“La città del ferro”, una raccolta poetica di Gordiano Lupi che omaggia Piombino

Articolo di Nicola Fornabaio

La città del ferro (Edizioni Il Foglio-Poesia, 2023) di Gordiano Lupi è una raccolta poetica che omaggia Piombino, una città simbolo dell’industria e della memoria operaia, intrisa di storia e malinconie. Con fotografie di Riccardo Marchionni e la prefazione incisiva di Stefano Tamburini, il libro intreccia immagini e versi per costruire una narrazione poetica densa e sincera.

Lupi costruisce un vero e proprio viaggio poetico tra ricordi personali, luoghi perduti e riflessioni sulla condizione umana. Piombino non è solo uno scenario urbano: diventa simbolo di una memoria che resiste, di ferite che essudano e si trasformano in versi. La città non è idealizzata, ma ritratta con la crudezza delle sue contraddizioni, come emerge da questi bei versi del componimento Adesso: «Adesso la città è un condensato/di tutte le sconfitte che ho subito/[…] Nella città crepuscolare grigia/attendo
un ricordo mattutino». Limiti, dedicata a Borges, è un esempio perfetto di questa riflessione esistenziale: «C’è un anfratto di mare perduto, invisibile agli occhi/[…] Presto compirò sessant’anni;/la morte che consuma i giorni si avvicina». La memoria si fa fragile, eppure il poeta non smette di interrogarsi sul senso del tempo vissuto. Questa tensione tra disillusione e speranza caratterizza l’intera raccolta. Nella poesia “Arcobaleno”, Lupi riesce a cogliere un attimo di luce imprevista: «Quando un arcobaleno/inonda il mattino/[…] stupore cosmico/sogni perduti/illusioni infrante». É una visione effimera, ma capace di restituire uno spiraglio di bellezza in un contesto segnato dal ferro e dalla polvere. Tema rilevante dell’intera silloge è anche la consapevolezza della propria condizione umana, evidente nella poesia “Quel che sono”, dove Lupi affronta con lucidità il passaggio verso la vecchiaia: «Che la vecchiaia è in agguato ed è sconforto;/che la mia terra è questa per morirci;/[…] che cerco ritagli di luce e di speranza». La scrittura si fa qui confessionale, intima, con una forza sobria e dignitosa. Man mano che si va avanti nella lettura ci si accorge che la potenza dei versi del poeta risiede nella loro autenticità: diretti, privi di orpelli, capaci di scavare nell’animo del lettore con una forza silenziosa. La poesia “Il quartiere” condensa invece la dimensione temporale, a tratti sospesa dell’autore: «Il quartiere riflette la noia/del tempo che scorre,/[…] vivevo, vivo (e vivrò) a Piombino». La città è al contempo passato, presente e futuro, un luogo che non si abbandona mai completamente, nemmeno quando sembra perduto, la città-luogo che ha scelto Lupi come suo cantore e voce narrante e che il poeta ha riamato di amore incondizionato. Infine, lo sguardo poetico di Lupi si rivolge alle piccole cose, come“La tamerice”, pianta semplice e salmastra, che si erge a simbolo di radicamento e resistenza: «pianta del mio mare che non canto, […] la tamerice irraggiungibile ». É un elemento umile, ma intriso di significato, a suggerire che la bellezza autentica non ha bisogno di essere celebrata per esistere, ma emerge naturalmente. Tamburini, nella prefazione al libro, parla di una “dolcezza amara” che «smette di essere ossimoro per diventare mescolanza di sentimenti». Questo è forse il tratto più originale della raccolta di Lupi che non si accontenta di cantare il declino, ma trova una strana bellezza nell’abbandono, una speranza malinconica che non si spegne mai del tutto. La raccolta di Lupi, dunque, si rivela una sorta di viaggio intimo nelle radici personali e collettive di Piombino, che non diventa mai un semplice elogio nostalgico ma una riflessione universale sulla vita, la memoria e la possibilità di rinascita.

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