Sottomarini nucleari: bombe ad orologeria per l’ambiente? Facciamo il punto

Articolo di C. Alessandro Mauceri

L’ambiente è da tempo vittima di attacchi e minacce di ogni genere. Di alcune di queste minacce, però, non si parla mai.

É il caso dei sottomarini nucleari: oggi ne circolano decine in tutti i mari del pianeta. Tanti i motivi per i quali sono così diffusi, a cominciare dall’enorme quantità di energia generata dai reattori nucleari che consente loro di funzionare per lunghi periodi di tempo senza bisogno di rifornimenti a terra. Il funzionamento dei reattori montati su questi sottomarini non è diverso da quello dei reattori nucleari presenti nelle centrali elettriche terrestri: il calore prodotto attraverso la reazione nucleare viene utilizzato per produrre vapore acqueo che alimenta una turbina. L’unica differenza sono le dimensioni: sono più piccoli (poche centinaia di megawatt rispetto ad alcuni  gigawatt a terra) e hanno una maggiore densità di potenza in uscita. I reattori navali funzionano con uranio altamente arricchito e utilizzano uranio-zirconio o lega uranio-alluminio o una metallo-ceramica.

Ma insieme a questi vantaggi ci sono anche alcuni svantaggi: cosa succede quando, per obsolescenza o per un guasto o altro, uno di questi sottomarini deve essere “rottamato”? La rottamazione delle grandi navi è da tanti anni un problema non indifferente per molte compagnie di navigazione. Per molto tempo si è cercato di aggirare l’ostacolo ricorrendo a modi pericolosi per l’ambiente (affondando le navi ormai obsolete) e per la salute dei lavoratori della rottamazione (molti paesi africani e asiatici, diventati discariche di grandi navi, sfruttano manodopera a bassissimo costo e lavoro minorile).

Se, però, a dover essere rottamata non è una imbarcazione qualunque ma un mezzo militare e con a bordo uno o, a volte, due reattori nucleari, la situazione è diversa. I costi crescono vertiginosamente e così pure i rischi per l’ambiente e per la salute delle persone.

Da oltre mezzo secolo decine di sottomarini nucleari solcano i mari di tutto il pianeta senza che se ne parli. Anche in caso di affondamento, raramente la notizia finisce sui giornali. Nemmeno quando quando ciò avviene in paradisi naturali come il Mar Glaciale Artico o l’Antartide. Eppure la storia della marineria è intrisa di casi di naufragi di sottomarini nucleari: il primo, lo USS Thresher, naufragò il 10 aprile 1963. 

Molti di questi casi sono stati ufficialmente attribuiti a guasti (che hanno causato la morte immediata di centinaia di persone: il sottomarino americano  Thresher affondò con a bordo 129 persone di equipaggio, il russo K-141 Kursk con 118 persone e lo statunitense  USS Scorpion con 99 persone a bordo). Ma le cause potrebbero essere anche altre. Alcuni di questi sottomarini potrebbero essere stati affondati per “eliminare” reattori nucleari altrimenti non smantellabili. A  meno di costi vertiginosi.

A Rosyth nel Regno Unito, sono attraccati una 20 di sottomarini nucleari dismessi, abbandonati (oltre il doppio di quelli in servizio). Eppure, secondo il National Audit Office (NAO), negli ultimi quarant’anni, non sarebbe stato demolito nessun sottomarino. Il più vecchio di questi sottomarini, l’HMS Dreadnought, è attraccato ai Roysth Dockyard da quasi 40 anni, il doppio del tempo che è rimasto attivo. Una situazione che ha spinto Douglas Chapman, parlamentare del SNP, a dichiarare inaccettabile che “i governi inglesi hanno per anni ignorato questo problema gravando sulle comunità di Rosyth e Devonport con tali sottomarini obsoleti”. Meg Hillier, presidentessa del comitato dei resoconti pubblici dei beni comuni, ha dichiarato: “Per oltre 20 anni il ministero della Difesa ha promesso di smantellare i sottomarini nucleari fuori servizio e detto alla mia commissione l’anno scorso che affronterà questo triste immobilismo”. E ha aggiunto: “I programmi di demolizione sono ostacolati da lunghi ritardi e costi vertiginosi, e a pagarne il conto sono i contribuenti”.
Il fatto è che rottamare un sottomarino come questi costerebbe al governo di sua maestà oltre cento milioni di euro (96 milioni di sterline). 

La demolizione dei sottomarini nucleari obsoleti è un’impresa complessa e impegnativa. Comporta rischi enormi per l’ambiente e per la salute delle persone. Il combustibile nucleare deve essere accuratamente rimosso dal reattore utilizzando impianti speciali, poi il sottomarino stesso deve essere smantellato, sempre con particolare attenzione alla rimozione delle parti radioattive della nave. Un lavoro che richiede competenze specifiche e manodopera qualificata (basti pensare che nel Regno Unito sarebbe possibile farlo fare ad una sola azienda).

