Luigi Filippo d’Amico (Roma, 1924 – 2007), nipote del critico teatrale Silvio d’Amico, comincia dalla critica cinematografica con lo pseudonimo di Filippo Mercati, usato anche per i lavori da aiuto regista. Lavora in teatro con Luchino Visconti e debutta nel cinema come assistente di Mario Soldati (Le miserie del signor Travet) e di Gianni Franciolini (Notte di tempesta). Dal 1946 al 1955 lavora come aiuto regista e sceneggiatore, collabora a pellicole di un certo livello come Roma città libera, Gli uomini sono nemici, Il delitto di Giovanni Episcopo, Prima comunione, Altri tempi, La fiammata, Febbre di vivere, Bellissima, Processo alla città, Il matrimonio, Tempi nostri, Casa Ricordi, Casta diva, Dieci anni della nostra vita.
Il primo film da regista di Luigi Filippo d’Amico è Tam Tam Mayumbe (1955), una coproduzione italo – francese, realizzata in collaborazione con Gian Gaspare Napolitano. Si ricorda per la presenza di Nanni Loy e Folco Quilici come aiuto regista e direttore della seconda unità. Si tratta di un film ambientato nel Congo del 1925, interpretato da Charles Vanel, Pedro Armendáriz e Marcello Mastroianni, che racconta una storia di razzismo, guerra e spacciatori. Bravissimo (1955) è il primo lavoro in proprio di Luigi Filippo d’Amico, una divertente commedia interpretata da Alberto Sordi nei panni di un insegnante di scuola che scopre il figlio d’un carcerato con la voce da baritono. Il maestro vorrebbe sfruttare questa potenzialità, presenta il bambino ad alcuni impresari, gli fa cantare il Rigoletto alla Scala, ma il piccolo viene operato di tonsille e subito sfuma la straordinaria dote vocale. Il maestro perde la fonte di guadagno come manager di un piccolo fenomeno, ma anche gli avidi parenti del bambino restano con un pugno di mosche. Sordi è straordinario, immortala un personaggio munito di barbetta e lente “per guardare le bellezze del creato”, un italiano medio pieno di difetti che diventa una gustosa macchietta. Il film è scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Age e Scarpelli. Tra gli interpreti Patrizia Della Rovere, Irène Tunc, Gianrico Tedeschi e Bice Valori. Una pellicola a metà strada tra la farsa e la commedia, ricca di delicate annotazioni d’ambiente e con risvolti grotteschi, ma priva di elementi erotici.
Noi siamo le colonne (1956) è un’altra commedia leggera, di ambientazione scolastica, interpretata da Antonio Cifariello, Franco Fabrizi, Ottavio Alessi, Mireille Granelli, Elisa Montes, Vanna Vivaldi, Vittorio De Sica, Lauro Gazzolo, Aroldo Tieri, Pina Gallini, Zoe Incrocci, Laura Betti, Nando Tamberlani e Lydia Johnson. Il film è ambientato a Pisa, tra gli studenti universitari, racconta gli amori che sbocciano e sfioriscono mentre i ragazzi sostengono esami e vivono momenti goliardici. La commedia ironizza sulla superficialità sentimentale degli studenti, ma si ricorda soprattutto come esordio di Laura Betti e per un grande numero da attore decaduto recitato da Vittorio De Sica. Il film è girato in economia negli stabilimenti Titanus di Roma, vista la grande penuria di mezzi l’Università di Pisa è riprodotta in studio. Si nota la mancanza di una vera atmosfera pisana e l’assenza di esterni credibili fa perdere efficacia alla pellicola. Molte macchiette da avanspettacolo e tante caratterizzazioni di tipi studenteschi: il timido, il secchione, l’imbranato, lo scapestrato e il bello che ha successo con le donne. Akiko (1961) è un’altra commedia sentimentale interpretata da Pierre Brice, Memmo Carotenuto, Andrea Checchi, Paolo Ferrari, Marisa Merlini, Paolo Panelli e Akiko Wakabayashi. Una vera interprete giapponese si cala nei panni di Akiko, una giovane donna che si presenta in casa di una vedova e dice di essere la figlia illegittima del marito scomparso. Il film si inserisce a pieno titolo nel neorealismo rosa, soprattutto perché dopo una serie di vicissitudini sentimentali la ragazzina fa innamorare il ragazzo più bello del quartiere. Mariti a congresso (1961) comincia a mostrare