Un’intervista tra letteratura, storia ed attualità che racconta alcune delle pagine più complesse di ieri (il percorso/processo di unificazione nazionale) e di oggi (la Brexit; la ricerca di una lingua comune europea). Un incontro con un giovane autore: Manlio Distefano (Catania, 1993). Laureato in Giurisprudenza e in Lingue all’università di Catania, autore di romanzi ambientanti nel mondo classico greco e latino (Un nuovo destino; Spartaco), di un romanzo di genere fantasy (La guerra dei demoni). Ama viaggiare: ha attraversato gli Stati Uniti e l’Australia in macchina. Adesso in questa conversazione attraverseremo la «Storia» tra memoria (memorie), aspirazioni e le problematicità proprie di ogni periodo.
Un garibaldino in Sicilia mescola storia e avventura. È un romanzo che racconta una delle pagine più importanti della nostra nazione: l’unificazione nazionale. Un percorso, un processo attraversato nelle pagine dei grandi scrittori siciliani (ma universali per interessi e sentimenti) della nostra letteratura: Verga, De Roberto (siciliano d’adozione!), Pirandello, Tommaso di Lampedusa. Il processo/percorso dell’unificazione della nostra penisola fu condizionato da molteplici fattori politici, culturali, sociali. Che «peso» e «memoria» hanno in un ragazzo nato un anno dopo il Trattato di Maastricht, in uno studioso formato dallo spirito e politica dell’Erasmus e di Erasmo?
Nel mio romanzo Un garibaldino in Sicilia ho voluto trasmettere un’immagine positiva dell’unificazione nazionale italiana di cui, in tempi recenti, si tendono a sottolineare le ombre, comunque presenti, e trascurare i meriti. In primo luogo l’eredità della Rivoluzione Francese che ha permesso al concetto di nazione che si è affermato in Italia durante il Risorgimento di assumere un valore positivo, quello di un patriottismo volto al respingimento dell’occupazione straniera e all’autodeterminazione di un popolo, unito da un patrimonio culturale e una storia comuni, oltre che da una lingua letteraria che era stata scelta e perfezionata dai grandi autori della penisola. La Sicilia, non solo in questo mio libro ma nell’intera storia del nostro Paese, è sempre protagonista dei grandi momenti storici dell’Italia, e per questo motivo anche questo evento storico, quello dell’Unità, non poteva non essere trattato ampiamente dai grandi scrittori siciliani. Purtroppo, i motivi di attrito sembrano di recente ottenere una maggiore visibilità rispetto agli elementi che ci accomunano. Soprattutto sembra venir meno il ricordo di come divisi siamo stati per lungo tempo «calpesti e derisi».
La riflessione sull’unificazione europea ha chiaramente un peso anche su questo tema, su diversi piani di riflessione. Mi fa piacere il riferimento all’esperienza dell’Erasmus, a cui ho preso parte per due volte in due contesti molto differenti l’uno dall’altro, Portogallo e Germania, perché essa ha avuto dei risvolti differenti sul mio sentimento di cittadino, italiano ed europeo. Per prima cosa, l’esperienza all’estero, in contatto con gli altri studenti di quasi tutti i paesi europei, ti porta a cogliere le differenze fra l’una e l’altra cultura e anche a prendere coscienza del diverso modo di vivere del paese in cui ti trovi, uno stacco che ho sentito molto durante la mia esperienza in Germania, a Potsdam. È in quel momento che cogli la reale dimensione del tuo essere italiano e ciò che ti accomuna agli altri studenti italiani che si trovano lì all’estero con te e quello che ti rende comunque distante dalla popolazione locale o dagli altri ragazzi che partecipano al tuo stesso progetto. In un secondo momento, dopo il periodo di adattamento, puoi finalmente cominciare a cogliere invece i punti di contatto, di dialogo e avvicinarti alla nuova cultura e capire cosa vi rende europei, oppure occidentali usando un termine più ampio. Chiaramente non si tratta solo di elementi positivi, ma un sentire comune si richiama comunque a tutto ciò che ti dà l’idea di una comunanza, che ti avvicina ad un altro che riconosci come appartenente alla tua stessa comunità.
