediamo il Caffè Capretz, proprio accanto al Palazzo Comunale, immaginiamo Giovanni Pascoli seduto sulla veranda o sul loggiato a bere il caffè del mattino, oppure a pranzare con minestra di farro e zuppa di funghi. E subito dopo compare un altro poeta che dà il nome alla piazza, Pietro Angelo Bargeo, con il nomignolo finale che sta per la provenienza, ma oggi non chiamate i barghigiani con tale epiteto perché non va bene. Insomma, se proprio volete farvi nemico un abitante di Barga dite che è bargeo e garfagnino!

Barga è stata città ricca e alto borghese fino all’Unità d’Italia, lo dimostrano i palazzi eleganti in stile liberty, ma dopo il 1861 finisce il benestare e molti devono emigrare per trovare lavoro. Barga si caratterizza per un profondo legame con la Scozia, si dice che sia la città più scozzese d’Italia, perché ci fu una grande emigrazione verso Glasgow e altri centri industriali che ha prodotto uno scambio culturale intenso. Molti barghigiani hanno fatto fortuna e son tornati a casa, altri si sono stabiliti in Scozia, in altri casi i figli sono venuti a Barga per vedere i luoghi dei nonni, si sono innamorati del posto e ci hanno preso casa per le vacanze estive, altri ancora si sono stabiliti da vecchi nella valle del buono e del bello. Insomma, negli anni, è nato un profondo rapporto di gemellaggio tra Barga e la Scozia, uno scambio di uomini e di idee.

Ed eccoci al Teatro dei Differenti, ultimo atto della nostra gita per le strade di Barga, dove ogni anno si tiene il Premio Pascoli, luogo migliore non potrebbe esserci. Fu costruito nel 1799 come teatro all’italiana, legato alla figura del poeta perché sul palco lesse La grande proletaria, poco prima di morire, per approvare la scelta del governo di muovere guerra alla Libia. In tempi successivi fu chiamato un pittore anarchico a decorare gli interni, ma la commissione proveniva da persone dell’alta borghesia che volevano lasciare il teatro per scopi personali, senza una partecipazione popolare. Il pittore si vendicò del committente e di certe idee che non condivideva nascondendo nudi e immagini lascive tra le decorazioni, in alcune scene tra i corpi in movimento confuse persino il suo ritratto.

Barga che dice l’ora, Barga che dice è tardi, dobbiamo pensare al ritorno, ma è stato bello averti incontrata, anche se solo per poche ore d’un giorno piovoso di autunno.

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