qualche aspetto erotico, anche se tutto va rapportato ai tempi. Gli interpreti della commedia brillante sono Walter Chiari, Jacqueline Sassard, Alberto Lionello e Bice Valori. Il protagonista è un impenitente dongiovanni che maschera una serie di scappatelle sentimentali con la scusa dei congressi di lavoro. Non gli va sempre bene, perché uno scandalo imprevisto mette in allarme la moglie e anche le compagne degli amici. Gli attori sono molto bravi. Il film è costruito sul personaggio da sciupafemmine di Walter Chiari, ma nella commedia si ritagliano un posto di rilievo anche Alberto Lionello e Bice Valori. Jacqueline Sassard è bellissima, ha da poco compiuto vent’anni, mostra un’espressione ingenua da lolita intrigante e maliziosa. Ricordiamo l’attrice francese – lanciata da Lattuada in Guendalina (1957) – ottima protagonista in Nata di marzo (1958) di Pietrangeli. Quattro notti con Alba (1962) è commedia erotica protofemminista, originale nel contenuto antimilitarista, privo di morale preconfezionata e di facili sentimentalismi. Interpreti: Peter Baldwin, Chelo Alonso, Ettore Manni, Claudio Gora, Franco Fabrizi, Vittorio Congia, Raoul Grassilli, Marcello Paolini e Luigi Borghese. Il soggetto deriva dal romanzo Un viaggio di piacere di Enzo Gicca Palli, ma la sceneggiatura del regista con la collaborazione di Sandro Continenza non fonde al meglio storia militare e insolita presenza femminile all’interno di un gruppo di uomini. Il film racconta la storia di una prostituta raccolta da un gruppo di soldati italiani che si sta ritirando dalla Libia, ma la donna verrà rispettata da tutti grazie alla protezione del tenente. La prostituta è Chelo Alonso, nome d’arte della showgirl cubana Isabella Garcia, famosa per le sue gambe lunghissime, chiamata dagli statunitensi “la bomba H cubana”, vera e propria femme fatale e sex symbol degli anni Sessanta. Molto brava come ballerina e notevole nelle sequenze sensuali di danza. L’attrice interpreta spesso ruoli nel peplum, ma anche nel cinema western viene utilizzata come indiana, vista la sua pelle ambrata.
Luigi Filippo d’Amico non fa mistero di essere un regista commerciale e di non avere intenzione di trasmettere messaggi con il suo cinema. Forse per questo motivo Gian Piero Brunetta non lo cita nella fondamentale Storia del Cinema Italiano e altrettanto fa Gianni Canova nella Garzantina Cinema. Per fortuna viene in soccorso il Dizionario dei Registi Italiani di Roberto Poppi e colma una lacuna. Scopo della commedia è divertire il pubblico, cosa di per sé non facile, e il regista spesso centra l’obiettivo. Tale considerazione è più che sufficiente a esigere per Luigi Filippo d’Amico il posto che merita nella cinematografia italiana.
L’episodio Il dentone, contenuto ne I complessi (1965), interpretato da un travolgente Alberto Sordi, è un esempio di film comico molto riuscito. Luigi Filippo d’Amico collabora con Dino Risi e Franco Rossi che girano rispettivamente Una giornata decisiva (Nino Manfredi, Ilaria Occhini, Donatella Della Nora) e Il complesso della schiava nubiana (Ugo Tognazzi, Claudie Lange, Paola Borboni, Caludio Gora e Nanda Primavera). Dino Risi racconta la storia di un impiegato che non ha il coraggio di dichiararsi a una ragazza avvenente e finisce tra le braccia di una brutta collega. Franco Rossi descrive un marito che si affanna a nascondere le prove di un passato della moglie come attrice disinibita. Il segmento di Luigi Filippo d’Amico (Alberto Sordi, Franco Fabrizi, Romolo Valli e Ugo Pagliai) racconta l’esilarante barzelletta di un annunciatore televisivo con una dentatura mostruosa. Ricordiamo le lunghe gambe delle gemelle Alice ed Ellen Kessler nella parte di loro stesse, visto che l’episodio è ambientato nel mondo della televisione. Sono tre farse che prendono di mira i complessi, illustrando frustrazioni, falsi pudori e timidezze. Tra alti e bassi il film diverte, ma l’episodio migliore è proprio Il dentone, scritto da Rodolfo Sonego, sceneggiatore di fiducia di Sordi.
