Recensione del libro “La cura psicoanalitica” del Dott. Benedetto Genovesi

Articolo di Sofia Mezzasalma

Passeggiando sulla spiaggia, noto una stella cadente e non so perché, naturalmente, penso a te. Penso che ci sono legami invisibili che restano negli anni e che non si recidono mai.

Questo, parte dell’incipit del primo libro del Dott. Benedetto Genovesi, psichiatra e psicoanalista, dal titolo La cura psicoanalitica – in un intreccio interdisciplinare tra fisica quantistica, filosofia e neuroscienze.

È la notte di Natale. Passeggiando con i propri cani sulla riva del mare, l’autore, dinnanzi a una luna che illumina le onde e sotto un cielo stellato, ripensa alla sorella venuta tragicamente a mancare alla sola età di quattordici anni, proprio il giorno della Vigilia di Natale, di oltre trent’anni fa.

La ‘rivede’ in una stella cadente e, inevitabilmente, si sofferma a pensare alla natura delle relazioni umane e a come la scelta della propria professione sia stata – forse – quantomeno in parte, determinata dalla traumatica perdita della sorella (Giovanna, a cui il libro è dedicato); del resto, il campo analitico possiede tutte le opportune potenzialità per far ‘ri-tornare alla vita’, attraverso l’incontro tra spazi: quello dell’analista, quello dell’analizzando e un terzo, che – riprendendo Ogden – potremmo definire “terzo analitico”.

Genovesi, dunque, pone al centro delle proprie riflessioni la relazione, intesa come indispensabile ai fini della nascita e della corretta strutturazione di un Sé coeso; per farlo, parte dal presupposto che il mondo è composto da relazioni e ogni cosa nasce nella relazione, portando – tra i tanti esempi – quanto testimoniato dalla fisica quantistica, secondo la quale un Oggetto esiste solo in presenza di un’interazione con un altro Oggetto.

Si tratta di un principio cardine della psicoanalisi post-freudiana: il Soggetto nasce dall’interazione con l’Oggetto (l’Altro).

L’autore, trattando l’argomento, sottolinea la caratteristica principale di noi mammiferi: necessitiamo – rispetto ad altre specie – di una prolungata dipendenza dalle cure del caregiver, ai fini della sopravvivenza.

Risulta chiaro, dunque, un allontanamento, da parte di Genovesi, dalla freudiana teoria intra-pischica,a favore di una più realistica – e largamente documentata – teorie inter-personale.

Non a caso, la psicoanalista maggiormente citata all’interno del libro è Melanie Klein (appartenente al filone dei post-freudiani), la quale – attraverso la teorie delle relazioni oggettuali – sottolinea quanto l’introiezione dell’Oggetto buono (la Madre, vista come amorevole e attenta a percepire, comprendere e soddisfare i bisogni sia biologici che affettivo-relazionali del bambino), si trovi alla base della capacità di amare.

Altro aspetto considerato da Genovesi è lo sguardo, che coinvolge madre e figlio; un guardarsi vicendevolmente che fa percepire al bambino l’indispensabile sensazione del ‘mi vedi, dunque sono’. Uno sguardo, quindi, che potremmo definire ‘aggregante’, necessario ai fini della strutturazione di un Sé forte e coeso; e che, non a caso, ritroviamo, all’interno del libro, nel racconto dei vari casi clinici, dove lo sguardo dell’analista permette all’analizzando di rievocare e, al contempo, metabolizzare la mancanza di quello materno.

Laddove il ruolo affettivo-relazionale della madre viene meno, il Sé sarà impossibilitato a strutturarsi correttamente, risultando incline alla frammentazione e alla dissociazione; a condizioni patologiche, insomma, che possono sfociare – aggiunge Genovesi – nella psicosi (ovvero, nella perdita del rapporto di realtà).

Scopo dell’uomo è, comunque, quello di sopravvivere; dunque, come farlo dinnanzi a un contesto caratterizzato da traumatiche carenze/rifiuti da parte del caregiver? Facendo ricorso a meccanismi difendivi primitivi (tipici, appunto, dei bambini e degli psicotici), necessari per sfuggire all’inevitabile angoscia di frammentazione. In altre parole, il soggetto si rintana nella ‘fantasia dissociativa’, non avendo acquisito durante l’infanzia la capacità di distinguere il Sé dal Non Sé. Il confine tra realtà interna e esterna è inesistente.

Lesito di tali processi traumatici provocherà cambiamenti neurobiologici e costituirà il modo attraverso il quale il soggetto si approccerà agli Altri e al mondo. Infatti, nessun ricordo può essere realmente perso; anche se l’ippocampo (principale struttura celebrale deputata alla rievocazione mnestica) non si è ancora formato, i ricordi e le emozioni vissute dai bambini molto piccoli lasciano traccia nella memoria implicita, che ha sede nell’inconscio non rimosso. Le esperienze vissute, dunque, rimangono impresse sia nella psiche che nel soma, e ci connettono al mondo.

Accingendosi alla conclusione, l’autore sottolinea come la nostra natura sia intrinsecamente bio-psico-sociale, chiarendo ancora una volta quanto sia impensabile l’idea di potersi ‘salvare da soli’. Ed è qui che subentra la cura psicoanalitica, metaforicamente rappresentata da Genovesi come un oceano in cui si trovano a nuotare sia l’analista che l’analizzando, e il cui obiettivo è trovare, di volta in volte, degli isolotti sui quali trarre sollievo.

Il percorso analitico è un percorso di cura, fondato su una relazione.

Tornando alla metafora, l’autore sottolinea come sia dovere dell’analista ‘condurre la nuotata’, generando un vortice d’acqua che ispiri e conduca.

Insomma, all’interno del proprio libro, dai contenuti ricchi e pensieri interdisciplinare, Benedetto Genovesi torna sempre a parlare della cura.

Perché amare significa ‘prendersi cura’.

E questo è quanto avviene all’interno del contesto analitico, il cui amore e la cui cura ri-portano alla vita.

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