Proprio su questo punto possiamo stabilire un paragone fra l’esperienza dell’unificazione italiana e quella dell’unificazione europea, cioè quello per così dire dell’«invenzione della tradizione» e del trovare i fondamenti della nuova costruzione nazionale. È questo il deficit principale che si trova ad affrontare oggi l’esperienza europea e che si riscontrava in misura molto minore nelle singole unificazioni nazionali. Cos’è che può far sentire noi cittadini europei cittadini di un’unica nazione, cosa può spingerci a dedicarci insieme a questa costruzione politica. Ritengo che non possa bastare una bella esperienza come l’Erasmus e neppure i contatti più agevoli che internet ha garantito fra i giovani studenti europei. Questo è stato uno dei motivi per cui ho voluto scrivere anche un saggio dedicato proprio al problema della lingua in Europa, perché credo che la lingua sia uno di quegli elementi che dovrebbe essere analizzato. Certamente non è nemmeno l’unico, ma penso che ci permetta di porre l’accento su un diverso modo di affrontare la questione.
Nel tuo ultimo saggio Una lingua per l’Europa dopo Brexit. Riflessioni su una lingua comune europea affronti un tema prezioso, incasellato nei «Principi fondamentali» della nostra Costituzione: la comunanza, il patrimonio culturale. Dietro quest’espressione c’è Thomas Mann («tutto è politica»), ma anche il grande filologo tedesco Curtius («per fronteggiare la Crisi occorre una concezione non «geografica» ma «storica» e una periodizzazione di lunga durata capace di attraversare la letteratura occidentale dalla Grecia al Novecento». Da Omero a Pier Paolo Pasolini. L’uomo occidentale ha ancora memoria di questa lunga periodizzazione, studiata da Fernand Braudel, da Jacques Le Goff? La scuola, l’università, il mondo della ricerca coltiva tale «visione» e «passione»?
Mi riallaccio alla conclusione della precedente risposta per parlare proprio di questo elemento che tu citi nella tua domanda, ossia l’importante distinzione fra una dimensione geografica ed una storica. Questo è stato il problema dell’Italia che per lungo tempo veniva considerata «una mera espressione geografica», prima che si arrivasse all’unificazione. Eppure lo stesso problema si pone in maniera differente per quanto attiene alla storia recente dell’Unione Europa. Nel caso dell’Italia avevamo una nazione, un popolo, tuttavia essa si ritrovava relegata alla mera concezione geografica poiché non era riuscita a realizzare quella auspicata unificazione, che al tempo stesso era però successiva a uno spirito nazionale comunque esistente e presente.
Nel caso dell’Europa, viceversa, questo sentimento nazionale e unificante non sembra ancora essere presente. L’accezione geografica, oltre che l’interesse economico, sembra paradossalmente essere il motore che ha guidato le risoluzioni politiche dei governanti europei nel corso di questi decenni, senza che altri motivi abbiano fornito un’adeguata spinta ideologica alla costruzione sovranazionale. Non voglio essere frainteso e affermare che non si siano affermati alcuni valori e principi comuni, voglio solo denunciare il fatto che gli elementi più propriamente nazionali, nel senso positivo e democratico citato nella risposta precedente, sembrano essere venuti a mancare. E in questo senso non posso che concordare sull’evidente mancanza di una visione di lunga durata, sull’incapacità di costruire una tradizione condivisa a partire dai valori del mondo antico, Grecia e Roma, fino a quelli odierni passando per il Rinascimento, l’Illuminismo e così via. Perché lo spirito (Geist) europeo sia veramente avvertito dai suoi cittadini è necessario che tutti questi punti trovino una loro coerenza all’interno della nostra visione dell’Europa del futuro, sottolineando i punti di contatto e minimizzando le differenze, allo stesso modo in cui le nazioni in passato sono sorte e hanno costruito la propria identità.
L’uomo occidentale oggi, e quindi di conseguenza l’uomo europeo, non ha invece alcuna intenzione di confrontarsi con il proprio passato, se non al fine di criticarlo e chiedere perdono per i terribili errori che sono stati commessi. Ma un progetto comune e ambizioso come quello dell’Unione Europea non può fondarsi sulla volontà di non farsi più del male, su una vergogna condivisa e dunque solo su concetti postulati al negativo. È necessario puntare sui forti elementi positivi e comuni che nel resto del mondo ci vengono invidiati e imitati, così come un uomo che ha sbagliato nella propria vita non può che rilanciarsi appellandosi al meglio di sé.