Il genere del film a episodi va di gran moda negli anni Sessanta, si realizzano cose di un certo livello, come I nostri mariti (1966), pellicola firmata da Luigi Filippo d’Amico (Il marito di Roberta), Dino Risi (Il marito di Attilia) e Luigi Zampa (Il marito di Olga). La tematica erotica, evidente anche in questo film, viene affrontata con umorismo e ironia. Il marito di Roberta è il miglior episodio, moderno e precursore di mode successive, scritto da Rodolfo Sonego, interpretato da Alberto Sordi, Nicoletta Machiavelli, Claudio Gora, Alessandro Cutolo ed Elena Nicolai. Sordi è un marito che sposa una donna mascolina (Machiavelli), fa il casalingo, va sempre in bianco e assiste senza colpo ferire al cambio di sesso della donna. Un segmento grottesco, soprattutto per un finale assurdo durante il quale Sordi viene linciato perché cerca di abbordare la moglie diventata uomo. Luigi Filippo d’Amico non è il regista più adatto per questo tipo di comicità, ma se la cava con sufficiente disinvoltura. Gli altri due episodi sono scritti da Age e Scarpelli, ma collaborano pure Mario Monicelli e Stefano Strucchi. Il marito di Olga è interpretato da Jean-Claude Brialy, Michèle Mercier, Akim Tamiroff, Lando Buzzanca, Tecla Scarano e Mario Pisu. Abbiamo la bellezza conturbante di Michèle Mercier che per esigenze ereditarie pretende un figlio da un marito incapace di accontentarla. Il marito di Attilia vede all’opera Ugo Tognazzi, Liana Orfei, Giulio Rinaldi, Tano Cimarosa e Carlo Pisacane. Tognazzi è un appuntato dei carabinieri che fa la corte a Liana Orfei per arrestare il marito. Zampa e Risi sono molto bravi a ironizzare su bigotti e forze dell’ordine, ma tutto il film è un geniale contenitore di idee con storie ben ambientate e curate. Le musiche sono di Piero Piccioni e di Armando Trovajoli.
Il mondo di Pirandello (1968) è una serie di cinque 5 telefilm che apre un lungo rapporto tra Luigi Filippo d’Amico e il mezzo televisivo. Tra l’altro il regista ha sposato la nipote di Luigi Pirandello, quindi la materia lo coinvolge sentimentalmente.
Il presidente del Borgorosso Football Club (1970) è un grande film sul calcio, forse una delle migliori commedie di argomento sportivo, che gode della grande caratterizzazione di Alberto Sordi nei panni di un presidente innamorato della sua squadra di calcio. Interpreti: Alberto Sordi, Tina Lattanzi, Margarita Lozano, Daniele Vargas, Carlo Taranto, Elena Pedemonte, Rosita Torosh, Carla Mancini, Rossana Di Lorenzo, Omar Sivori. Sordi è Benito Fornaciari, un impiegato del Vaticano che non ha mai visto una partita di calcio, ma alla morte del padre eredita la sua azienda di vini e la squadra del paese. La passione per il calcio travolge Benito, che si dedica anima e corpo al Borgorosso, prima assumendo un allenatore che ricorda Helenio Herrera, poi esonerandolo e prendendo il suo posto in panchina. Tra gli interpreti abbiamo addirittura Omar Sivori, nella parte di se stesso, come ultimo acquisto per risollevare le sorti del Borgorosso. Alberto Sordi affacciato al balcone mentre canta l’inno “Bianconeri del Borgorosso… rosso… rosso … footbal club!”, imitando Mussolini a Palazzo Venezia è fantastico. Altrettanto riuscita la canzoncina di incoraggiamento all’interno dello spogliatoio: “Chi non lotta con coraggio non si merita l’ingaggio/ Chi non lotta con vigore è peggio d’un traditore/ Chi s’estranea dalla lotta è un gran figlio d’una mignotta”. La pellicola resta una farsa, ma appassiona il modo in cui il regista riporta al cinema il vero mondo del calcio con riti e consuetudini. Troviamo i ritiri, le mogli che si lamentano, gli allenatori maniaci che si danno arie da maghi, il pubblico esigente, i presidenti fanfaroni e prepotenti, gli arbitri arroganti… Sordi è un gigante, firma pure la sceneggiatura, scritta con la collaborazione di Sergio Amidei e di un ex calciatore come Adriano Zecca. Musiche di Piero Piccioni.
