I dati del secondo trimestre del 2020 – aprile e giugno, i mesi del lockdown – mostrano che la Sicilia ha perso sei miliardi di PIL (prodotto interno lordo), per un contraccolpo che lascia sul terreno le storie di 76mila siciliani disoccupati in soli tre mesi. Un lavoro o l’impresa: secondo UnionCamere le aziende che hanno chiuso i battenti in pochi mesi sono state 3.932.
Il bilancio in termini di occupazione è certamente in rosso: secondo l’Istat ha un lavoro solo il 39,6% dei siciliani, con una crisi che non trova sfogo nelle nuove aperture. Per fare alcuni esempi la crisi a Palermo e in Sicilia è ovunque: la Geox in via Notartabartolo ha annunciato la chiusura, la Coop sta cercando di vendere i propri supermercati e ipermercati, la Rinascente è sul punto di andare via da Palermo, nel mondo del turismo e della ristorazione le chiusure sono state centinaia.
È stato costituito recentemente un nuovo tavolo per il lavoro a livello regionale di cui fanno parte governo siciliano, burocrazia, parti sociali e datoriali. Quest’ultimo si occuperà di affiancare il governo regionale nella realizzazione delle azioni studiate al fine di superare l’attuale crisi occupazionale isolana. Pertanto la Sicilia, e l’intero Sud, contiene le potenzialità intrinseche alle peculiarità del luogo per diventare un motore di rilancio e sviluppo del Paese.
Le risorse preziose e non esportabili a livello sia naturalistico, sia culturale, potrebbero considerarsi la punta di diamente per l’intero territorio. Risulta necessario ripartire, dall’impegno sociale e dalla voglia di riscatto, per costruire solide basi per un futuro di crescita e benessere. Per fare tutto questo il Sud ha bisogno di una classe dirigente preparata, onesta e pragmatica, capace di mettere in moto la macchina dello sviluppo per dotare il Sud di infrastrutture “europee” e rilanciare gli ambienti lavorativi sempre più in difficoltà. La domanda è: “saremo capaci?”