Da poche ore il Maestro Giulio Rapetti, da tutti conosciuto con il nome di Mogol ( è nato il 17 agosto 1936 ) ha compiuto 84 anni. Ha scritto le parole più belle mai pensate per i testi delle più amate canzoni italiane. E’ stato un vero poeta dell’amore attraverso la musica. Sono stato più volte nella sua Scuola internazionale nel cuore dell’Umbria ad Avigliano. Lì ha creato un Centro (CET) per aiutare i giovani artisti. Giulio Rapetti è un uomo straordinario, che nonostante gli ottantaquattro anni, è pieno di progetti e di energia. L’ho conosciuto proprio ad Avigliano nel suo quartier generale. L’occasione nasce da una mia docenza in occasione del Seminario di Lingua e Cultura Italiana rivolto agli insegnanti e ai professori delle scuole elementari e medie superiori italiane della Slovenia e della Croazia organizzato dall’Università Popolare di Trieste in collaborazione con il Consolato Generale d’Italia a Capodistria.
In realtà lo avevo già conosciuto un bel po’ di anni fa quando lavoravo a Video Music. Con l’editore, Mariolina Marcucci, l’avevamo incontrato per parlare di progetti comuni. Già allora avevo compreso quanto era straordinario questo uomo, con degli occhi bellissimi, capaci di trasmetterti il suo amore per la vita. A lui basta un foglio di carta ed una penna per buttare giù in pochissimo tempo i testi di una canzone. Nel libro, edito da Rizzoli “Il mio mestiere è vivere la vita” si racconta e lo raccontano, nella prefazione Clemente J. Mimun, Direttore del Tg5 Mediaset storico giornalista, e il produttore americano Tony Renis passato alla storia per l’intramontabile brano “Quando, quando, quando”.
“Mogol è un uomo straordinario – scrive Mimun –molto al di là della sua stranota capacità di tradurrei sentimenti in testi che sono stati, sono e saranno la colonna sonora della vita di tutti noi. Certo ci si avvicina a Giulio, si diventa suoi fan, lo si vive come un gigante, soprattutto per le emozioni che ci ha donato con Lucio Battisti, Celentano, Mina, Mango, Cocciante, Zero”.
E Tony Renis narra le sue doti umane oltre che professionali: “Ammiravo la persona, generosa, leale, disponibile, così come si sarebbe dimostrato anche nel seguito della sua vita, in ogni occasione in cui ci siamo trovati affianco, sempre pronto a spendersi per te senza chiedere in cambio nulla. Più di un amico, Giulio, un fratello”.
Basta questo per comprendere che incontrarlo, sentirlo parlare della storia della musica recente italiana, ascoltare già episodi bellissimi della sua vita è una lezione che rimane impressa per sempre. Basta guardarlo per ripensare ai testi delle sue canzoni. O basta guardarlo all’opera con giovani cantanti che nella sua scuola vanno a formarsi per cercare la via del successo.
Sentirlo parlare di amore, sentimenti e passioni è un arricchimento infinito: “se le passioni mi hanno sconvolto, gli affetti hanno invece messo le radici dentro di me. Amarsi un po’ è il mio sguardo sull’amore, e anche se l’ho scritta anni fa oggi la riscriverei uguale, perché il mio punto di vista non è cambiato: l’amore vero è quello che dura una vita, è quello quieto, è il soccorso reciproco”.
Mogol ha cantato questo amore, quello che tutti noi abbiamo tentato di vivere. Anche in questa era in cui il grande sociologo Zygmunt Bauman ha teorizzato gli amori liquidi. Che poi forse non sono amori, ma infatuazioni, relazioni più o meno importanti. Diverso da quell’amore infinito che questo straordinario uomo di 84 anni, Giulio Rapetti, in arte Mogol ha saputo cantare.
E noi vorremmo che ancora per tanti anni lui ci illuminasse, ci facesse sognare, sulle note delle sue vecchie nuove canzoni o produzioni. Perché la nostra società così cattiva, cosi individualista, così razzista ha bisogno d’amore. Di quell’amore che soltanto certi poeti come Mogol sanno narrare.