Il patrimonio culturale europeo è uno degli elementi su cui maggiormente questa Europa deve scommettere, e da questo punto di partenza faccio proseguire la mia analisi all’interno del saggio. La lingua è il mezzo attraverso il quale la nostra cultura viene trasmessa, ma è anche la fonte di questa cultura perché è solo con la lingua che possiamo produrre la nostra letteratura, le nostre arti: non può esserci una cultura e un patrimonio culturale senza una lingua. Questa è allo stesso tempo la forza e la debolezza dell’Europa, ogni cosa è anche il suo opposto, poiché essa racchiude un insieme di culture e tradizione diverse e ricchissime al proprio interno. Ma sarà essa capace di trovare una sintesi fra di esse e potrà farlo senza prima riuscire a risolvere il problema e la contraddizione della mancanza di una lingua comune?
La ricerca di una lingua unitaria, perfetta – docet Umberto Eco – ci pone di fronte alla grande sfida di attraversare con il dia-logo la «koinè» europea. Una koinè flagellata, ancora oggi, da egoismo, da nazionalismo, da paura. Ricordiamo che la nostra letteratura italiana fino al Cinquecento era una letteratura plurilingue (latino, provenzale, greco, ebraico anche arabo). Da decenni, assistiamo, a un degrado, impoverimento linguistico segnalato da Tullio de Mauro, Italo Calvino e ai nostri giorni da Massimo Cacciari che ricorda che «quando si fa strame di un linguaggio si fa strame di un pensiero, di una civiltà». Oggi la parola è offesa, semplificata (da quella utilizzata nei quotidiani, nei telegiornali, sul web, nei social). La ricerca di una lingua perfetta è anche la ricerca appassionata della memoria tesa in un equilibrio, dinamismo tra natura e cultura?
3) Il tema della lingua è un tema che mi ha sempre affascinato, specialmente da questa prospettiva della sua forza culturale. La comunicazione verbale è quella che ci ha permesso di evolverci come specie e costruire delle comunità, ma sembra che oggi si sottovaluti la forza di questo strumento e questo venga sempre più screditato. Basti pensare ai social che puntano alla riduzione dei concetti scritti per mirare all’immediatezza attraverso l’immagine o il breve video. Questo ha dei riflessi anche sulla lingua e sul pensiero perché si disabitua la gente all’esprimere concetti complessi, e dato che ciò che diciamo trova la sua origine nel nostro cervello, questo impoverisce anche la nostra capacità di ragionare.
Il dibattito sulla lingua non può, pertanto, riguardare solo i linguisti o coloro i quali siano interessati all’apprendimento di una lingua straniera. In questo momento più che ricercare una lingua perfetta sembra essere necessario schierarsi in trincea per difendere quel poco che è rimasto della nostra lingua e del nostro pensiero. Questa riflessione pessimista non deve, ciò nonostante, limitare le nostre aspirazioni e il nostro lavoro. Non è sufficiente porsi su una posizione difensiva, è importante denunciare i mali del nostro tempo e lo strame che si fa del nostro linguaggio ma allo stesso tempo sviluppare una forza propositiva. Faccio anche un esempio a tal proposito, l’apprendimento della lingua straniera spesso aiuta anche coloro che non hanno un vocabolario ampio a riflettere sull’uso delle parole nella propria lingua. La ricerca della giusta traduzione di un termine può aiutare a riconoscere i diversi sinonimi di quella parola nella propria lingua e spingere ad ampliare il proprio vocabolario nella lingua madre. Possiamo quindi cercare di trarre giovamento dalle tendenze dell’epoca, come l’attenzione verso la lingua inglese, per guidarle nella direzione a noi congeniale. Un’epoca in cui internet e i social hanno creato una piattaforma comune di partecipazione per intere generazioni può aiutarci a porre delle questioni sulla lingua e sulla comunicazione nell’Unione Europa.
Per quanto attiene al tema della lingua comune e del plurilinguismo di un’ampia parte della nostra storia letteraria, si tratta di un argomento su cui mi dilungo all’interno del saggio, dato che sono due delle possibili alternative cui l’Europa si trova davanti. Allo stato attuale il plurilinguismo sembra essere l’indirizzo politico su cui l’Unione sta concentrando i propri sforzi, ma non sappiamo se produrrà alla fine i successi sperati. Il tuo riferimento mi sembra ben posto, l’Italia ha avuto per lungo tempo una storia plurilinguistica, e a livello informale la presenta ancora, ma non dobbiamo dimenticare che è stata l’opera unificante di autori come Dante e Manzoni che hanno permesso l’unificazione nazionale.