Regia: Nanni Loy, Gianni Puccini. Soggetto: Alberto Sordi, Rodolfo Sonego. Sceneggiatura: Alberto Sordi, Rodolfo Sonego, Nanni Loy, Gianni Puccini, Ettore Scola, Ruggero Maccari. Fotografia: Roberto Gerardi. Montaggio: Gabriele Varriale. Musiche: Carlo Innocenzi. Scenografia: Flavio Mogherini. Produzione: Felice Zappulla per Fortunia Film (Roma), Chmartin (Madrid). Interpreti: Alberto Sordi, Aurora Bautista, Luigi Tosi, Alberto De Amicis, Carlo Ninchi, Marcello Giorda, Pino Patti, Rosita Pisano, Mario Passante, Ciccio Barbi. Interni: Incir – De Paolis. Durata. 82’. Colore: Bianco e Nero. Prodotto Italia/Spagna.
Il marito è uno dei primi film di Nanni Loy e di Gianni Puccini (lo sceneggiatore prediletto di De Santis) che collaborano per dirigere una commedia che presenta molte caratteristiche della commedia all’italiana, perché racconta la vita con stringente realismo cercando di cogliere il suo lato comico.
Il marito è una pellicola sul boom, ma al tempo stesso è una critica alla vita familiare, al menage che diventa una prigione, uno spaccato di esistenza che riguarda uomini e donne. Alberto Sordi è Alberto, marito di Elena (Bautista), moglie aristocratica che ama suonare il violino e odia il calcio, dotata di suocera invadente e sorella in cerca di marito. Alberto si lancia con un socio nel boom edile improvvisandosi costruttore, ma non dispone di capitali e l’impresa affonda nei debiti. Il film descrive il doppio fallimento della vita di Alberto: una famiglia ossessiva, non solo quella acquista ma anche la propria che non lesina richieste di denaro e aiuti per andare avanti, e un lavoro che non fa per lui. Alberto ed Elena si sposano, fanno debiti e firmano cambiali per andare a vivere in una casa con terrazza che si affaccia sulla campagna, ma la suocera vuole trasformare la terrazza in camera, per usarla come stanza personale. Alberto vorrebbe andare alla partita, ma è costretto a rinunciare persino al derby Roma – Lazio per ascoltare la moglie che suona il violino. Emblematica la morte del violino, sacrificato dal marito inviperito che non può ascoltare la radiocronaca per colpa degli acuti. Alcune sequenze ricordano la commedia balneare, con la vista nostalgica della spiaggia di Ostia fine anni Cinquanta, i primi costumi in due pezzi e gli uomini al mare con gli occhi sgranati. Tra l’altro pare che molte sequenze del film siano state girate a Madrid invece che a Roma, per volontà del produttore spagnolo, entusiasta di una storia in cui si riconosceva al cento per cento (era sposato con undici figli). Si narra che Angelo Rizzoli abbia rifiutato il copione di Sordi e Sonego e che non abbia voluto produrlo con la Cineriz. La pellicola racconta la vita in provincia (Viterbo), le malelingue che non consentono a una ragazza di vivere storie d’amore, le preoccupazioni di un imprenditore improvvisato, la famiglia che diventa una prigione fatta di obblighi e convenzioni. “Io non so’ nessuno. Dipendo dai commendatori, dai deputati…” dice Sordi. La frase contrasta con quella di un personaggio successivo (Il marchese del Grillo): “Io so’ io e voi non siete un cazzo”. Ma sono epoche e situazioni diverse. In questo film Sordi è l’uomo piccolo, l’italiano medio che sogna la rivalsa sociale, che vede il boom come possibilità di ricchezza e invece ne resta soffocato. Ricordiamo il motivetto vagamente razzista, ma di gran moda, canticchiato da Sordi: “Bongo bongo bongo stare bene solo in Congo non mi muovo no no./ Bingo bongo bengo molte scuse ma non vengo, io rimango qui.”. La canzoncina significa il rifiuto di una vita tradizionale, la voglia di ribellione alle convenzioni, rappresenta un anelito di libertà. Alla fine il marito si adegua alla situazione – come la maggior parte degli italiani – accetta un posto fisso da novantamila lire al mese come rappresentante di dolciumi. La moglie continuerà a essere gelosa, perché in treno gli incontri non mancano, come si intuisce dalla sequenza finale.
Rassegna critica. Gianluigi Rondi (Il Tempo, 6 marzo 1958): “Tiene in piedi la farsa Alberto Sordi, più colorito e divertente che mai nelle vesti del protagonista. Inutile chiedergli di essere più composto, quieto, riservato, il clima del film, tutto allegria esteriore e tutto facili risa, lo pretende così e forse anche il pubblico…”. Paolo Mereghetti (due stelle e mezzo): “Uno dei primi film capaci di usare in maniera coerente le qualità comiche dell’attore per costruire un ritratto a tutto tondo dell’italiano medio. E se è vero che la regia sembra troppo remissiva di fronte alle aspirazioni mattatoriali di Sordi, è anche innegabile che in questo modo regala allo spettatore alcuni indimenticabili momenti di comicità. E dal punto di vista antropologico, l’irrimediabile vitellonismo del protagonista e il suo rifiuto di una vita familiare tradizionale anticipano i primi sintomi di trasformazione della famiglia italiana, che diventeranno evidenti con il boom”. Pino Farinotti concede tre stelle ma si limita a sintetizzare la trama. Morando Morandini (tre stelle di pubblico/ due e mezzo di critica): “Non vale Parola di ladro che segnò nel 1957 il felice esordio registico di Loy e Puccini. Al loro attivo, oltre alla scaltrezza espositiva, c’è un Sordi irresistibile, due o tre momenti di dolorante verità e qualche passaggio di scattante buffoneria”. Uno spaccato tragicomico di un periodo storico, un piccolo capolavoro di comicità, intriso di neorealismo e di commedia sentimentale, ma con molti elementi di novità che conducono per mano verso la grande commedia all’italiana.