Questi mesi sono stati funestati da episodi che hanno visto come protagonisti (rei e vittime) delle giovani vite. Ragazzi che, per motivi diversi, si sono affacciati alla “violenza” quella vera e non quella della realtà virtuale dei giochi elettronici. Sono nostri ragazzi a prescindere se siano vittime o rei, sono ragazzi che hanno deviato dalla loro età e dalla vita che li attende (o che non li attende più in alcuni casi). Ragazzi che uccidono ragazzi, storie infernali, storie di mala sorte. Vittime e rei della stessa età o quasi, compagni di vita e di strada, vittime inconsapevoli di loro stessi. Ha poca importanza se alcuni episodi sono calati in una realtà pseudo-criminale o son calati in una realtà di rapporti “amorosi tossici”. Tutti questi episodi hanno come minimo comune denominatore la circostanza che ad uccidere siano ragazzi ed a morire siano ragazzi.
Non ci interessa la motivazione, ma ci interessa analizzare quale deviazione dell’essere, dell’intelletto, del cuore, del sentimento e delle pulsioni accada in quelle frazioni di secondo o in quelle situazioni tossiche. Non siamo a caccia di responsabili, ma siamo interessati a capire come un ragazzo (a prescindere dalla sua estrazione sociale e culturale) non apprezzi la vita dell’altro, la vita che è il bene assoluto per il quale a quella età si fanno progetti e si coltivano sogni. Ci interessa capire (se ne saremo capaci) quale possa essere la pulsione che fa vincere tutte le barriere emotive e psicologiche e che porta a fare del male al coetaneo ed addirittura ad ucciderlo. Uccidere vuol dire spegnere un “universo di sogni e di speranze”, è come se all’improvviso si spegnessero le stelle nel cielo portando il buio perenne.bQuesto è uccidere; è il buio, è il Male. Uccidere mai e questo mai è qualcosa, però che, evidentemente, sfugge. L’altro non è considerato come universo di emozioni e di sogni, ma come ostacolo al raggiungimento dei propri sogni.
È questo vedere l’altro, il ragazzo che si ha di fronte, il fratello di un attimo prima, l’amico di cordata delle vita come un ostacolo che è – a mio modo di vedere – il vero nucleo del problema. Quindi ritenere che non vi è altro modo che “eliminare” l’ostacolo. Si rende oggetto la persona, si reputa un ostacolo fisico e come gli ostacoli fisici che troviamo nel nostro cammino (talvolta) li abbattiamo. Quello che sconcerta è questo meccanismo egoistico, egocentrico, narcisista e profondamente stupido di eliminare l’altro che deve essere analizzato da chi si occupa di psicologia e psichiatria. Non è normale che se la mia fidanzatina non mi vuole più io la uccida, non è normale che se qualcuno si contrappone io non tenti di convincerlo, ma pensi ad eliminarlo. A nostro parere è qui il punto di partenza. A nostro parere va analizzato come sia possibile oggettivare una persona, una giovane persona che sino a quel momento ha giocato con te, ha condiviso con te piaceri e dispiaceri, ha sentito le tue emozioni ed i tuoi pensieri e tu, a tua volta, i suoi.
Quello che è da analizzare è come un ragazzo vinca tutte quelle naturali barriere psicologiche e culturali che portano alla uccisione di un coetaneo. Se non vogliamo scomodare nello strapiombo “lombrosiano” del c.d. “delinquente nato” appare evidente che nella nostra società c’è un corto circuito ben chiaro: si chiama “successo”. Nulla può frapporsi tra me ed i miei sogni, desideri, voleri: in una parola quello che io intendo come il mio “successo”personale. Se qualcuno osa farlo: lo elimino. In questo caso elimino il “problema”, come avviene nei giochi elettronici. Non siamo in grado di dire la causa di tutto ciò anche se pensiamo che vi siano più ragioni per quanto questo accada. Riteniamo, però, che per recuperare i nostri giovani occorra non solo delegare a scuola e famiglia in primo luogo, ma iniziare (se è ancora possibile) a resettare i valori guida di una società e dare al “successo” individuale molto meno valore di quanto oggi appaia averlo. Se la collettività e gli adulti danno come parametri il “successo” ed il denaro ad ogni costo è ovvio che quello che si irradia alle giovani generazioni è ciò che vedono e che ritengono giusto e “normale”.
Sembra assurdo, ma l’impressione che si ha girando per le città ed avendo contatti sociali sia una profonda disumanizzazione dell’essere e, quindi, una involuzione dell’animo umano. A questi ragazzi occorre l’esempio e la vicinanza. Spiegare che un rifiuto o un “no” sono manifestazioni del pensiero che devono essere rispettate come tali, e quindi accettate. Abbiamo creato una (o più) generazioni che non solo è stata abbandonata ai telefonini, ai tablet, ai PC, ma che è disabituata ad un rifiuto: tutto è dovuto. L’accettazione del rifiuto e della negazione passa da un progresso dell’animo umano che poi valuta l’altro come tale. La violenza, quindi, che cosa è? Il prodotto naturale di tutto questo. La violenza è il mezzo per cancellare il rifiuto. La violenza è la soluzione sbagliata e per invertire la rotta occorre molta pazienza ed una opera di umanizzazione profonda.