Anche solo tenerli fermi attraccati al molo (e sotto controllo) comporta un costo spaventoso: dal 1980 il Ministero della Difesa britannico avrebbe speso 500 milioni di sterline solo per stoccare e controllare i sottomarini obsoleti. Secondo alcune stime la manutenzione e lo smaltimento dei 20 sottomarini britannici dismessi (e dei 10 ancora in servizio) ammonterebbe alla stratosferica cifra di 7,5 miliardi di sterline!


Un problema che non riguarda solo il Regno Unito: sono molti i paesi a non sapere come liberarsi dei propri sottomarini nucleari (anche per non correre il rischio di svelare segreti militari). Fonti russe hanno dichiarato che le autorità avrebbero in programma di demolire i sottomarini del progetto 941 (classe Typhoon) Severstal e Arkhangelsk già stati messi fuori servizio da tempo. Ma nessuno sa quando con esattezza.

Alcuni sottomarini nucleari giacciono sul fondo del mare: l’Ong norvegese-russa Bellona ha recentemente dichiarato di essere venuta in possesso di documenti che identificherebbero questi relitti come “I più pericolosi degli oggetti che l’Unione Sovietica ha scaricato nelle acque polari” dato che 6 di loro “contengono oltre il 90% della radioattività che si trova sul fondo marino dell’Artico”. Si tratterebbe di sottomarini nucleari K-159 e K-27, i cui reattori nucleari erano ancora pieni di combustibile nucleare quando sono stati affondati. Uno di questi è affondato nel 2003 nelle acque ricche di pesce del Mare di Kara, mentre veniva rimorchiato per essere portato alla demolizione (con a bordo ancora 800 kg di combustibile nucleare esaurito). Un altro, un K-27, sarebbe stato affondato intenzionalmente nel 1982, ma il materiale utilizzato per sigillarlo, il furfurale, sarebbe ormai in condizioni precarie. Secondo i tecnici che hanno tenuto d’occhio uno dei relitti di K-159 per monitorare le potenziali perdite di radiazioni “Se il sottomarino dovesse depressurizzarsi, i radionuclidi potrebbero diffondersi su centinaia di chilometri, con un forte impatto sull’industria della pesca locale”. E sulle persone tramite la catena agroalimentare.

A congelare le speranze che molti di questi relitti possano essere rottamati correttamente sono i costi delle operazioni necessarie: secondo Anatoly Grigoriev, che lavora per una delle poche società in grado di svolgere questi lavori, recuperare uno di questi relitti potrebbe costare circa 123 milioni di euro. Ma solo se i sottomarini sono intatti. In caso contrario, se dovessero “depressurizzarsi, potrebbe causare 120 milioni di euro di danni al mese”. Dai documenti della Ong Bellona risulterebbe che “tra il 1959 e il 1992, i sovietici compirono 80 missioni per affondare scorie radioattive in ​​mare. In totale, circa 18.000 oggetti considerati rifiuti radioattivi sono stati affondati nelle profondità dell’Artico”. Oltre ad alcuni sottomarini ci sarebbero compartimenti di reattori, rifiuti solidi radioattivi, navi irradiate e altro ancora. Tutto scaricato in mare in siti la cui posizione esatta è ancora sconosciuta (e, quindi, impossibile la bonifica se mai decisa).

Altri paesi avrebbero fatto lo stesso: Sergei Antipov, direttore della pianificazione strategica e della gestione dei progetti all’Istituto di sicurezza nucleare dell’Accademia delle scienze russa, ha dichiarato che “Un quarto di tutti i rifiuti radioattivi che sono stati affondati negli oceani ci appartiene”. E gli altri tre quarti?

Secondo alcuni analisti oltre alle decine di sottomarini nucleari attivi, ce ne sarebbero molti altri non più utilizzati o in fondo al mare. Vere bombe ad orologeria per l’ambiente: in caso di guasto o di perdita del reattore, i danni sono incalcolabili. Le barre di combustibile nucleare esaurite dovrebbero essere immagazzinate e trattate adeguatamente. E prima che i problemi di usura per fatica sul sistema meccanico o la corrosione dell’acqua salata, possano causare danni all’impianto e disastri nucleari.

Ma di tutto questo non parla nessuno. Non sorprende dato che, spesso, nessuno sa che fine hanno fatto questi sottomarini. Vere e proprie bombe ad orologeria per l’ambiente nascosta sui fondali di aree finora incontaminate o nei porti in attesa di essere rottamate.

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