Davvero impossibile riuscire a classificare i tanti neologismi nati non ai tempi del colera, ma del coronavirus. Di giorno in giorno, crescono a dismisura e diventano parte integrante della nostra lingua. Da sociologo della comunicazione mi piace riflettere insieme a voi su questa sfumatura. E lo faccio con immenso piacere per un magazine neonato, con grandi ambizioni, diretto abilmente dal mio amico giornalista Angelo Barraco, e già il cui nome riscuote tutta la mia simpatia. Ma torniamo al dunque.
“Tutte le società sono fabbriche di significati, ma anche qualche cosa di più; sono i vivai della «vita piena di significato».” scriveva Zygmunt Bauman ed è un concetto attualissimo, perché la società ha la necessità di trovare parole che veicolino un significato. Nel nostro presente per spiegare la terribile pandemia che ci ha travolti abbiamo bisogno di parole che diano un senso alle nostre domande.
Tantissime le neoformazioni fondate sulla parola coronavirus nella sua interezza da quelle che si basano su uno solo dei suoi componenti (di volta in volta corona o virus).
Innanzitutto bisogna sottolineare il valore che ha assunto la parola “pandemia” che risulta essere una delle parole più ricercate dagli italiani, insieme ad assembramento e asintomatico, sul vocabolario online Treccani. Moltissime persone sono andate alla ricerca di questo termine come se fosse il meteo, o l’oroscopo, del giorno.
Il portale Treccani.it ha registrato una crescita esponenziale dei suoi visitatori e si conferma un importante punto di riferimento per smascherare il significato di un’altra parola come “infodemia”, neologismo fra i più recenti, ovvero: “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”.
La Treccani ha anche stilato la “lista delle dieci Parole del Coronavirus” in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e pubblicata all’interno della sezione “Le parole valgono” insieme ad una definizione per un loro utilizzo corretto e consapevole ed oltre a rintracciare “pandemia” e “infodemia” possiamo trovare: batterio, contagio, paziente zero, epidemia, letalità, quarantena, stress, virus.
Cerchiamo, adesso, di individuare l’enorme produzione di neologismi, per quanto ci auguriamo di breve durata o occasionali, che mantengono il termine virus, ma si legano ad altre parole.
La conferma arriva da tutti i termini evidenziati questa settimana dalla rubrica Lingua italiana dell’Istituto per l’Enciclopedia italiana Treccani che, appunto ogni sette giorni, si sofferma sulle parole nuove che si affacciano nella nostra lingua.
Partiamo da cretinavirus “il virus della cretinaggine”, il Fontanavirus per “il virus di Attilio Fontana” (“Fontanavirus: il governatore in quarantena”, 27 febbraio 2020, Il Fatto quotidiano), o anche pauravirus che non denota, appunto, la paura del coronavirus, ma “il virus della/che fa paura” (“Attenzione, siamo infetti da pauravirus”, 27 febbraio 2020, Repubblica) (da evidenziare inoltre, in tutte queste neoformazioni, l’attenzione a mantenere la terminazione in -a per analogia con l’originario corona).
Diversa è l’interpretazione dei tanti neologismi in circolazione su base corona (corona-fake, corona-caos, corona-congedi ecc.). Qui, infatti, il costituente corona- altro non è che l’abbreviazione di coronavirus.
Il termine coronavirus in brevissimo tempo è diventato così diffuso da risultare immediatamente riconoscibile anche se accorciato in corona (nell’italiano familiare “il corona”), per combinarsi quindi con elementi di diversa provenienza e formare nuovi composti.
Attraverso un’analisi di questo tipo possiamo interpretare correttamente neologismi come corona-crisi, che non designa affatto un’ipotetica “crisi della corona” (per esempio della monarchia inglese), ma la “crisi dovuta all’epidemia di coronavirus”, o anche corona-caos (“Corona-caos, cosa cambia per la Roma”, 5 marzo 2020, Il Tempo).
Non è finita qui perché ci sono due casi atipici di neoformazione da coronavirus. Il primo è corona-fake, attestato la prima volta su La Stampa il 16 marzo (“Ronaldo preso di mira dal corona-fake durante la quarantena a Madeira”). Questo termine richiama le famose “fake news”, o le bufale del web, di cui tutti abbiamo sentito parlare e che ripetutamente impazzano sul web e sui social. Avviene un meccanismo di formazione – molto particolare – attraverso la composizione di due abbreviazioni (rispettivamente corona- per “coronavirus” e -fake per “fake-news”).
Quanto a coronabond (“Vertice Ue, Conte: «Fondo di garanzia per cure ed economia o coronabond»”, 17 marzo 2020, Il Fatto quotidiano), si tratta invece di una “parola macedonia” (una sorta di incastro di pezzi di parole unite in maniera casuale a formarne una nuova) nata dalla contaminazione di corona(virus) e (euro)bond per indicare un possibile strumento di debito condiviso tra i paesi dell’Ue (appunto “eurobond”) con cui cercare di rimediare alla crisi finanziaria causata dal coronavirus.
Ed è una “parola macedonia” anche l’ultimo nato tra i neologismi del coronavirus: covidiota, contaminazione di covid e idiota, per designare chi ignora stupidamente le misure di sicurezza anti-covid o chi si è dato da fare per svaligiare i supermercati incrementando l’ansia e la paura, neoformazione che, pur non essendo ancora attestata sulla stampa italiana, circola sui social tanto da essere elevata a topic di tendenza su Twitter il 22 marzo scorso. Molto spesso, sui social, abbiamo letto che qualche personaggio politico è un covidiota… per descrivere l’incapacità ad assumere una posizione o per le affermazioni dichiarate.
Si basa, invece, sul libero accostamento di parole con suono simile, il neologismo coglionavirus, volgarismo ludico per indicare il virus che avrebbe trasformato personaggi
pubblici e privati in altrettanti “coglioni” (“Ecco gli effetti del coglionavirus – circola in rete un video in cui un filippino viene aggredito in un supermercato da un balordo che lo ha scambiato per cinese”, 24 febbraio 2020, Dagospia), nonché titolo di un recente ebook di Antonio Giangrande (“Il coglionavirus”).
Mi piace ricordare le tante iniziative intraprese dagli esperti per catalogare e selezionare tutti i nuovi neologismi. In particolar modo, meritano di essere menzionati, gli esperti dell’applicazione per l’apprendimento delle lingue di Babbel che hanno selezionato alcuni termini cruciali, parole nuove e trend linguistici per comprendere al meglio l’attuale contesto storico.
Oggi non sappiamo ancora quali altri nuovi neologismi invaderanno le nostre vite, ma possiamo sperare che si tratti di neologismi di breve durata legati ad un’emergenza che dovrà, al più presto, concludersi. Scriveva Emily Dichinson :”non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere”. Ma non sempre è così…ovviamente