Regia:. Alberto Sordi. Sogetto e Sceneggiatura: Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli, Alberto Sordi. Montaggio: Tatiana Casini Morigi. Fotografia: Sergio D’Offizi. Colore: Telecolor. Musiche: Piero Piccioni. Produzione: Italian International Film. Organizzazione Generale: Raimondo Castelli. Direttore di Produzione: Lucio Orlandini. Scenografia: Massimo Razzi. Produttore: Fulvio Lucisano. Costumi: Bruna Parmesan. Aiuto Regista: Paola Scola. Effetti Speciali: Giovanni Corridori. Interni: Cinecittà. Esterni: Roma. Interpreti: Alberto Sordi, Liù Bosisio, Giorgio Gobbi, Anna Longhi, Jason Piccioni, Angelo Villa, Alessandra Mussolini, Marilù Tolo, Tonino Aschi, Giovanni Baghino, Ida Cerreto, Geoffrey Copleston, Roberto Della Casa, Carmine Faraco, J. Emmanuel Gartmann, Gegia, Julian Jenkis, Armando Marra, Lucia Monaco, Andrea Nicole, Natale Russo, Antonio Salvemini, Massimo Sarchielli. Apparizione nella parte di loro stessi: Silvana Pampanini, Giulio Andreotti, Federico Fellini.
Il tassinaro è il film tipico del Sordi regista. Buone trovate, alcuni guizzi di genio, ma troppa verbosità, poco senso del ritmo, tanti luoghi comuni e una morale abbastanza qualunquista. Alberto Sordi è il protagonista principale nei panni di un tassista che protegge la famiglia, la tiene al riparo da ogni problema, evitando di riferire le disavventure durante il servizio. Il personaggio interpretato da Sordi è Pietro, un logorroico uomo medio, ripreso a bordo del taxi Zara 87, alle prese con una moglie casalinga buzzicona (Longhi), un figlio universitario (Gobbi) e un suocero rincoglionito. Uno come tanti, in definitiva, che lavora per dare un futuro migliore al figlio e che diventa pazzo quando lo sente dire che dopo laureato vorrebbe ereditare la licenza di tassista. Sordi descrive un Natale in famiglia, i pranzi festivi, la monotonia del quotidiano alle prese con il Dallas televisivo, il caffè da preparare e un menage familiare ripetitivo. La famiglia è la cosa più importante, pare voler dire il regista, da salvaguardare nei confronti di tutti, nonostante tentazioni e rimpianti. Il tono della pellicola è dimesso, sentimentale, i tempi comici sono dilatati e il montaggio poco serrato. Un on the road cittadino, un omaggio a Roma, con un tassista chiacchierone alle prese con varia umanità. Pietro viene rapinato, litiga con rissosi americani, salva dal suicidio una ragazzina (Mussolini), rovescia un tegame di purè sulla testa di un arrogante sceicco, prova a fare il sindacalista di categoria, corteggia poco convinto una collega (Tolo), finisce a Villa Borghese con un marito guardone e una moglie puttana, fa salire a bordo personaggi famosi. Molte sequenze sul taxi sono girate in studio facendo scorrere sullo sfondo scene di vita romana, un escamotage fastidioso. Tra i clienti strani vediamo una coppia composta da una donna più vecchia di 66 anni rispetto al marito, che si è sposato solo per l’eredità (si citano gli sposini di Omegna, agli onori delle cronache). Nelle scene ambientate in famiglia ricordiamo le cose migliori. Sordi interpreta un padre tipico del periodo storico: “Non ce poi leva’ queste illusioni!”, grida al figlio, perché confida nella sua laurea come riscatto sociale. Viene fuori un sentimento di affetto per la moglie buzzicona, che rischia la vita quando partecipa alla maratona per dimagrire, presa da gelosia nei confronti del marito che ha ballato con una collega tassista. Il qualunquismo politico abbonda quando Giulio Andreotti (nella parte di se stesso) sale a bordo del taxi e si abbandona a un non richiesto comizio sul futuro delle giovani generazioni. Divertente Silvana Pampanini, che sta al gioco, mostra persino le gambe, ma finisce con l’infuriarsi quando si rende conto che il tassista l’ha scambiata per Sylva Koscina. Altre parti sono debolissime e recitate in maniera penosa, tra tutte la puttana di Caracalla che allatta il bambino e la ragazzina che tenta il suicidio. La parte migliore del film è il finale che vede Sordi alle prese con Federico Fellini in un episodio meta cinematografico. Il regista romano confessa tutto il suo timore nel dover interpretare la parte di se stesso in un film dell’amico Sordi. Il tassista racconta scherzosamente il cinema di Fellini, sulle note di Otto e mezzo (Nino Rota), parla dei sogni che Federico faceva da bambino, dell’infanzia a Rimini, dei vitelloni e infine cita il gesto dell’ombrello rivolto agli operai compiuto da Sordi in quella vecchia pellicola. Fellini sta girando E la nave va, a Cinecittà, ed è proprio negli studi romani che il tassista deve accompagnarlo, per fargli incontrare Sordi in attesa per prezioso il cammeo. Originale. Non tutto il film è su questi livelli, purtroppo. Molte sequenze sono appesantite dai lunghi monologhi di Sordi, logorroico e onnipotente, che impartisce lezioni di morale a base di luoghi comuni e frasi fatte. Una pellicola che a tratti diventa irritante, un film senza trama, costruito su episodi montati con tempi dilatati, troppo verbosi per risultare efficaci. Appena sufficiente il quadro familiare che rappresenta una famiglia tipo degli anni Ottanta. Sequel ancora peggiore nel 1987: Un tassinaro a New York, che attacca Cosa Nostra e inserisce una trama gialla penosa quanto la comicità. Rassegna critica. Paolo Mereghetti (una stella): “Ritratto di una città e dei suoi abitanti visti attraverso lo specchietto retrovisore di un tassista: personaggi insignificanti e clienti famosi, ammiccamenti maliziosi e imprecazioni romanesche che servono solo a spiegare la filosofia qualunquista di un grandissimo attore che è però un piccolissimo regista. Fastidioso il continuo ricorso ai trasparenti per far credere che l’automobile giri davvero per la città”. Troppo duro. Morando Morandini è più condivisibile (due stelle di critica e quattro di pubblico): “Un film dalla struttura binaria: famiglia e lavoro. Lungo il percorso, tra episodi ora buffi ora patetici, Sordi trova le occasioni per imbucare le sue idee sulla vita”. Pino Farinotti (due stelle). “Più che una storia, è un omaggio a Roma, caotica ma sempre bella, vista dai finestrini di un tassista. Come sempre, Sordi riesce meglio quando è solo attore e non anche regista”.