Amore e ginnastica (1973) è un film sentimentale che deriva dal romanzo breve omonimo di Edmondo De Amicis (1892), sceneggiato dal regista con la collaborazione di Suso Cecchi d’Amico e Tullio Pinelli. Interpreti: Senta Berger, Lino Capolicchio, Adriana Asti, Antonino Faà Di Bruno e Renzo Marignano. La storia racconta i tentativi di conquista di un ex seminarista (Capolicchio) nei confronti di una bella insegnante di ginnastica (Berger) che vive nel suo stesso palazzo. La donna pare resistere, sembra dedita solo all’insegnamento, ma il ragazzo si mette in luce con ogni mezzo, rompendosi la testa mentre fa ginnastica e sfidando a duello un rivale. Alla fine l’amore trionfa. La pellicola ricostruisce molto bene atmosfera e luoghi della Torino deamicisiana (fine Ottocento) e segue con fedeltà le indicazioni del narratore pedagogo, una tantum alle prese con un romanzo d’amore. Manca la necessaria malizia, una vera e propria attualizzazione cinematografica che avrebbe modernizzato il lavoro. Senta Berger è molto bella e rappresenta il solo motivo di interesse erotico di una pellicola anonima.
L’arbitro (1974), Il domestico (1974) e San Pasquale Baylonne protettore delle donne (1976) sono le vere e proprie commedie sexy girate da Luigi Filippo d’Amico, che accetta di dirigere tre Lando Buzzanca movies, vero e proprio sottogenere con ben precise regole e situazioni stereotipate. Nei film con protagonista il bravo attore siciliano il personaggio principale è sempre un focoso maschio siculo attratto dalle donne e le storie mettono alla berlina vizi e stereotipi del meridionale medio. L’arbitro (1974) è una commedia erotica ingiustamente stroncata dalla critica, perché affronta ancora una volta con proprietà di linguaggio il non facile argomento calcistico. Interpreti: Lando Buzzanca, Joan Collins, Massimo Mollica, Gabriella Pallotta e Marisa Solinas. Lando Buzzanca è Carmelo Lo Cascio, arbitro siciliano incorruttibile, ispirato alla figura del direttore di gara Concetto Lo Bello, principe del fischietto e arbitro per antonomasia. Il maggior pregio del film è quello di realizzare una perfetta ricostruzione del mondo arbitrale, perché non ci sono errori e approssimazioni, inoltre sono ben evidenziati rapporti equivoci e loschi intrallazzi. Lando Buzzanca in divisa da arbitro che fischia sotto la pioggia è uno spettacolo. Il rapporto conflittuale padre – figlio è un altro elemento di interesse, pure se tenuto in secondo piano, ma è ben descritta anche la relazione erotica arbitro – giornalista, tra pubblico disprezzo e amore privato. L’arbitro viene coinvolto a sua insaputa in una speculazione edilizia manovrata da un conterraneo, quando ne viene a conoscenza accusa pubblicamente il responsabile, ma resta coinvolto dallo scandalo. Il tono del film è da farsa, ma al tempo stesso mostra un arbitro disposto a tutto pur di arrivare, un uomo che sacrifica famiglia, figli, moglie, lavoro e amante sull’altare del successo. A un certo punto il film segue la filosofia scorreggiona in voga nel periodo, perché l’arbitro Buzzanca si prende una dissenteria durante una trasferta in un paese tropicale e termina una partita facendosela letteralmente sotto. Per curare la debolezza cronica l’arbitro deve assumere droghe e anfetamine, recuperando la stima del figlio che finalmente lo vede come un essere debole e pieno di difetti. La droga lo eccita a tal punto che durante la sua ultima partita non si decide a fischiare la fine e deve essere portato via dal campo in ambulanza. La critica del regista si appunta verso gli eccessi che portano a tristi risultati, anche se lo scopo è solo quello di divertire. Il nostro arbitro è dedito a passatempi erotici, che non possono mancare vista la presenza di Buzzanca, ma tra tutti spicca un bunga bunga ante litteram. Joan Collins ha quarant’anni ma è sempre affascinante e resta un’icona dell’erotismo internazionale. Nella pellicola è una giornalista intrigante e sporcacciona che si porta a letto l’arbitro, ma al tempo stesso ne parla malissimo sulla stampa, definendolo un pavone e un presuntuoso. Alcuni momenti erotici vedono nudi