Quando le notizie posso essere fuorvianti. Nei giorni scorsi, sono comparse sui media alcune notizie secondo le quali, in Europa, sarebbe avvenuto il sorpasso delle energie rinnovabili e le fonti “verdi” genererebbero ormai più elettricità dei combustibili fossili. Purtroppo non è affatto vero. A dirlo è la fonte stessa citata dagli autori dell’articolo: il think tank londinese Ember.
Se da un lato è vero che, come conferma il rapporto del think thank (possibile che a fare da riferimento debba essere un think thank e non uno dei tanti centri di ricerca nazionali o internazionali che costano ai contribuenti milioni di euro ogni anno?), le energie rinnovabili mostrano un netto aumento e che alcune delle fonti energetiche fossili sono in netto calo, ma è altrettanto vero che il rapporto parla solo del confronto tra solare ed eolico, da una parte, e carbone dall’altra.
Lo stesso rapporto parla di un 21% della produzione totale di elettricità in Europa mediante solare ed eolico e di un 15% dovuto al carbon fossile. Se a queste due categorie si sommano le altre fonti energetiche la percentuale di fonti energetiche rinnovabili (in senso stretto) sono ancora nettamente in minoranza. Non solo. Ma a spiegare la svolta verde dei consumi non è una scelta ambientalista (il Green New Deal che la Commissione Europea ha più volte osannato al punto da farlo presentare alla piccola Greta Thunberg nonostante la pandemia di coronavirus già in atto) ma un mero calcolo economico.
Dopo mesi di negoziati, nel 2018 con 535 voti favorevoli, 104 contrari e 39 astenuti, gli eurodeputati in sessione plenaria a Strasburgo avevano approvato la riforma dell’ETS (Emission Trading System), il sistema di scambio emissioni comunitario a cui devono sottostare gli impianti ad alta intensità energetica, che prevedeva tra l’altro, la riduzione delle quote da immettere nel mercato annualmente, passata da 1,74% a 2,2% a partire dal 2021 (percentuale aumentata nel tempo) e il raddoppio della capacità con cui il Market Stability Reserve (MSR), la riserva stabilizzatrice del mercato di carbonio, avrebbe dovuto assorbire le quote in eccesso, in maniera da rafforzarne i prezzi. Una svolta che una volta a regime, avrebbe tolto dalle aste fino al 24% dei crediti in eccesso ogni anno, per i primi quattro anni.
Il risultato è stato, tra l’altro, l’aumento del prezzo delle quote della CO2 a circa 25 euro per tonnellata di carbonio emessa. É questo che, in Europa, ha reso l’elettricità da carbone più costosa di quella da gas naturale o del nucleare. E anche delle energie rinnovabili. Le percentuali legate alla “green energy” quindi non sono frutto di una nuova corsa alle fonti energetiche rinnovabili ma solo un tentativo di colmare parte del “vuoto” creato. Ed è per questo motivo che per la prima volta, le centrali eoliche e solari hanno prodotto più elettricità rispetto a lignite ed antracite (ma non in termini assoluti rispetto ai combustibili fossili in generale).
A dimostrarlo il fatto che la gran parte della conversione si è verificata nei paesi europei tradizionalmente legati al carbone. Per la lignite, quasi i due terzi del calo nei consumi si è verificato solo in Germania e Polonia. Per contro l’elettricità delle centrali nucleari è rimasta praticamente costante (è scesa solo del’1 per cento) e, anzi, le centrali a gas hanno prodotto più elettricità rispetto all’anno precedente, registrando un aumento del 12 per cento.
La verità è che, contrariamente a quello che hanno detto alcuni giornali, la maggior parte dell’energia consumata nell’UE proviene ancora prodotta facendo ricorso ai combustibili fossili (sebbene la loro quota nel mix energetico si stia riducendo). L’Italia è l’unico tra i principali Paesi UE ad aver raggiunto già nel 2017 l’obiettivo fissato dalla Direttiva 2009/28/CE per il 2020 riguardante il ricorso ad energie rinnovabili (almeno il 17%): ciò nonostante, solo il 18,3% dell’energia totale proviene da FER (Fonti Energetiche Rinnovabili).