integrali della bella Collins, mentre fa l’amore con Buzzanca su una spiaggia tropicale, nel letto di una camera d’albergo e in alcune pose plastiche in bikini. Evidente il contrasto tra la moglie sicula sottomessa e la donna in carriera emancipata che fa le sue scelte e tratta l’uomo come oggetto. Lando Buzzanca è straripante nella macchietta da arbitro arrivista che per avere successo non guarda in faccia a nessuno. Daniele Vargas è un credibile presidente della commissione arbitrale che protegge il suo pupillo, lo segue quando dirige le partite, ma non parla con la stampa. Soggetto e sceneggiatura sono del regista, Raimondo Vianello e Alessandro Continenza. Football Crazy, la canzone dei titoli è cantata dal calciatore della Lazio e della nazionale Giorgio Chinaglia. Condivisibile il giudizio entusiasta di Marco Giusti su Stracult: “Uno dei migliori e più divertenti film sul calcio mai fatti in Italia”. Molti volti noti del calcio italiano: Pigna, Carosio, Chinaglia, che interagiscono con il protagonista. “Il film era stato scritto per Alberto Sordi, poi lo interpretò Buzzanca che in effetti aveva fisicamente con lui qualche punto di contatto, ma grazie all’attore siciliano la sceneggiatura prese una strada farsesca”, afferma Luigi Filippo d’Amico su Commedia all’italiana di Piero Pintus. Lando Buzzanca ribatte su Amarcord: “Io ho voluto fare quel film. Io ho contattato Luigi Filippo d’Amico, proponendogli di scrivere la storia di un arbitro, con tutte le implicazione del caso. Mi interessava analizzare il grande potere di un arbitro che fa stare con il fiato sospeso tutta l’Italia quando dirige una partita importante. Un grande film. Mi sono persino incontrato con Concetto Lo Bello per imparare a recitare bene il personaggio”. Rivisto oggi, comunque, mostra le rughe del tempo che passa e non è invecchiato bene.
Il domestico di Luigi Filippo d’Amico (1974) è un divertente Buzzanca – movie abbastanza spinto sul lato erotico, con una sensuale Martine Brochard nei panni di Rita, prima puttana e poi signora. Buzzanca è il domestico assunto nella casa signorile, ma ha conosciuto la padrona quando faceva marchette, quindi tra i due diventa difficile impostare un rapporto servile. Il film è scritto dalla coppia Vianello – Continenza ed è una pietra miliare della commedia sexy italiana, soprattutto per la caratterizzazione che Buzzanca riesce a fare di un domestico tutto d’un pezzo, votato anima e corpo alla professione. La pellicola racconta la vita di un domestico e grazie alle sue avventure fa capire come cambia nel tempo il rapporto tra padroni e servitù. Rosario Cavadunni, detto Sasà, è un cameriere per vocazione, come non ce ne sono più, un uomo che prova grande rispetto per le famiglie nobili. Il suo personaggio ci fa conoscere la storia d’Italia dal giorno dell’armistizio (8 settembre 1943) fino agli anni Settanta e mostra come sono cambiate le famiglie ricche. Sasà serve in case di badogliani, tedeschi, americani, produttori arricchiti, aristocratici puttanieri, coppie aperte, industriali sposati con mignotte. Sasà finisce in galera perché il suo ultimo padrone lo coinvolge in giri poco chiari, ma anche dietro le sbarre il domestico manifesta la sua vocazione e si mette a servire gli altri carcerati. Luciano Salce è un produttore cialtrone, Enzo Cannavale è un divertente regista del neorealismo che fa interpretare a Femi Benussi una mondina mignotta e vede Buzzanca nel ruolo maschile di Riso Amaro. La critica ironica al cinema neorealista e alle commedie rosa alla Matarazzo è una delle cose più riuscite. Leonora Fani è la figlia strabica di Arnoldo Foà che corregge il difetto di vista dopo essersi fatta il domestico. Il cast è completato da Erika Blanc, Silvia Monelli, Gordon Mitchell, Camillo Milli, Malisa Longo, Paolo Carlini, Nanda Primavera e Carla Mancini. Ottima commedia che ironizza sula disponibilità a servire i padroni, comunque siano, anche se tutto è basato sull’interpretazione fuori dalle righe di un grande Buzzanca. Uno dei migliori film interpretati dall’attore siciliano e uno dei più interessanti girati da Luigi Filippo d’Amico.
San Pasquale Baylonne protettore delle donne (1976) è l’ultima commedia erotica di Luigi Filippo d’Amico e rappresenta la fine della fruttuosa collaborazione con Lando Buzzanca. Interpreti: Stella Carnacina, Gina Rovere, Gabriella Giorgelli, Memmo Carotenuto, Gianni Cavina, Lionel Stander, Orchidea De Santis e Giuliana De Sio. Buzzanca è un imbroglione che si dice devoto a San Pasquale Baylonne e si spaccia per guaritore in un paesino sperduto del basso Lazio. Il suo scopo – neanche troppo nascosto – è solo quello di portarsi a letto le donne più belle. I maschi locali, un mago concorrente e persino il parroco ostacolano il falso guaritore e finiscono per smascherarlo. Il finto mago è costretto a pentirsi pubblicamente. Siamo sul piano della farsa boccaccesca, con il personaggio da maschio insaziabile portato al successo da Buzzanca a farla da padrone e la fresca bellezza di Stella Carnacina come presenza erotica portante. Giuliana De Sio non è da meno, perché debutta in una mise inconsueta con le trecce da ragazzina ed è completamente nuda mentre fa il bagno in un torrente. Per Marco Giusti su Stracult si tratta di “una specie di Per grazia ricevuta più ruspante e burino”. Non ha tutti i torti. Il film è girato a Sora, tra le montagne laziali. Soggetto e sceneggiatura – non originalissimi – di Castellano e Pipolo. Tra le interpreti femminili, spicca anche un’affascinante Orchidea De Santis che abbiamo avvicinato per un ricordo del regista e della pellicola: “Luigi Filippo d’Amico era una persona gentile, attento nel dirigere gli attori, ovviamente tutti noi tranne Buzzanca che faceva quello che voleva, ma questa è una sua simpatica caratteristica che credo pochi siano riusciti a domare. Il film a differenza di altri del genere, perché più o meno era un decamerotico, lo ha curato molto e non so perché poi all’epoca fu un fiasco. Molte scene furono girate tra le montagne vicino Frosinone esattamente Sora. Era inverno e il lavoro sul set non è stato agevole perché tutta la troupe doveva raggiungere a piedi le location in mezzo alle montagne. Pensa alle maestranza che mazzo si possono essere fatti! Noi attori peraltro, almeno io, recitavo mezza nuda ma in compenso con delle mutandone di lana di pecora, in una grotta freddissima, ma ancora peggio la Giuliana De Sio – nella sua prima apparizione – è stata costretta a farsi un bagno di notte in un fiumiciattolo ghiacciato e durante la cena ci raccontava dello shock che aveva avuto. Poi la nota più divertente era la presenza di Gianni Cavina, un omone grosso, brutto ma di una simpatia senza precedenti”.
La carriera cinematografica di Luigi Filippo d’Amico si apre ad alcune interessanti collaborazione televisive che esulano dalla nostra tematica. Ricordiamo il pirandelliano Vestire gli gnudi (1979), il film inchiesta La Roma di Flaiano (1982) (Film inchiesta) e lo sceneggiato In silenzio (1984). Nel 2006, in occasione del settantesimo anniversario della morte di Luigi Pirandello, Rai 3 propone dieci puntate dedicate alla figura dello scrittore e drammaturgo siciliano. Si tratta di dieci conversazioni con Luigi Filippo d’Amico, marito della nipote di Pirandello (figlia della figlia Lietta), sentimentalmente coinvolto e in grado di fornire un ritratto personale del Premio Nobel per la Letteratura e di comporre un suggestivo quadro dell’Italia nella prima metà del Novecento. Luigi Filippo d’Amico muore un anno dopo a Roma.